Come nasce l’Associazione Veronica Sacchi e cosa fate?
L’associazione è ispirata a mia figlia Veronica e la presidente è la mia ex moglie Claudia Capurro, madre di Veronica. Nel 2000 perdemmo nostra figlia quando aveva diciassette anni; l’associazione nasce dunque da un evento tragico. Nell’ultimo periodo della sua vita Veronica, che aveva sempre avuto molta sensibilità per il sociale, si era avvicinata al volontariato.
Dopo una notte magica alla Fabbrica del Vapore di Milano, decidemmo di creare qualcosa che avvicinasse e sensibilizzasse i giovani al volontariato; volevamo offrire uno strumento che fosse coinvolgente e piacevole. Pensammo alla clown-terapia e cominciammo a organizzare dei corsi di formazione rivolti ai giovani dai diciassette ai trentacinque anni.
All’inizio ero parte attiva dell’organizzazione; assieme a Claudia cominciammo ad organizzare i corsi e a tentare di raccogliere fondi per poter sopravvivere. Le prime uscite erano un po’ improvvisate: passavo a prendere i ragazzi volontari dopo le telefonate degli ospedali che richiedevano la nostra presenza. Devo premettere che i corsi sono nati grazie alla forte collaborazione con un’altra associazione di clowns, “Clown One”, la cui presidente Ginevra Sanguigno è la rappresentante in Italia di Patch Adams. Grazie a lei abbiamo strutturato il primo corso dopo aver trovato vari formatori. Alcune uscite le facevamo assieme a lei. Un giorno ci richiese un intervento una casa di cura in Liguria; mi feci prestare un furgone da un amico e partimmo con sette clowns. Io pensavo di rimanere in macchina ad aspettare i ragazzi e invece Ginevra mi diede un naso rosso invitandomi a unirsi a loro. Quello fu il mio debutto.
Questo percorso mi ha aiutato a trovare una strada per vivere meglio e accettare la morte di mia figlia. Non sono un uomo di fede, credo in ciò che faccio e tutto questo mi ha aiutato molto. L’idea di fare qualcosa per gli altri mi riempie di umanità.
Durante i corsi i ragazzi hanno momenti di incontro in un ambiente in cui si organizzano attività teatrali come micro-magie, improvvisazioni e manualità con palloncini. Sono attività coinvolgenti, ma non fini a se stesse: le organizziamo perché siano propedeutiche all’attività di volontariato.
Dopo la prima parte della formazione, che dura cinque fine settimana, ci si mette in gioco nelle prime uscite affiancati da clowns più esperti, medici e infermieri che danno istruzioni sul comportamento da tenere. Dopo il primo anno si riceve il diploma di “Clown dottore” e si continuano le visite nei diversi centri in cui operiamo.
Essere volontario significa assumersi le proprie responsabilità. Fino ad oggi possiamo dire di aver formato circa settecento volontari, anche se lo zoccolo duro è costituito da un centinaio di persone; alcuni hanno abbandonato l’attività di volontariato per varie ragioni, tra cui la difficoltà a relazionarsi con la sofferenza dei bambini. Tentiamo di mantenere alta la motivazione dei ragazzi; ad esempio a febbraio organizziamo una serata in cui si consegnano vari Oscar ai clowns.
Cosa hai imparato da queste esperienze?
Ho cominciato a partecipare anch’io ai corsi e a coinvolgermi moltissimo; uscivo negli ospedali con i ragazzi, visitavamo i carcerati, ci chiamavano nelle case di cure, abbiamo affiancato gli anziani nelle RSA e i disabili. Non perdevo occasione per fare parte di questa realtà; anche se è banale dirlo, ho imparato che a fare del bene si riceve una risposta fortissima. Un nostro volontario diceva: “Siamo degli egoisti perché riceviamo di più di quello che diamo”. Sembra un controsenso, eppure c’è del vero in questa affermazione. Anche in situazioni difficili il fatto di essere il rappresentante e il fondatore di questa associazione mi ha dato una forza e una motivazione che mi hanno permesso di non sentirmi a disagio o di soffrire di fronte a situazioni dure, come a Kiev. Voglio che le persone che ho davanti stiano meglio e questo proposito mi dà molto ancora adesso; inoltre vedo la bellezza dei volontari e come loro stessi si sentano bene. Alcuni ragazzi si sono iscritti ai corsi perché venivano da momenti oscuri, di forte difficoltà e non riuscivano a dare un senso e un valore alla loro vita. Grazie a questo servizio sono cambiati.
Dove svolgete le vostre attività?
