Neanche a farlo apposta, il giorno dopo che il vicepresidente della Commissione dell’Unione europea, responsabile per il clima, Frans Timmermans, ha presentato al Consiglio e al Parlamento europei le sue insufficienti (per gli scienziati del clima) proposte per la lotta al riscaldamento globale (un pacchetto di misure battezzato Fit for 55, ovverosia: come tagliare il 55 per cento delle emissioni climalteranti entro il 2030) è arrivata la depressione Bernd con le catastrofiche alluvioni tra Germania, Belgio, Francia e Olanda. Ma neanche queste hanno spento il fuoco incrociato dei lobbisti dei combustibili fossili, degli industriali dell’auto e di molti governi (tra cui l’Italia con le dichiarazioni bipartisan dei ministri Roberto Cingolani, Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio) contrari alle misure delle Ue.
Dopo la ingloriosa dipartita del campione negazionista The Donald, le preoccupazioni dei politici sono ora volte alla possibilità che le nuove misure verdi (tipo le tasse sulle emissioni) possano portare degli aumenti dei prezzi dell’energia, dei materiali da costruzione, dei fertilizzanti, dell’alluminio e di materie prime che a cascata si riverserebbero sui generi di prima necessità mettendo in difficoltà famiglie e imprese tanto da scatenare rivolte sociali in stile gilet gialli. Ricordate il loro slogan? “Voi pensate alla fine del mondo noi alla fine del mese”. Ma ora, che i tempi della catastrofe ecologica – comprese le pandemie endemiche di origine zoonotica – e quelli della sicurezza quotidiana della vita delle persone si sono talmente accorciati da sovrapporsi (pensiamo alle case bruciate in California o alla metropolitana di Zhengzhou…), bisognerebbe, una buona volta, avere il coraggio e la forza di uscire dal dilemma economia o vita, lavoro o salute, Pil o Natura.
Anche accettando di entrare nella logica del calcolo costi/benefici, andrebbero correttamente conteggiati i danni di un modello di sviluppo suicida, che, per di più, non colpisce tutti allo stesso modo. Ma questa verità, presa come pretesto per non cambiare nulla, nella bocca di chi ha responsabilità di governo, suona come falsa e offensiva.
Altra giustificazione farlocca che circola tra politici e commentatori: l’Europa contribuisce “solo” per l’8 per cento delle emissioni di gas serra. Ma si tace sulla responsabilità storica accumulata nel tempo dagli stati della Ue (secondi solo agli Stati Uniti) e sul fatto che il Pil della Ue è pur sempre il 20 per cento di quello mondiale. Inoltre, nel conto del bilancio delle emissioni andrebbero inserite le merci che consumiamo noi, ma che sono fabbricate in altre parti del mondo. A Napoli, nel G20 sull’ambiente in questi giorni e soprattutto a fine anno a Glasgow nella Cop 26 si dovrà discutere proprio di “giustizia ambientale” e sugli strumenti per realizzarla.
Ben venga quindi, a scala planetaria e all’interno dell’Europa, una discussione sulla equa distribuzione dei “costi” della necessaria riconversione economica, degli apparati energetici e industriali, dei sistemi logistici e infrastrutturali, dell’uso del suolo e delle filiere agroalimentari, dell’edilizia e così via, reinventando un’economia capace di futuro. Ottima l’idea di un “fondo sociale” per la transizione energetica proposto dal commissario Paolo Gentiloni. Suggeriamo: meglio ancora un reddito di cittadinanza universale incondizionato (finanziato dai profitti di quelle multinazionali che dalla digitalizzazione, dai farmaci, dalla green economy stanno facendo affari a palate) che metta al riparo permanentemente chi è sotto ricatto occupazionale. Sicurezza ambientale ed economica sono due facce di una stessa politica. Questione ecologica e questione sociale non vanno disgiunte. Ma non si tratta di “mediare” e trovare “una via di mezzo” meno peggio: un po’ di alluvionati e un po’ di ammortizzatori sociali. L’unico modo per uscire dalla catastrofe ecologica e umana è rispettare un semplice principio logico e scientifico: è l’organizzazione sociale ed economica che deve adeguarsi alle leggi geo-bio-fisiche e termodinamiche che regolano la vita sulla Terra. Se le attività umane non rientrano urgentemente nei confini della capacità di carico della biosfera, i disastri ambientali, semplicemente, si sommeranno a quelli sociali.