Mi scrive Emanuela Bussolati, “architetta che progetta libri per bambini”. Mi dice: “Andrea, da più di due settimane c’è un maestro che nell’astigiano sta facendo uno sciopero della fame, sentiloooo…”. Il giorno stesso mi collego via skipe con Giampiero Monaca e parliamo a lungo.
Giampiero è nella sua vecchia land rover, davanti ai cancelli chiusi della sua scuola, il cielo è nero, si preannuncia un temporale. Il suo volto ricorda quello di Luigi Lo Cascio (quando impersona Peppino Impastato), capelli un po’ sugli occhi, barba lasciata crescere, sorridente, la voglia di parlare, di raccontare. Non sembra per nulla provato dal fatto che dal 6 giugno non mangi nulla, beva solamente. Gli chiedo di partire dall’inizio.
“Classe 1972, nato e cresciuto ad Asti, liceo scientifico, provo inizialmente a studiare scienze naturali e psicologia, scelgo quindi la via del volontariato (sarò obiettore di coscienza nella comunità per recupero tossicodipendenti della Caritas di Asti), poi inizio a lavorare come artigiano grafico autonomo e continuo per circa 10 anni. Sono stato scout tutta la vita e questo è stato per me molto importante, ma soprattutto sono figlio di una maestra pioniera delle pedagogie innovative e della scuola accogliente sin dagli anni ‘50 e di un educatore-formatore-artista (genitori dei quali vado fiero) e quindi ho respirato quest’aria da sempre. Ero un felice piccolo imprenditore, ho lavorato per cinque estati in Islanda nel turismo dove ho imparato a incontrare, conoscere e valorizzare; sono state le insistenze di mia madre che hanno fatto sì che “prendessi il pezzo di carta”, il diploma magistrale e di seguito superassi il concorso. Chiamato per periodi brevi ho rifiutato, ma quando mi è stato assegnato un posto di ruolo sono entrato nella scuola.
Ho iniziato 15 anni fa a fare il maestro elementare in una delle più grandi scuole di Asti. Per tre anni sto “nei ranghi” osservando bene cosa fanno le colleghe. Già in questi primi anni qualcosa però ci inventiamo: coi bimbi progettiamo e scaviamo uno stagno didattico da due metri cubi in cortile, fronteggiamo gli sprechi alimentari in mensa, usciamo appena possibile. Tutte queste azioni vengono in genere viste bene dalle colleghe che le considerano un po’ strane, un po’ naif, ma simpatiche. Mi chiamavano il “maestro dei ranocchi”. Mi chiamavano sempre quando c’era bisogno di dare una mano o aiutare a risolvere un problema. Non ho mai cambiato circolo, un collegio docenti enorme, almeno 90 insegnanti, tre uomini.
Finito, dopo 3 anni, quel primo ciclo che avevo iniziato, inizio a lavorare con una collega, Lina, che chiede di lavorare con me. Lavoriamo insieme per 8 anni e va tutto molto bene quasi fino all’ultimo. Nasce questo progetto “Bimbisvegli di Lina e Giampiero”, lavoriamo davvero bene. Tutto va a gonfie vele, ci compensiamo, facciamo un sacco di cose belle, genitori e bimbi sono contentissimi. Facciamo finalmente le programmazioni parlando di bambini e bambine. Ma tra le tante cose organizziamo a partire dal 2010 degli incontri pubblici, un paio all’anno, in cui si “esce pubblicamente”, in una grande sala di Asti, e mettiamo a dialogare i bimbi con dei “bei personaggi” viventi: il pacifista Nanni Salio, Stefania Calza di Emergency, Beppe Passarino storico capo scout ed assessore astigiano. La sala di 300 posti si riempiva. Preside e provveditore entusiasti. Il progetto “Bimbisvegli” nasce definitivamente con la morte di Vittorio Arrigoni: noi coi bimbi della nostra quarta seguivamo le sue corrispondenze da Gaza e la sua morte ci gela, ci sconvolge. Ci inventiamo un blog, ricordo che alcuni si scandalizzarono molto per il soggetto (e tenete conto che ogni anno ricordavamo la Shoà nella giornata della memoria…). Negli anni successivi invitiamo la mamma di Vittorio, giriamo un film su Antigone.
Ci interroghiamo insieme, tra vecchi e giovanissimi cittadini di questo mondo, nel trovare strategie per rendere un po’ migliore questo mondo, colmo di ingiustizie. Nel frattempo scopriamo, conosciamo, impariamo, attraverso il fare, l’esperienza, quindi se studiamo gli Etruschi faremo anche noi il bucchero cercando l’argilla e cuocendola e se sono gli Egizi facciamo una mummificazione in classe. Ma se si parla poi di mondo scopriamo dove sono prodotte le scarpe e le magliette che indossiamo. Sentivo progressivamente montare un malcontento tra i corridoi scolastici, fino ad attaccare quello che facevamo. Con i genitori molta stima, qualche critica, ma molta dialettica. Presentavo il mio lavoro come quello di un qualsiasi artigiano che abbia una bottega. A quel punto, infatti, si arriva all’importante conquista che i genitori possono chiedere di entrare (o non entrare) in questa classe con questo modello di scuola mediante una casellina sul modulo di iscrizione che permette di scegliere il “progetto bimbisvegli”. Dopo 8 anni “di sodalizio” la strada con Lina si interrompe e a me viene proposto di andare a coprire un posto in un plesso poco fuori Asti. Una scuoletta, dello stesso circolo, che sta per chiudere, con dei numeri esigui.
