Bambini, ragazzi, venite! Mettetevi qui, vicino a me. Sediamoci in circolo, stretti, per allontanare il freddo. Ora ascoltate. Voglio raccontarvi una storia, la nostra storia.
Molti, molti anni fa, quando non eravate ancora nati, il nostro paese viveva un periodo terribile e buio. Erano anni complicati, duri, così duri che, pensate un po’, sono stati chiamati “anni di piombo”. La gente, tutto il popolo doveva obbedire in silenzio, senza lamentarsi di nulla. Se qualcuno diceva qualcosa che andava contro gli interessi dei potenti, veniva arrestato, torturato, ucciso o mandato in esilio: doveva abbandonare il paese immediatamente, andare via, per non tornare più.
Passarono gli anni e i decenni, a poco a poco il popolo cominciò a organizzarsi e a diventare sempre più forte. I potenti cominciarono ad aver paura e lasciarono il potere. Il potere è quella cosa che ti fa comandare gli altri, a volte è una cosa buona, a volte proprio no. È una cosa buona quando è usato per il bene di tutti. È brutto quando chi ha il potere pensa solo a se stesso e ai suoi amici, senza preoccuparsi della maggioranza del popolo. Quindi, quando il popolo ha il potere, attraverso i suoi rappresentanti, è molto meglio, perché se non lavorano bene, li possiamo sostituire per sceglierne degli altri.
Bene, un bel giorno, molti anni fa, noi, il popolo, siamo riusciti a riprendere il potere, ad essere padroni delle nostre vite e del nostro destino. Sapevamo che non sarebbe stato facile. E così abbiamo iniziato a lavorare duramente, pieni di volontà e speranza. Speranza in noi stessi e nelle nostre capacità.
Il nostro paese ha sempre avuto mille problemi: povertà, sottosviluppo, schiavitù, sudditanza, ignoranza, subordinazione agli interessi internazionali e finanziari. Questo sistema ha finito per generare grandi differenze tra la popolazione stessa. Sapete molto bene che ci sono poche persone molto ricche e tanta gente molto povera. Non è vero? E come sempre, i più poveri tra i poveri sono quelli che non hanno voce per difendersi. I bambini, per esempio.
In passato, i bambini erano considerati come un piccoli adulti. E come tali erano trattati. Molti erano costretti a lavorare come schiavi, altri venivano usati come domestici nelle case delle famiglie ricche. Nessuno pensava che i bambini avessero dei diritti. O meglio, nessuno pensava che i bambini avessero il diritto ad avere i diritti. Bambino, adolescente, ragazzo, ragazza, piccolo adulto… tutti uguali, nessuna differenza. Ed è stato così per molto tempo. Immaginate che nella Costituzione Brasiliana del 1988, nata dopo quei terribili anni di piombo, c’è un articolo che prevede il “divieto di lavoro notturno, pericoloso o insalubre ai minori di diciotto anni e qualsiasi lavoro ai minori di sedici anni, tranne che come apprendista, a partire dai quattordici anni“…, cioè, se il giovane viene assunto “come apprendista” può lavorare “di notte, in condizioni pericolose o insalubri“. Non è incredibile? Questo non è stato scritto duecento anni fa, ma nel 1988, nella Costituzione Brasiliana.
Ed è così che molti studiosi, persone per bene, si sono riuniti affinché i bambini e gli adolescenti potessero avere un sostegno ufficiale, il sostegno della legge; affinché ognuno abbia la sua dignità e i suoi diritti garantiti da un insieme di norme da rispettare, soprattutto da chi detiene il potere, da chi fa, applica e controlla le leggi: il 13 luglio 1990 nasce l’ “ECA” (Estatuto da Criança e do Adolescente) lo Statuto del Bambino e dell’Adolescente.
All’epoca eravamo tutti molto felici, perché pensavamo che un insieme di norme potesse davvero cambiare la società e il suo modo di pensare. Avevamo la speranza che i diritti dichiarati sarebbero presto diventati diritti acquisiti!
Siamo stati molto ingenui. Tutti voi, ragazzi miei, sapete molto bene com’è la vita quotidiana. Ognuno di voi conosce la frusta degli “uomini di legge”, la solitudine delle notti insonni passate in strada, sotto i ponti, nei tombini, nell’intercapedine dei muri; ognuno di voi porta sulla sua carne le cicatrici della della paura, della violenza, ha negli occhi l’abbandono, e addosso l’odore della droga.
