Lo sfruttamento non sostenibile da parte dell’industria di trasformazione dei prodotti forestali causa enormi quantità di emissioni di carbonio.
Le foreste sono enormi serbatoi di carbonio, che coprendo un terzo della superficie terrestre del pianeta assorbono e immagazzinano l’anidride carbonica, tenendola fuori dall’atmosfera dove contribuirebbe al riscaldamento globale. Solo gli oceani immagazzinano più carbonio. Preservare le foreste è stato a lungo considerato essenziale per il mantenimento di un ambiente planetario sano, ma gli scienziati stanno iniziando ora a capire quanto importanti siano le foreste nella lotta contro i cambiamenti climatici.
Un recente studio condotto da un team di ricercatori internazionali afferenti a diverse istituzioni, tra cui la NASA, il World Resources Institute, il California Institute of Technology, l’Università di Wageningen nei Paesi Bassi e il Center for International Forestry Research in Indonesia, ha permesso di integrare i dati di terra e le immagini satellitari per mappare le emissioni annuali di gas serra delle foreste mondiali. Hanno scoperto che tra il 2001 e il 2019, le foreste hanno immagazzinato circa il doppio dell’anidride carbonica di quella che hanno emesso. “Le foreste forniscono un ‘deposito di carbonio’ che assorbe un netto di 7,6 miliardi di tonnellate metriche di CO2 annuo, 1,5 volte più carbonio di quello emesso annualmente dagli Stati Uniti”, scrivono due degli autori del rapporto, Nancy Harris e David Gibbs del World Resources Institute. “Nel complesso, i dati mostrano che salvaguardare le foreste esistenti rimane la nostra migliore speranza per mantenere la grande quantità di carbonio che le foreste immagazzinano e continuare la cattura del carbonio che, se interrotta, porterà al peggioramento degli effetti dei cambiamenti climatici”.
“Le sole foreste tropicali assorbono fino a 1,8 gigatoni di carbonio dall’atmosfera ogni anno”, secondo il WWF, un’organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera che si adopera per preservare le aree naturali terrestri. “Tuttavia, l’agricoltura, la silvicoltura e altri usi della terra sono responsabili di quasi un quarto di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo… Porre fine allo sfruttamento eccessivo delle foreste, ripristinarle e preservarne il deposito di carbonio, ci dà il potenziale per evitare più di un terzo delle emissioni globali”.
A marzo, decine di gruppi di difesa dell’ambiente, tra cui il John Muir Project, la Wilderness Society, il Sierra Club, Earthjustice e l’Alaska Wilderness League, hanno presentato una lettera a John Kerry, l’inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti per il clima, e a Gina McCarthy, la consigliera nazionale per il clima della Casa Bianca, sollecitando l’amministrazione Biden a proteggere le foreste ad alta densità di carbonio nella Nationally Determined Contribution (NDC) degli Stati Uniti, ovvero i piani di azione per il clima creati dagli stati firmatari dell’Accordo di Parigi. L’NDC è attualmente in fase di stesura da parte del team per il clima del presidente Biden e sarà presentato alle Nazioni Unite nel corso dell’anno. La coalizione ha sottolineato in particolare la necessità di proteggere la foresta nazionale Tongass nel sud-est dell’Alaska. Estendendosi per più di 67500 chilometri quadrati, il Tongass è la più grande foresta nazionale, il più grande deposito di carbonio negli Stati Uniti, ed è anche la più grande foresta pluviale temperata rimasta sul pianeta.
“L’articolo 5 dell’Accordo di Parigi esorta le parti a preservare e potenziare i serbatoi e le riserve, comprese le foreste”, afferma la lettera. “L’NDC degli Stati Uniti non può avvicinarsi al livello di impegno necessario senza soluzioni climatiche naturali solide e basate sulla scienza, e che includano la protezione di tutte le nostre foreste antiche e vetuste rimanenti, come quelle del Tongass. Includere il Tongass e altre antiche foreste nel nostro NDC manderà al mondo il segnale che gli Stati Uniti sono pronti a guidare il processo di protezione delle soluzioni naturali fondamentali per il clima”.
