L’introduzione del Green Pass, o per meglio dire il lasciapassare obbligatorio a partire dal 6 agosto, solleva quesiti che non dovrebbero restare inevasi e che, prima di tutto, andrebbero liberati dagli approcci faziosi delle opposte tifoserie: da una parte, i sostenitori ad oltranza delle misure di contenimento repressivo e di sorveglianza totale che pure si vanno affacciando; dall’altra, i non meno oltranzisti fautori di una libertà individuale ideologicamente issata a totem al cospetto del quale sacrificare bisogni sociali e diritti collettivi, dalla difesa della salute pubblica alla tutela dei soggetti più fragili.
Una riflessione che si ponga, almeno, l’obiettivo di essere fondata, critica, costruttiva, non può prescindere da un uso corretto, non forzato e non strumentale, delle parole. Quando si è introdotto anche in Italia il lockdown, si è attivato un inedito coprifuoco, in cui al distanziamento non hanno corrisposto un incremento dei servizi di trasporto ed un adeguamento degli spazi nei luoghi di studio e di lavoro, mentre al rispetto dei limiti e dei protocolli ha sovrinteso un potenziamento dello strumento militare, del controllo militare e della funzione repressiva sul territorio. Ora che ci si accinge a introdurre il Green Pass, ci si avvia verso l’applicazione del lasciapassare obbligatorio con una potenziale e preoccupante selezione all’accesso tra cittadini e cittadini agli spazi della relazione sociale e della fruizione culturale.
Un uso accurato delle parole richiederebbe, anzitutto, di bandire strumentalizzazioni, in un senso o nell’altro: è del tutto funzionale alla propaganda mainstream, infatti, precipitare dentro la categoria di «no-vax» tutto e il suo contrario, bollando come «negazionista», indistintamente, chi sostiene (assurdamente) che il covid non esista o sia una banale influenza, chi afferma (pressappochisticamente) che non è poi così pericoloso o che sia stato creato ad arte in nome di non si sa quale complotto, chi ritiene (improvvidamente) che qualunque misura di prevenzione del contagio sia una indebita minaccia alle libertà individuali, ma anche chi avanza una critica legittima e razionale in ordine al «governo della pandemia», all’impostazione delle politiche di contenimento o alla natura sperimentale del vaccino anti-covid.
Allo stesso modo, è del tutto improvvido un approccio ideologico, entusiastico e scientista allo schema imposto dal potere in relazione alle politiche di contenimento, dal coprifuoco, al lasciapassare, e via enumerando: eccessi che, peraltro, scivolano fatalmente in enfatizzazioni inquietanti, se non pericolose, con affermazioni per le quali il vaccino sarebbe necessario «per riacquistare la libertà» (evidentemente, senza il vaccino, perduta) o ammonimenti per i quali «non ti vaccini, ti ammali, muori; oppure fai morire». Uno schema di una durezza sorprendente che supporta e alimenta una campagna di informazione dai toni drammatizzanti e colpevolizzanti, in cui al registro della comunicazione informativa e persuasiva si sono sostituiti toni fobici e radicalizzanti: fino ad ipotizzare per i non vaccinati di fare pagare loro le spese e i costi di eventuali ricoveri nella sanità pubblica, o addirittura di privare i bambini del diritto alla scuola in presenza, in caso di numeri significativi di bambini non vaccinati, ulteriore e grave ipotesi di selezione all’accesso.
È qui il tema cruciale di questa strategia: non ha senso, e serve solo gli interessi dominanti, espressi dai settori economicamente prevalenti, criticare le misure di contenimento in nome di una non meglio connotata «libertà vaccinale» o in nome, tout court, della libertà personale, che fatalmente sfocia nella libertà di disporre arbitrariamente anche a danno della salute pubblica e della tenuta delle reti di relazione sociale, e che inevitabilmente richiama il tema della libertà economica e le presunte “ragioni” della libertà della estrazione di profitto e della accumulazione di capitale.
È opportuno, viceversa, criticare tali misure in quanto potenzialmente lesive di diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, e nei confronti della qualità stessa della democrazia. Il Green Pass, vale a dire il lasciapassare obbligatorio, rappresenta, sotto questo versante, un «dispositivo radicale»: servirà obbligatoriamente per spostarsi in entrata e in uscita da determinati territori, per accedere ai servizi di ristorazione al chiuso, per spettacoli, eventi e competizioni sportive; per musei, biblioteche, istituti e luoghi di cultura; per cinema, teatri e sale da concerto; per piscine, palestre e centri benessere; per fiere, convegni e congressi; per i concorsi pubblici; per determinate tipologie di trasporti di lunga distanza e già si sta ventilando l’ipotesi di renderlo obbligatorio per l’accesso al trasporto pubblico locale e ad altri servizi di prossimità. In una tale configurazione, particolarmente estensiva, rischierebbe di tramutarsi, di fatto, in un dispositivo radicale di selezione all’accesso anche a servizi pubblici e sociali di rango costituzionale e di portata universalistica.
Sarà rilasciato a fronte della avvenuta vaccinazione ma anche in caso di esito negativo a test molecolare o antigenico e in caso di guarigione dal covid, il che dovrebbe consigliare maggiore impegno sulla riduzione del costo dei tamponi e sul potenziamento dei servizi della medicina territoriale. Quanto, invece, all’obbligo vaccinale anti-covid, di cui pure si sta discutendo, il presupposto non può essere quello di una (discutibile) «libertà vaccinale», bensì quello di un (necessario) «principio di precauzione», scomparso, non a caso, dal dibattito pubblico. È appena il caso di ricordare, infatti, che il vaccino anti-covid, sebbene testato in modo ampio ed intensivo, è ancora, in quanto testato con una tempistica contingentata, incapace di dare conto di effetti a medio e lungo termine, in sostanza un vaccino sperimentale, comunque consigliato dalle autorità sanitarie per soggetti anziani e fragili, nonché adulti con malattie croniche ad alto rischio.
Ecco perché si tratta, in sostanza, di discernere e valutare, sulla base di una informazione accurata e di un consenso informato. Distinguere tra questo vaccino e altri vaccini supportati da ben più ampia storia e letteratura è dunque una sana operazione, razionale e critica; distinguere tra pandemia (da prevenire e contenere con misure razionali ed efficaci, non lesive della qualità democratica e della agibilità sociale) e «governo della pandemia», con il suo corollario di controllo sociale e di propaganda ideologica, è altrettanto operazione sana, razionale e critica; denunciare gli abusi e gli eccessi, senza capitolare di fronte alla presunta ineluttabilità di scelte non neutre – altra grande assente dal dibattito, la critica alla (presunta) «neutralità della scienza» – è altrettanto operazione necessaria, anche questa critica e razionale, un esercizio di autonomia, di autodeterminazione; di tutela degli spazi della democrazia e della trasformazione sociale.