Ci sono gli ergastolani che sono prigionieri due volte: quelli che pensano che ancora hanno qualcosa da perdere e quelli che lasciano una cultura deviante per acquisirne una peggiore. Si fanno “prigionizzare”, diventando schiavi del carcere. Stanno attenti a non prendere rapporti disciplinari (non ci riuscirebbe neppure San Francesco, senza fingere) e per riuscirci infrangono tutte le altre leggi morali ed umane: non partecipano a proteste, non contestano nulla, insomma divengono attori, sceneggiatori di loro stessi. Secondo Clemmer, più che puntare alla rieducazione ci si dovrebbe preoccupare del fatto che la vita in carcere rende a poco a poco ogni individuo “un membro caratteristico della comunità penale, distruggendo la sua personalità in modo tale da rendere impossibile un successivo felice adattamento ad ogni alta comunità”. Questo tipo di ergastolani è molto apprezzato dal sistema punitivo. Il loro comportamento porta a un leggero vantaggio nell’avere qualche probabilità in più di uscire prima della morte biologica, ma quando ci riesci esci più morto di quando sei entrato. Corner sostiene che il carcere è peggiore di una “società fascista”, come questa è dittatoriale e si fonda sulla restrizione della libertà, ma il suo regime non sembra sovvertibile neppure con un tirannicidio o una rivoluzione. A suo parere le carceri sono persino peggiori dei campi di concentramento, perché sono permanenti e non limitati al tempo di guerra o alla durata di una dittatura.
Ecco la sesta testimonianza di un ergastolano:
Attualmente mi trovo con il fine pena mai nel circuito AS 3. Se si è colpevoli c’è rassegnazione e rabbia, se si è innocenti la rabbia diventa ira e la rassegnazione speranza, speranza che Dio cessi di divertirsi intervenendo solo come lui sa fare. Per un ergastolano, non c’è percezione del tempo in carcere, il cervello si inventa un diversivo per ovviare a questo e cioè il dolore che provi è nell’anima, quindi è subdolo; la conseguenza di ciò è il non pensare più al tempo che passa ma solo al modo di far cessare il dolore dell’anima che in modo implacabile ti avvolge. Non ti riconosci più. Vivere o morire? È una condizione umana e pertanto non può esserci una preferenza finché il cervello ti indica cosa fare. C’è una pena che può giustificare chi cagiona la morte di una persona? Penso di no, sono giusti 10, 20, 30 anni? Non si sa e nessuno può saperlo. Ci sono giudici liberi e capaci? Ci sono giudici che non debbono inchinarsi alle varie procure, esistono giudici che non usano le sentenze come vendetta? I miei familiari ancora oggi non riescono a vivere con questo dramma e peso e non ci riusciranno mai; sono cambiati nel tempo come sono cambiato io. Anche loro sembrano narcotizzati dal dolore perenne e vivono senza tempo. Una volta durante una traduzione alcuni detenuti parlavano così male degli ergastolani che non gli ho detto che lo ero anch‘io per vergogna. Dicevano di stare attenti che di loro non c‘era da fidarsi perché non avevano più nulla da perdere… non è vero, si ha sempre qualcosa da perdere: la dignità.