Solitudine, incertezza, paura, torture, il rischio della morte, un’incrollabile forza per un progetto di vita.
Martire, dal vocabolario Treccani: “Persona che vive in continue tribolazioni, che sopporta continui maltrattamenti”.
La vita di un migrante è tale per cui sia spinto a sradicarsi dalla propria terra, cultura, dai propri affetti, per cercare una vita migliore: la sua condizione di tribolazione inizia già nel suo paese di origine, la sfortuna di essere nato dalla parte “sbagliata” del mondo.
Tutti noi cerchiamo di migliorare la nostra vita, cambiamo lavoro, a volte città, a volte andiamo a lavorare all’estero perché qui non siamo valorizzati.
Il livello di vita spinge la persona migrante ad intraprendere un viaggio che lo segnerà per sempre, che lo renderà merce di scambio in balia di trafficanti di esseri umani, che lo esporrà a torture, in molti casi alla morte.
Il viaggio in sé è sofferenza, sia che la persona viaggi sulla rotta mediterranea, sia su quella balcanica, attraverserà situazioni umanamente infernali: il Niger, i lager libici, il concreto, sempre più concreto, rischio di annegare nel Mediterraneo oppure il viaggio nei doppifondi dei cassoni dei camion, dei container, la Turchia, gli inqualificabili campi Greci, il game attraverso i campi minati bosniaci, le brutali percosse della polizia croata.
Le parole sono importanti e non vanno destituite, svuotate di senso: sentiamo i nostri politici, i membri del Governo, parlare di “lotta all’immigrazione” aggiungendo che deve essere fatta nel rispetto dei diritti umani.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 13), sancisce la libera circolazione delle persone.
Il trattato di Schengen, l’Art. 16 della Costituzione Italiana sanciscono la libertà di circolazione come un diritto, ma se è un diritto, non può essere limitato a categorie di persone: italiani, europei, la distinzione implica un processo discriminatorio.
Parlare di “lotta all’immigrazione” e di diritti umani è un ossimoro: negare la libera circolazione delle persone è di per sé la negazione di un diritto e la negazione di un diritto porta inevitabilmente alla negazione di altri diritti, via via fino ad arrivare a perquisizioni, avvisi di reato, a chi opera nelle ONG, colpevoli di aver soccorso, all’intercettazione, alla violazione della privacy di bravissimi colleghi come Nello Scavo e Francesca Mannocchi, rei di aver esercitato un diritto/dovere: l’informazione ai cittadini.
Sentiamo parlare di lotta ai trafficanti di uomini, salvo poi farne accordi, ma il traffico di esseri umani sussiste proprio a causa della negazione del diritto di libera circolazione delle persone.
E poi se si ha fortuna, molta fortuna, si giunge in Europa: è la fine delle sofferenze?
Continua a sussistere il divieto di circolazione, si è guardati con sospetto, un’escalation di sospetto, da parte di organi istituzionali, considerati “diversi” e, soprattutto, non si gode degli stessi diritti di chi ti circonda: in parole povere non si è tutelati.
Tutto questo non perché la persona abbia commesso reati, ma semplicemente perché migrante, si viene continuamente fermati, controllati, vessati, estenuati da una burocrazia ben più lenta e fallace che per gli italiani.
Ognuno di noi ha provato le costrizioni della pandemia, il non potersi spostare liberamente, sono innegabili e da più parti denunciati gli effetti psicologici che le condizioni di costrizione determinate dalla pandemia hanno causato alla popolazione: queste costrizioni sono vita quotidiana per le persone migranti, il disagio psicologico delle molteplici costrizioni va a sommarsi al vissuto dello sradicamento dal Paese di origine e al terribile vissuto del viaggio.
Si comincia timidamente a parlare della condizione psicologica e mentale delle persone migranti, ma lo fanno in pochi, dall’altra parte ci sono dichiarazioni sulla problematicità delle persone migranti, del fatto che si “ribellino”.
Eppure ci sono stati disordini pesantissimi in Italia durante la seconda ondata pandemica, gli italiani si sono ribellati per la semplice costrizione di una mascherina, c’è chi ha inneggiato alla dittatura.
Attualmente la “lotta all’immigrazione” elude un principio giurisprudenziale fondamentale: la gerarchia delle fonti, ad esempio una Legge non può contravvenire ad un Articolo della della Costituzione perché costituisce una fonte gerarchicamente più alta.
Vengono elusi trattati, convenzioni internazionali ratificate da decine d’anni, il Diritto del Mare, perfino gli Accordi di Dublino: questo avviene sulla base di un esercizio dell’arbitrio di chi nella politica, nel Governo, nelle Istituzioni, si sente forte di un supposto consenso popolare.
Quale sarà la prossima “categoria” di persone che un’escalation di questi arbìtri, “forti” del supposto consenso popolare, colpirà? Davvero possiamo pensare che sulla base di queste risultanze ci possiamo sentire tutti al sicuro?
Sono meccanismi che abbiamo già visto nel periodo più buio del ‘900: un “consenso popolare”, tra l’altro, costruito ad arte.
Arbitrariamente si rende estremamente difficile alle persone migranti poter fare domanda di asilo, diritto inalienabile, si utilizzano sistemi, anche questi di fatto arbitrari, come le “riammissioni informali” in Slovenia messe in atto dal Viminale a Trieste e bloccate dall’Ordinanza del Tribunale di Roma del 18/01/2021.
Fino all’atto peggiore, eticamente più “marcio” e inaccettabile: la privazione della libertà nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) ai fini della “restituzione” – come una merce comprata su internet – della persona al proprio Paese di origine, vanificando, destituendo di qualunque dignità, le ragioni e le sofferenze del viaggio, sommando sofferenza a sofferenze.
No, una volta arrivati in Europa, in Italia, le sofferenze delle persone migranti non terminano, la differenza è che ne siamo direttamente e interamente responsabili.
Martire: Persona che vive in continue tribolazioni, che sopporta continui maltrattamenti.