Oltre a sequestrare il carbonio e a proteggere il clima terrestre, le foreste forniscono una vasta gamma di funzioni ecosistemiche, dalla fornitura di cibo, combustibile, legname e fibre, alla purificazione dell’aria, al filtraggio delle risorse idriche, al mantenimento degli habitat della fauna selvatica, al controllo delle inondazioni e alla prevenzione dell’erosione del suolo. Inoltre, la pandemia di COVID-19 ha reso chiaro alla collettività qualcosa che gli scienziati hanno segnalato per decenni: la deforestazione va collegata alla diffusione di malattie zoonotiche. Queste funzioni sono a rischio quando le foreste vengono abbattute per ricavarne prodotti dal legname e per effettuare cambiamenti nell’uso del suolo, come la creazione di spazio per le industrie che hanno un impatto distruttivo sul clima, ad esempio l’industria della carne.
Per decenni, la politica federale forestale statunitense ha servito gli interessi dell’industria di trasformazione dei prodotti forestali, permettendo e addirittura sovvenzionando la deforestazione non sostenibile. Questo, a sua volta, è la causa di elevate emissioni di carbonio. Dogwood Alliance, un’organizzazione no-profit con sede ad Asheville, in Carolina del Nord, sta lavorando per proteggere le foreste meridionali della nazione in 14 stati, tramite il lancio di una petizione pubblica che esorta l’amministrazione Biden a “ritenere responsabile l’industria forestale per l’impatto che esercita sul clima, sulla biodiversità e sulle comunità” ed “elaborare una tutela decisa, ecologicamente sostenibile e rispettosa dell’ambiente” a favore delle foreste.
Il beneficio economico dato da foreste sane è significativo. Secondo la Dogwood Alliance, le funzioni ecosistemiche che le foreste umide forniscono, valgono più di 500 miliardi di dollari, che potrebbero raggiungere quasi 550 miliardi di dollari se altri 52600 km2 di foreste umide venissero protetti e gestiti in modo sostenibile. “Il valore delle funzioni ecosistemiche di una foresta umida gestita in modo intensivo è di soli 1.200 dollari per acro”, dice il gruppo, che ha lavorato per informare il pubblico sui pericoli dell’industria del pellet. “Ma le foreste umide, se lasciate in pace, valgono più di 18.600 dollari per acro. Spostando l’attenzione della gestione dalla produzione di legname alla salute dell’ecosistema nativo, le foreste umide aumentano di valore di oltre quindici volte”.
“Le foreste sono diventate rapidamente una fonte da combustibile di biomassa nell’UE“, scrive su Truthout la collaboratrice di Earth | Food | Life Danna Smith, fondatrice e direttrice esecutiva della Dogwood Alliance. “Il bilancio fallace del carbonio presuppone che bruciare alberi sia neutrale se un albero viene piantato per sostituire quello che è stato abbattuto, ma la biomassa importata dagli Stati Uniti all’UE non viene mai contabilizzata correttamente. Questo ragionamento errato ha portato a ingenti sussidi per l’energia rinnovabile della biomassa nell’ambito del programma della direttiva sull’energia rinnovabile dell’UE. Ha inoltre ulteriormente incoraggiato paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Danimarca a sovvenzionare la distruzione delle foreste per il combustibile in un momento in cui abbiamo bisogno di far crescere le foreste per assorbire il carbonio dall’atmosfera, proteggere la biodiversità e rafforzare le protezioni naturali contro inondazioni e siccità estreme”.
“Gli alberi hanno pensieri di lunga durata, tranquilli e di lungo respiro, come hanno una vita più lunga di noi”, scrisse il poeta e romanziere svizzero-tedesco Hermann Hesse nella sua raccolta del 1920, Wandering: Notes and Sketches. “Sono più saggi di noi, finché non li ascoltiamo”. Mentre quasi 200 nazioni nel mondo tentano di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima di mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali, è ora di ascoltare la saggezza degli alberi.
Di Reynard Loki
Questo articolo è stato redatto da Earth | Food | Life, un progetto dell’Independent Media Institute.
Traduzione dall’inglese di Cecilia Costantini. Revisione di Thomas Schmid
Reynard Loki è uno scrittore membro dell’Independent Media Institute, dove lavora come redattore e corrispondente principale per Earth | Food | Life. In precedenza ha lavorato come redattore per l’ambiente, il cibo e i diritti degli animali presso AlterNet e come reporter per Justmeans/3BL Media occupandosi di sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese. È stato nominato uno dei 50 Health & Environmental Journalists to Follow di FilterBuy nel 2016. Il suo lavoro è stato pubblicato, tra gli altri, da Yes! Magazine, Salon, Truthout, BillMoyers.com, CounterPunch, EcoWatch e Truthdig.