Gli indigeni brasiliani tornano a manifestare contro le leggi di Bolsonaro che mirano a riappropriarsi delle terre ancestrali dei popoli indigeni, legalizzando l’estrazione mineraria.
Già il 19 aprile circa 130 leader indigeni avevano protestato in occasione della Giornata della Resistenza Indigena, davanti alla Plaza de los Tres Poderes a Brasilia, in difesa dei loro territori e dei diritti costituzionali.
In particolare, gli indigeni manifestavano contro il Bill (PL) 191/2020, presentato al Congresso dal governo di Jair Bolsonaro, che mirava a legalizzare l’estrazione mineraria all’interno delle Terre Indigene.
Alla mobilitazione parteciparono indigeni di 6 stati: Tocantins, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Mato Grosso do Sul e Pará. I popoli indigeni di Xerente, Krahô, Krahô Takaywra, Xokleng, Kaingang, Terena, Guarani e Kaiowá, Kinikinau, Munduruku, Tupinambá e Arapium hanno protestato sulla spianata in difesa dei loro territori, dei diritti costituzionali e contro i progetti di sfruttamento delle loro terre da parte dell’estrattivismo minerario e dell’industria agroalimentare.
Il 20 aprile i gruppi rappresentativi indigeni si erano recati al Ministero della Giustizia e ai Ministeri della Salute e Ambiente, ponendo l’attenzione sull’abbandono delle comunità, gravemente colpite dalla pandemia, che ha già contagiato più di 50mila indigeni, secondo l’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib). Al Ministero dell’ambiente era stata denunciata l’induzione a commettere reati ambientali, incentivati dallo stesso ministro dell’ambiente brasiliano anche all’interno delle terre autoctone, come nel caso delle miniere.
Infine, il Ministero della Giustizia è legato alla Fondazione Nazionale Indigena (Funai), incaricata della demarcazione delle terre indigene, paralizzate e sfigurate sotto il governo Bolsonaro, e di sovrintendere alla lotta contro le invasioni nei territori, inoperanti nell’attuale gestione.
Sotto il governo del presidente Jair Bolsonaro, le popolazioni indigene sono state attaccate e i loro diritti sono costantemente minacciati.
Sotto il comando del Ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, il governo ha sempre più indebolito la protezione dei territori indigeni e quindi ha favorito l’invasione di taglialegna, minatori e agricoltori illegali. Sempre nell’aprile 2020, il video di un incontro tra il presidente Jair Bolsonaro e i suoi ministri evidenziava le pessime politiche del governo federale sull’ambiente.
Oltre ad attaccare le popolazioni indigene con la deforestazione, il governo federale non ha fatto abbastanza per preservare la vita delle popolazioni indigene di fronte alla nuova pandemia di coronavirus.
Martedì 8 giugno gli indigeni tornano a manifestare, chiedendo che il disegno di legge lasci l’ordine del giorno e non venga votato alla Camera dei deputati.
In un appello alla giustizia per il ritiro del disegno di legge 490 per porre fine alle demarcazioni territoriali, i rappresentanti delle popolazioni indigene autoctone del sud e del sud-est del Brasile hanno occupato il tetto del Congresso Nazionale, proprio dove il disegno di legge era stato votato da la Commissione Costituzione e Giustizia (CCJ) della Camera dei Deputati.
Il progetto autorizza il governo da decenni ad usare a proprio uso e consumo i territori indigeni in suo potere e metterli nelle mani di compagnie predatorie come quelle del settore minerario, oltre a rendere impraticabili le demarcazioni, paralizzate dal governo di Jair Bolsonaro”, secondo quanto spiegato dall’Apib.
“Abbiamo detto che saremmo tornati vivi, o che avremmo dato la vita per la nostra gente. E oggi quel giorno è arrivato. Siamo qui perché non abbiamo più scelta”, ha detto Kretã Kaingang, del coordinamento esecutivo dell’Apib , dal tetto del Congresso Nazionale.
La proposta ha una clausola che afferma che solo i popoli con i territori in possesso dal 5 ottobre 1988, giorno di promulgazione della Costituzione, avrebbero diritto alla terra, oppure in mancanza di controversie legali o conflitto diretto con gli invasori.
Secondo gli analisti, questa sezione cancellerebbe praticamente un’intera storia di episodi di espulsioni, trasferimenti forzati e violenze commesse contro queste popolazioni, soprattutto durante il periodo della dittatura, oltre a negare la possibilità di presentare sfide durante le fasi del processo di demarcazione.
Gli indigeni hanno affermato che si fermeranno solo quando il progetto sarà rimosso dall’agenda, nonostante le conversazioni tenute con la senatrice Eliziane Gama (Cittadinanza-MA), leader del blocco del Senato indipendente, il deputato Enio Verri (PT-PR) e Joenia Wapichana (Rede-RR), primo deputato federale indigeno del Brasile.
Nel frattempo, i membri delle 70 città di Terena, Kaingang, Tupi Guarani, Guarani Mbya, Guarani Nhandeva, São Paulo e Paraná rimangono in mobilitazione.