Il programma del semestre
Qualche settimana fa, il governo sloveno guidato dal Partito Democratico Sloveno (SDS) del primo ministro Janez Janša ha presentato il proprio programma per la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. Quattro i settori considerati prioritari, riuniti sotto lo slogan “Insieme. Resiliente. Europa”.
Il primo punto del programma è rivolto alla ripresa economica e al “rafforzamento della resilienza dell’Ue” alle sfide imposte dalla pandemia. In tal senso, Lubiana proporrà la costruzione di “un’Unione Europea della salute” attraverso l’istituzione di un organismo capace di dare risposte immediate e comuni alle possibili future emergenze sanitarie. Per quanto riguarda la ripresa economica punterà ad avviare l’effettiva attuazione del Next Generation EU, stimolando la rapida adozione dei programmi nazionali con particolare attenzione al tema della transizione ecologica.
La seconda priorità sarà invece il rafforzamento dello Stato di diritto “nel rispetto dei sistemi e delle tradizioni costituzionali nazionali”. Lo stesso Janša ha parlato di libertà di espressione come “elemento essenziale dei processi democratici” e che, con riferimento alla situazione in Bielorussia, “non può essere limitata da interessi superiori inventati nei regimi totalitari”.
Per quanto riguarda la politica estera europea l’obiettivo è quello di rafforzare le relazioni transatlantiche con USA e NATO. Il tema caldo resta però il rapporto con i Balcani occidentali, considerato “una priorità geostrategica chiave” per l’Unione. In autunno è prevista lo svolgimento di un nuovo vertice tra Ue e Balcani occidentali con l’intento di ridare slancio al processo di allargamento anche attraverso l’aumento dei fondi per lo sviluppo della regione se necessario.
Infine, il tema scottante dei migranti. Tra gli obiettivi della presidenza rientra infatti “l’avanzamento dei negoziati sul nuovo patto su migrazione e asilo”. Durante una riunione dei ministri degli Interni dell’UE svoltasi a inizio giugno in Lussemburgo, il ministro Aleš Hojs ha esposto la linea del proprio governo sloveno sottolineando l’intenzione di “lavorare per rafforzare i controlli alle frontiere esterne dell’UE e intensificare i rimpatri”.
Oltre la retorica
Spesso in politica le buone intenzioni sottoscritte in dichiarazioni e documenti programmatici lasciano spazio alla realtà dei fatti. Leggendo il programma della presidenza semestrale, il governo sloveno potrebbe apparire come un governo progressista attento al futuro dell’Europa e dei suoi vicini balcanici. La realtà però è ben diversa e a dimostrarlo sono le politiche portate avanti in questi anni da Janša e dal suo esecutivo.
Sul tema della capacità di fornire una risposta efficace alle crisi sanitarie basti ricordare, ad esempio, lo scandalo scoppiato nell’aprile 2020 che aveva portato addirittura alle dimissioni del ministro dell’Interno, del capo della polizia e dell’iscrizione nel registro degli indagati del ministro dell’Economia Zdravko Počivalšek. L’inchiesta riguardava l’affidamento ad un’azienda vicina al governo di un appalto di circa 8,8 milioni di euro per la fornitura di materiale sanitario, risultato poi qualitativamente non adeguato.
Anche sul tema della transizione ecologica il governo ha dimostrato più volte di agire in contrasto con essa. Nonostante la Slovenia sia tra i paesi europei più attenti alla tutela dell’ambiente, non sono mancate nell’ultimo anno alcune modifiche legislative valutate negativamente dalle organizzazioni ambientaliste. L’anno scorso, una modifica al Nature Conservation Act impediva a quasi tutte le ONG la possibilità di verificare la legalità in materia di protezione della natura per i permessi di costruzione, come invece precedentemente previsto dalla legge. Il prossimo 11 luglio, inoltre, si svolgerà un referendum per la difesa dell’acqua. Secondo le ONG che hanno proposto la consultazione, le nuove norme emanate a marzo scorso dal parlamento favoriscono la costruzione di impianti produttivi e discariche in aree protette, limitando l’accesso all’acqua come bene comune.
Altrettanto contraddittoria l’azione in materia di Stato di diritto e libertà di espressione. In questi anni Janša si è contraddistinto per la sua personalissima guerra contro i media che osano criticare il suo operato. Un guerra fatta di offese pubbliche e limitazioni all’operato della stampa non allineata come dimostrato dalla decisione di interrompere i fondi pubblici per la televisione di Stato e dell’agenzia di stampa STA. Un deterioramento della libertà di espressione sottolineato anche dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović che lo scorso 4 giugno ha pubblicato un Memorandum in cui sottolinea che “i passi compiuti dal governo sloveno negli ultimi mesi rischiano di minare la capacità delle voci indipendenti di esprimersi liberamente” e che “le intimidazioni contro gli attivisti della società civile e coloro che esprimono opinioni critiche danneggiano la libertà di espressione e possono avere un effetto dissuasivo sulla libertà dei media”.
Infine, in linea con il percorso che lo ha portato da posizioni liberali e filoeuropeiste a posizioni di destra radicale caratterizzate da toni euroscettici e anti-migranti, Janša può contare su amicizie internazionali ben poco invidiabili. Tra queste quella con l’ex presidente statunitense Donald Trump. Janša è stato infatti l’unico leader europeo a supportarlo nella battaglia contro i risultati delle elezioni statunitensi dello scorso novembre. A livello europeo invece, il premier sloveno non ha mai nascosto la sua simpatia e vicinanza con il primo ministro ungherese Viktor Orban, considerato un vero e proprio modello (negativo) sui temi dei diritti civili.
Anche se probabilmente il semestre di presidenza a guida slovena non lascerà un’impronta significativa nella storia dell’Unione Europea, questa si inserisce in un periodo delicato per l’Unione alle prese con alcune delle sfide più difficili degli ultimi decenni. A guidarla sarà un governo sempre più vicino alle cosiddette “democrazie illiberali”, con una visione politica della società e dell’Europa fortemente conservatrice. Non esattamente quello che servirebbe al rilancio del progetto europeo.