Qualche giorno fa ero per le strade di Cracolândia, il quartiere dello spaccio, che prende il nome dal crack, la droga che ti promette il paradiso ma ti condanna all’inferno. Ho visto l’operazione del Comune e della polizia per “ripulire” la zona, per espellere tutti quelli che non rientrano nei loro schemi. Ho visto le armi puntate contro di voi, tutte le armi. Lo Stato che dovrebbe proteggere i più vulnerabili, ancora una volta ha mostrato il suo volto più violento. Vi ho visto vagare perduti come larve a qualche isolato di distanza, seduti, sdraiati per terra ad abbaiare alla luna, strafatti, drogati, ubriachi di terrore e solitudine. Poi mi sono ricordata di quanto sia facile per i detentori dell’ordine pubblico, per la grande stampa e l’opinione pubblica, pensare a voi non più come bambini e adolescenti – quelli contemplati nello Statuto – ma come un problema sociale, come un problema di salute pubblica, come un problema di ordine pubblico, come un problema di igiene pubblica, come un problema di sicurezza pubblica, come un problema, come un problema del problema, come un problema da risolvere, eliminare, una volta per tutte: un problema.
Ora fate attenzione: vi hanno portato via dalla vostra famiglia, dalla scuola, dalla sana convivenza con la comunità, e non solo vi hanno portato via da una vita dignitosa, ma vi hanno anche derubato della vostra dignità. E siccome è molto difficile cambiare questo atteggiamento, vogliono scegliere il modo più veloce, più facile e più pratico per loro: cambiare le regole, cambiare lo Statuto. Come se un medico incolpasse il paziente della sua malattia. Per sentirsi più sicuri vogliono abbassare l’età imputabile: prima ti mettono in prigione, meglio è.
Sembra che dalla vostra parte non ci sia rimasto più nessuno. Sembra che le voci a vostro favore siano state soffocate dalle grida di coloro che vedono in voi la fonte di tutti i mali. Sembra.
Dopo trentuno anni dalla nascita dello Statuto possiamo guardare indietro e osservare alcuni importanti cambiamenti che, in un immenso sforzo collettivo, la società è riuscita ad ottenere: la mortalità infantile, per esempio, è passata da 53,7 (per mille nati vivi) a 15,6. Il numero di bambini registrati alla nascita, o nelle settimane successive, è passato dal 66% al 95%. Il numero di bambini e adolescenti fuori dalla scuola è crollato: dal 19,6% al 4,7%. Anche la malnutrizione cronica è scesa dal 13,4% al 6,7%.
Quasi sei milioni di bambini, tra i 5 e i 17 anni, sono stati allontanati dal lavoro minorile.
Attenzione, attenzione! Queste cifre sono state raccolte prima della pandemia e in questi due anni le cose sono cambiante, Però, anche così, di tutto questo siamo orgogliosi.
La nota triste è che la violenza contro di voi, miei cari, è più che raddoppiata: l’omicidio dei giovani tra i 10 e i 19 anni è passato da 5.000 a 12.000 morti all’anno.
Invertire questa terribile situazione è la grande sfida del nostro tempo. La prima cosa da fare è smettere definitivamente di considerare voi, ragazzi miei, come un problema. Voi non siete il problema ma la soluzione del problema.
Per questo dobbiamo continuare a lottare affinché le leggi e le norme previste si realizzino, affinché possiamo davvero celebrare insieme una nuova speranza per ognuno di noi. Potete contare su di me.
Edith Moniz
Edith Moniz è un’insegnante, educatrice, pedagogista, ha dedicato la sua vita ai bambini e agli adolescenti in situazioni di vulnerabilità sociale. Ha fondato una scuola itinerante affinché i giovani esposti alla violenza della strada possano trovare e produrre gli strumenti di riscatto del diritto alla cittadinanza. In occasione del trentunesimo anniversario della promulgazione dello Statuto dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ancora una volta la professoressa Edith riunisce i suoi ragazzi perché sappiano che non sono soli.
Traduzione dal portoghese di Paolo d’Aprile