Il clima negli ultimi tempi era peggiorato, da più parti arrivavano critiche o veri e propri attacchi, le presidi si erano avvicendate e dall’entusiasmo iniziale si era arrivati a serie difficoltà di comprensione. Per alcuni l’importante era che mi togliessi dai piedi. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato invitare il sindaco pacifista di Messina Renato Accorinti. La cosa interessante fu che questa scuola, che si stava svuotando, riprese fiato e in molti iscrissero i loro figli nella nostra classe. Se all’inizio, 4 anni fa, in questa nuova scuoletta è stata dura, con una grande fatica e una collega che non condivideva il progetto, poi sono arrivate Mariagrazia e Maria Azzurra, altre due persone interessate al modello e ora in questa scuola, da circa 20 bambini siamo arrivati a 53 iscritti. Io lavoravo 5 ore nelle diverse classi e il progetto andava bene. Collaboravamo da vicino con un centro di accoglienza di immigrati con i quali abbiamo fatto tante cose insieme, compreso abbellire e arredare la scuola, cose molto importanti.
Dall’arrivo dell’ultima dirigente, due anni fa, progressivamente abbiamo assistito a un’inesorabile delegittimazione e mutilazione di ciò che con entusiasmo si era costruito fino ad allora. Per le famiglie non è stato più possibile “scegliere” questo progetto, limiti su limiti a tutte le nostre attività, difficoltà per le uscite, per gli incontri con i migranti, fino alle diffide, alle lettere di richiamo, alla segnalazione alla commissione disciplinare, al procedimento penale, all’esposto in procura, alla richiesta della dirigente di 10 giorni di sospensione (risoltasi con un giorno di sospensione per una non corretta compilazione di un modulo di uscita) e compagnia bella. Via la bandiera della pace, via la possibilità di togliersi le scarpe per assecondare chi si lamenta, via gli accordi con il centro migranti che prevedeva un’attività di volontariato che completava il nostro orario scolastico, “crocefissione” per una foto con bimbi arrampicati su un albero a un metro e mezzo di altezza…”.
Parliamo a lungo, nel frattempo ogni tanto passa qualche suo alunno e alunna a salutarlo o qualche genitore con il quale deve mettersi d’accordo sui prossimi appuntamenti davanti a scuola; scoppia anche un temporale potente, ma Giampiero non perde il suo sorriso. Continua: “Sto facendo questa lotta adesso in forma “preventiva”: se il prossimo anno mi trovassi impossibilitato a procedere nel mio lavoro con la qualità in cui io credo e a far bene le cose che so far bene, non resisterei, so che mi ammalerei. La situazione deve risolversi ora e al più presto”. Non lo dice con rabbia o disperazione, ma con grande lucidità e determinazione.
Chiedo a Giampiero di contattare qualche genitore e così faccio: sono tutti preoccupati per la piega che sta prendendo questa vicenda, soprattutto per la salute del “loro maestro”. Seguivano con entusiasmo i percorsi dei loro figli e ora vedono tutto messo a rischio senza capire bene perché. Non perché Giampiero non li tenga informati, anzi. Ma non capiscono quale fastidio desse. E ciò che più li lascia basiti è il silenzio degli interlocutori istituzionali. Una cosa è certa: Giampiero non è solo. Insieme chiedono una risposta: come è possibile che un lavoro riconosciuto in passato da ministro, viceministro, che ricerche universitarie (Macerata) e convegni apprezzano, venga disprezzato nella sua sede e chi vi partecipa venga trattato da fanfarone?
Giampiero Monaca dedica tantissimo tempo al suo lavoro, lo fa molto bene, lo fa con attenzione, con passione, creatività, coinvolgendo le persone intorno a sé. Eppure va controcorrente, non solo rispetto al “normale” andamento di una scuola, bensì al “normale” corso della nostra società. Per questo disturba, mette in crisi, dà fastidio. Questo maestro si inserisce in una grande tradizione che da Socrate arriva fino a noi, passando per Rousseau, Maria Montessori, don Milani, Summerhill, Paulo Freire, i maestri Manzi, Bruno Cirino (vedi “Diario di un maestro”), Mario Lodi, le scuole nel bosco, le scuole libertarie. L’attenzione a ciò che ci sta intorno, senza il filtro di libri di testo spesso vetusti e insipidi, con un mondo da scoprire, un mondo carico di contraddizioni, complicato, magico e interessante, bello e brutto, ma che possiamo, e forse dobbiamo cercare di migliorare.
Socrate non finì bene, e anche gli altri hanno avuto, chi più chi meno, tante difficoltà, tanti attacchi. Ciò che più disturba è che quella stessa società che ora isola e attacca il maestro Monaca e il suo progetto è quella che “incensa” i suoi predecessori. Bene, starà anche a noi non lasciarlo solo e far sì che ogni progetto di buona scuola vada avanti, cresca e si faccia largo.
Foto di Giampiero Monaca