Nella ridda dei non-paper delle ultime settimane, non poteva mancare un ventilato non-paper redatto (?) in uno dei contesti più delicati dei Balcani Occidentali, la Republika Srpska, la Repubblica Serba di Bosnia.
L’attuale presidente della presidenza tripartita di Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, in alcune dichiarazioni riportate dalla stampa, ha sottolineato che in Bosnia non esiste un vero e proprio fattore di coesione capace di unire i popoli costituenti, vale a dire i bosgnacchi, i serbi e i croati di Bosnia, che rappresentano, al tempo stesso, le tre componenti maggioritarie della variegata composizione etnica del Paese, aggiungendo quindi di prevedere una «separazione pacifica», cioè proprio una delle opzioni illustrate nei recenti non-paper.
A tal proposito, commentando gli sviluppi della discussione internazionale che ha fatto seguito alla presunta esistenza di un non-paper che si dice – ma è già stato da più parti smentito – sia stato inviato dalla Slovenia a Bruxelles, all’attenzione di funzionari dell’UE, Dodik non ha perso occasione per ventilare l’esistenza anche di un altro non-paper, alludendo al fatto che la Republika Srpska ha già un suo proprio «non-documento».
Il colpo di teatro politico è servito anche ad articolare e ribadire una storica posizione della direzione della Republika Srpska, unita all’intenzione di sviluppare una propria piattaforma per i negoziati con la Federazione di Bosnia Erzegovina, cioè l’altra entità costitutiva della Bosnia Erzegovina in base agli Accordi di Dayton, nonché nel dialogo a tre, come accennato poc’anzi, appunto tra i bosgnacchi, i serbi di Bosnia e i croati di Bosnia come popoli costituenti (anche questo in virtù degli Accordi di Dayton) e senza interferenze straniere.
A tal proposito, secondo le dichiarazioni riferite dai media, gli attori internazionali hanno a lungo cercato di forgiare una specie di «Bosnia desiderata» che tuttavia ha finito per rivelarsi una «Bosnia indesiderata», o, per meglio dire, rimarcando questo ulteriore aspetto della cosiddetta architettura di Dayton, un «esperimento indesiderato». Se per anni, secondo la posizione della dirigenza serbo-bosniaca, il referendum istituzionale sulla Bosnia e, in prospettiva, sul superamento di Dayton e la cosiddetta separazione consensuale, è stato un tema-tabù, oggi se ne comincia a discutere, più o meno apertamente, persino all’interno delle cancellerie.
La critica della dirigenza serbo-bosniaca è infatti, prima di tutto e come spesso accade, nei confronti degli attori internazionali. Secondo Dodik, ad esempio, le posizioni del comitato direttivo del Consiglio per l’Attuazione della Pace (il PIC, Peace Implementation Council) continuano a favorire le politiche dei rappresentanti politici bosgnacchi. Di conseguenza, ha ribadito che la Republika Srpska si riserva il diritto di confrontarsi sul futuro della Bosnia Erzegovina, non con i membri del comitato direttivo del Consiglio per l’Attuazione della Pace, bensì con l’altra entità e nel dialogo tra i popoli costituenti, bosgnacchi, serbi di Bosnia e croati di Bosnia.
Il riferimento non è solo al PIC, ma anche alla struttura stessa della Costituzione di Bosnia Erzegovina. Tale costituzione è infatti frutto di un accordo internazionale, nel quadro degli Accordi di Dayton, i quali hanno consentito di porre fine alla guerra di Bosnia (1992-1995) e di impostare il percorso di riconfigurazione istituzionale del Paese, in buona misura sulla base degli sviluppi che la guerra aveva determinato sul campo.
Da un lato, quindi, è l’accordo che ha consentito di porre fine a una guerra sanguinosa e sconvolgente; dall’altro, è anche il presupposto di una architettura istituzionale e amministrativa estremamente complessa, anche per la particolare configurazione amministrativa interna della Federazione, l’entità croato-bosgnacca, nonché il presupposto di un sistema di democrazia consociativa con una forte impostazione etno-nazionale.
Nel ricordato Allegato 4, la Costituzione di Bosnia Erzegovina stabilisce che la Bosnia è costituita, appunto, da due Entità, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska», cui (art. 3) spettano «tutte le funzioni e i poteri non esplicitamente assegnati alle istituzioni della Bosnia Erzegovina». In sostanza, tutto tranne ciò che rientra nelle aree della politica estera, dell’immigrazione e dell’asilo; della politica monetaria; della legge penale internazionale e federale; delle infrastrutture strategiche e del controllo del traffico aereo.
Inoltre, nell’Allegato 10, viene creata la figura dell’Alto Rappresentante, in base alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, con compiti quali il monitoraggio dell’accordo di pace; il collegamento tra le parti e il coordinamento con le organizzazioni internazionali per l’applicazione degli aspetti civili degli accordi; la facilitazione nella risoluzione dei problemi legati all’applicazione di tali accordi e l’interfaccia con le Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Federazione Russa e gli altri soggetti interessati, governi, autorità, organizzazioni.
In una delle sue dichiarazioni, Dodik non ha mancato di ricordare che, se le entità esistevano anche prima – e furono accettate – della predisposizione dell’attuale configurazione istituzionale e amministrativa della Bosnia Erzegovina, allora non è detto che non potranno esistere anche in futuro; i confini di tali entità sono stati poi determinati a livello internazionale dall’Accordo di Dayton e non possono essere «cancellati con una gomma».