Ancora sulla retata parigina dei “pensionati sovversivi” che immaginarono cinquant’anni orsono, assieme ad una intera generazione, l’«assalto al cielo»; una vicenda che si vorrebbe storicamente derubricare nel registro delle “organizzazioni criminali”. Intanto, la notizia degli ultimi giorni è che i rifugiati italiani sono stati rilasciati in attesa della conclusione dell’’iter giudiziario di estradizione da parte della magistratura francese
La recente notizia della concessione dell’estradizione da parte della Francia verso il nostro paese di nostri concittadini già condannati per vari reati legati alla lotta armata e risalenti più o meno agli anni settanta, è stata generalmente accolta dalle forze politiche principali e dalla stampa ufficiale con evidenti manifestazioni di soddisfazione. “Fine della storia delle Brigate Rosse” o anche “Finalmente si è fatta giustizia” sono state le espressioni più significative e più usate.
Solo una minoranza, per lo più fatta di testimoni di quell’epoca e schierati a sinistra, ha parlato di “retata di pensionati” motivata solo da un inaccettabile e meschino desiderio di vendetta. Questa lettura, per la verità, potrebbe anche essere suffragata dal fatto che in origine il nostro paese aveva chiesto l’estradizione di ben duecento nostri connazionali, tutti condannati per reati legati alla lotta armata, ma di minore rilevanza. Alla fine è stato il governo francese ad accogliere la richiesta solo per chi era coinvolto in gravi fatti di sangue.
Inoltre si potrebbe anche aggiungere che tutta la vicenda appare in contrasto con l’art. 27 della nostra Costituzione che esplicitamente recita: “ Le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato”. Credo che ci si possa legittimamente chiedere che senso può avere parlare di rieducazione nei confronti di persone anziane che da quaranta, e in qualche caso da cinquant’anni, vivono alla luce del sole, col loro nome e cognome, in modo riservato, e nel pieno rispetto della legalità.
Diciamo anche di sfuggita che probabilmente anche la Francia in questa vicenda è venuta meno ad alcuni principi garantisti del suo sistema penale, che prevede che chiunque venga riconosciuto colpevole in contumacia di gravi reati (come nel caso dei nostri connazionali) una volta assicurato alla giustizia, ha diritto alla riapertura del processo, secondo il principio che l’imputato deve poter presenziare al pubblico dibattimento per difendersi nel modo migliore dalle accuse che gli vengono rivolte.
Confesso tuttavia che a me personalmente la lettura dei fatti secondo la tesi della “vendetta dello Stato” non mi pare esaustiva, nel senso che non coglie il significato più profondo di quanto sta avvenendo. Credo che ciò che innanzi tutto vada sottolineato è un tentativo di tipo riduzionista che si sta mettendo in atto derubricando l’intera vicenda di quegli anni ad una semplice “storia criminale”, con la conseguenza che l’unica possibile verità a cui potere attingere, ora ed in futuro, è semplicisticamente e banalmente “la verità giudiziaria”, senza nessuna attenzione alla specificità e alla complessità di avvenimenti che, direttamente o indirettamente, coinvolsero milioni di persone nel nostro paese e nel mondo, in una evidente situazione di eccezionalità storica e sociale.
Ci riferiamo qui, in generale, a quel lungo e complesso periodo che va dalla metà degli anni 60 sino alla fine degli anni 70. Periodo di lotte e di rivolte. Anni in cui maturarono nuove coscienze e nuovi approcci alla realtà e alla vita, in un pluralismo d’intenti complesso, caotico, e a volte contraddittorio, che va dai Figli dei fiori alle formazioni armate (non solo in Italia e nell’occidente ma anche, con significati molto diversi, nelle lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo). Alcune tematiche sviluppatesi in quegli anni sono oggi attualissime e ancora irrisolte: dalle lotte di liberazione delle donne, alle lotte contro il razzismo, le discriminazioni religiose, le guerre imperiali, le battaglie ecologiche contro la distruzione del pianeta, solo per fare alcuni esempi.
Ciò che è più significativo, ai fini del nostro discorso, è che di tanta ricchezza, almeno nella politica e nell’informazione ufficiale, si tende solo a ricordare e mettere in evidenza solo gli aspetti legati a quella che allora si chiamava “violenza rivoluzionaria”, che pure esisteva, ma non era certo il solo dato significativo di quel lungo periodo, e si esprimeva il più delle volte, e solo in certi momenti e circostanze, in scontri di piazza e altre forme di illegalità diffusa, spesso senza effetti dirompenti. Mentre oggi nei discorsi ufficiali ogni espressione dello scontro e dell’antagonismo sociale di quegli anni viene semplicemente catalogato come “terrorismo”, e il terrorismo esemplificato nella storia delle BR. Storia a sua volta banalizzata, come abbiamo già detto, in semplice vicenda criminale.
Il risultato finale io non credo sia quello della criminalizzazione di una rivolta durata quindici anni, quanto piuttosto quello della sua condanna alla dimenticanza. La cancellazione dalla storia, o forse una sua interpretazione parziale e fuorviante, o magari e meglio ancora: una operazione preventiva di non scrittura. L’oblio senza appello e senza ritorno.
Vogliamo ricordare infine che in altri tempi, in circostanze di eccezionalità, anche se forse legate a fatti apparentemente più eclatanti, si è scelta la strada dell’amnistia. È il caso per esempio dei repubblichini di Salò alla fine della seconda guerra mondiale, o anche dei comunardi di Parigi a fine ottocento. Credo nessuno possa immaginare che tra le forze della liberazione vi potesse essere comprensione o indulgenza per gli ex fascisti, né qualcosa di simile nella Francia reazionaria dei tempi nei confronti dei ribelli della “Comune”. Credo che l’intenzione fosse quella di sottrarre alle intemperie del presente un periodo travagliato per consegnarlo al giudizio della storia. Certo nel caso del dopoguerra italiano la decisione fu difficile e fortemente contestata, ma gli accadimenti allora erano ancora “caldi” e non volerli considerare “da archiviare” poteva avere una logica e una giustificazione. Nel nostro caso al contrario basterà ricordare che dai fatti contestati è passato quasi mezzo secolo.
In conclusione non ci resta che auspicare che quella storia non scritta, e che non si vuole scrivere, diventi per chi crede nell’importanza di quel lontano periodo, un impegno militante per affermarne la memoria, con tutte le sue grandezze da rinverdire e con tutti i suoi limiti da superare e i suoi errori da non rifare. Ne va della nostra comprensione del presente e della nostra speranza di futuro, oltre ogni miseria del mondo attuale.