Questa è una storia di “Resistenza gentile” che si dipana in un angolo di provincia italiana, quassù al confine estremo con la Svizzera, terra di passaggio, di silenzio e bellezza, di panorami affacciati sul Lago Maggiore dove tutto sembra tranquillo, lontano da bombe e rappresaglie, vicina a uno dei confini più ambiti da chi avesse la necessità di allontanarsi dal bel paese per chiedere asilo politico.
Questa è una storia di vita quotidiana, di lavoro in fabbrica o in ferrovia, di orto da curare e dove raccogliere la verdura per la cena.
La guerra volge al termine, ma l’occupazione tedesca a fatica cede il passo, la stanchezza è palpabile anche sui volti degli ufficiali distaccati presso la stazione di Luino che controllano il passaggio dei convogli in transito. Vagoni stipati di ogni merce pronta per raggiungere la Germania.
Italia, un paese razziato da coloro che avevamo chiamato alleati e che si erano trasformati in nemici e carnefici, paese tradito e traditore.
La guerra: che follia! La dittatura: che follia!
Lo sapeva bene mio nonno Giovanni Ferrari, ferroviere alla stazione di Luino, che conosceva qualche parola di tedesco per via del suo lavoro da ragazzo in Germania come muratore. Così, con quella manciata di parole “certe sere” intratteneva i due militari tedeschi.
Le “certe sere” però non erano mai a caso. I treni merci si fermavano a Milano per i controlli, anche quelli di dogana; lì venivano aperti, si faceva il conto delle merci contenute e si riempivano i moduli che li avrebbero accompagnati a destinazione. Dopodiché i vagoni venivano chiusi e riaperti solo una volta arrivati in Germania.
Il gioco era questo: i vagoni con merci di pregio venivano segnati da chi, tra i ferrovieri, apparteneva alla Resistenza e al momento della partenza del treno in questione veniva data comunicazione a Luino, così che si organizzasse un diversivo per bloccarlo in prossimità della stazione con un pretesto qualunque.
A questo punto entrava in scena il nonno, con il suo animo gentile e i modi garbati di chi dalla vita ha ricevuto già grandi lezioni, un saggio che aveva cento storie che tenevano noi nipoti in attesa del gran finale in un silenzio ipnotico. Quest’uomo semplice e affabile con un pizzico di complicità di mia madre Giannina convocava i gendarmi tedeschi comunicandogli il guasto e la necessità di fermare il treno per il tempo necessario.
La mamma era stata avvisata e dopo il lavoro in fabbrica scendeva dalla Luino vecchia fino alla stazione portando la cena al nonno e magari la nonna ne aveva messa un po’ di più da dividere con … il nemico.
Mentre si consumava la cena, si scambiavano poche parole, i militari non erano giovani, avevano anche loro dei figli, uno di loro aveva ricevuto la notizia della morte di un figlio. Il dolore accorcia le distanze.
I partigiani locali, anche loro avvisati da Milano, in silenzio svuotavano i vagoni per il tempo che avevano ragionevolmente a disposizione. Al segnale convenuto richiudevano in fretta e sparivano nella notte.
Di lì a poco, terminata la cena, ognuno tornava alle proprie mansioni e al proprio ruolo.
Così doveva essere. Salvare il possibile per un paese nel caos, distrutto ed ora depredato. Ciò che si poteva fare andava fatto. Nella semplicità del lavoro quotidiano, magari con un sorriso e un atto di gentilezza che ha una forza imprevedibile.