Siamo attivi in alcuni ospedali di Milano, come il Gaetano Pini nel reparto di oncologia pediatrica, il Buzzi, il San Paolo, il San Raffaele e all’ospedale Manzoni a Lecco. Visitiamo la casa di cura degli anziani di don Orione e la Sacra Famiglia per disabili. Prima delle restrizioni legate al covid facevamo delle uscite quotidiane, mentre nel periodo estivo organizzavamo dei viaggi umanitari all’estero. Quest’anno abbiamo inventato lo smart-clowning, per rimanere in contatto da remoto con malati, anziani e disabili.
Siamo andati in India l’anno successivo allo tsunami e in Albania siamo stati ospiti per vari anni in un villaggio di bambini orfani; là abbiamo avuto anche la possibilità di organizzare dei corsi di formazioni per ragazzi del villaggio, in modo che potessero essere loro a rallegrare i bambini. Come accennavo prima siamo stati a Kiev in un ospedale di oncologia nel ventesimo anniversario della nube tossica di Chernobyl, quando nascevano ancora bambini con masse tumorali a seguito delle radiazioni. Quella è stata un’esperienza fortissima, sia per la triste situazione dei bambini, sia perché inizialmente eravamo visti come gente aliena. Ricordo come i medici ci guardassero stupiti; non riuscivamo a comunicare con loro per la differenza linguistica, ma poi siamo riusciti a intenderci a gesti e sorrisi. All’inizio è stata dura, ma prima di andarcene abbiamo provato grandi gioie. I medici hanno capito che eravamo lì per offrire un po’ di leggerezza e di allegria ai bambini e compreso l’impegno che eravamo assunti. L’ultimo giorno le madri dei bambini hanno deciso di applaudirci.
Siamo stati a Nairobi nelle baraccopoli di Korogocho, realtà che molti rifuggono per le grandi sofferenze che si vivono; ricordo i bambini inalare colla per non sentire i morsi della fame. Grazie all’aiuto di un grande missionario, Daniele Moschetti, siamo riusciti a entrare nelle baraccopoli e a organizzare degli spettacoli per i bambini. Appena arrivati eravamo spaventati e allarmati da questa situazione di degrado; la tensione iniziale però è stata sciolta da un clown che appena sceso dal furgoncino ha abbracciato un bambino; all’inizio c’è stata una reazione di sorpresa, ma l’ultimo giorno non volevano lasciarci andare via.
Siamo stati in Nepal, Congo, Marocco, Argentina e Russia; qui ho partecipato al clown tour con Patch Adams, il medico che ha diffuso la clown-terapia nel mondo.
In Palestina abbiamo notato l’abissale differenza con Israele e il trattamento ai checkpoint che i palestinesi devono subire per poter lavorare in Israele. Abbiamo visto anche come gli insediamenti dei coloni israeliani non siano poi così pacifici: prima occupano gli spazi e poi installano delle torrette militari. Organizziamo delle missioni ogni estate e nel periodo di Pasqua.
Perché fate quello che fate?
Il volontariato è un valore da coltivare, a cui vogliamo avvicinare e sensibilizzare le nuove generazioni. Alcune scuole di Milano, come il liceo Virgilio, il Leopardi o l’istituto delle Orsoline, ci hanno chiamato per coinvolgere i ragazzi in brevi corsi. Alcuni sono venuti con noi negli ospedali.
La clown-terapia ti aiuta a sopportare meglio la sofferenza; il nostro obiettivo non è quello di far ridere, ma di trasmettere al bambino terminale un senso di leggerezza. Tentiamo di distrarlo dalla sua condizione di sofferenza e di portarlo su un altro mondo. Con gli anziani invece è diverso, si instaura un rapporto più comunicativo. Spesso ci capita di ascoltare le loro storie, accogliendone la solitudine, o di ballare assieme a loro.
La clown-terapia non fa miracoli, ma aiuta. Un giorno un capo infermiere dell’ospedale Niguarda di Milano ci ha detto una bellissima frase: “Non aggiungere giorni alla mia vita, ma vita ai miei giorni”.
La clown-terapia funziona dovunque siamo stati; il riscontro che hai non si può descrivere a parole. Quando sento i ragazzi volontari dopo la loro prima uscita, mi emoziono ascoltandoli raccontare come il primo sorriso che vedono in un bambino gli riempia il cuore.
E’ importante che i giovani si impegnino nelle attività sociali, che aggiungono valori immensi alla vita, così come un senso di comunità e di appartenenza molto forte.
Come si può contattarvi?
Probabilmente, restrizioni permettendo, a inizio del 2022 riprenderemo i corsi di formazione, aperti a persone dai 17 ai 35 anni. Tutte le informazioni si trovano nel sito www.veronicasacchi.it, così come l’indirizzo mail a cui inviare la richiesta di partecipazione, a seguito della quale si riceve un modulo da compilare.