Come è terminata l’occupazione del Piccolo Teatro a Milano?
Spesso si sa delle occupazioni quando cominciano, le si segue quanto si può mentre durano, poi ad un certo punto non se ne sente più parlare e si intuisce che sono terminate. Come? Molte volte non si sa. Ma qualcosa c’era, era vivo, batteva nel centro della città. Un’occupazione è un luogo dove “si passa dentro”, anche se questa occupazione aveva il duro limite che spesso doveva lasciar fuori qualcuno perché si era raggiunta la capienza massima di 60 persone.
Ma c’è stata ed è durata 38 giorni. Tanta energia, tanto lavoro prima, durante e dopo. Almeno una cinquantina di persone seriamente coinvolte. Ora passando dal Piccolo non ci sono più striscioni fuori: “l’ordine regna a Varsavia”.
Abbiamo parlato prima con Roberto Cirillo (Zacca, tecnico audio/backliner) e poi con Francesca Biffi (teatrante, attrice, regista, scenografa, costumista), due colonne del Coordinamento spettacolo Lombardia e quindi di questa occupazione. Ecco quello che ci hanno raccontato:
“Abbiamo cercato di tenere insieme le tantissime realtà, grandi, piccole e piccolissime, presenti in Lombardia e poi di rapportarci con i coordinamenti di altre regioni. E’ stato un fitto lavoro di relazione, di mettere insieme, di raccontare e ascoltare. E’ stata un’occupazione vitale e necessaria, aperta alla città, ricca di incontri e performance, ma anche molto politica. Lavoravamo in maniera certosina sui due fronti: organizzare iniziative per dar vita e contenuti a questa occupazione, ma la cosa forse più importante era costruire e allargare la rete, raccogliere le voci per elaborare un documento che tenesse conto di tutte le molteplici richieste. Essendo un mondo così variegato bisognava tenere insieme le esigenze di tutti e tutte; non è stato facile, ma da tante parti abbiamo ricevuto sostegno e complimenti. Era ciò di cui in tanti e tante si sentiva il bisogno. E’ stato come scalare una montagna, ma alla fine eravamo soddisfatte-i.
Abbiamo dovuto spiegare in mille modi ai vari amministratori che abbiamo incontrato come la nostra realtà sia variegata, come non si possa semplificare e non sia possibile che “un aiuto” escluda tutti gli altri. Non è possibile ragionare con bianchi e neri. Le sfumature sono tantissime. Il mondo dello spettacolo vive di sfumature e per questo bisogna ascoltare chi ci lavora.
L’occupazione è stata certo caratterizzata dal covid; per questo abbiamo dovuto rispettare delle regole, ma abbiamo anche potuto offrire un luogo, un riferimento in un discreto deserto cittadino. Abbiamo ricevuto decine e decine di realtà piccole e grandi che hanno potuto farsi conoscere, ma è stato lo scambio il momento più importante. Non avevamo la solita fretta che si ha durante la nostra “normalità”, avevamo tempo, lo spazio era ridotto, “Piccolo”, ma fortemente simbolico e poi nel cuore di questa città. Una città, Milano dà tanto e tanto prende, è una città dove si possono fare mille cose, dove puoi inventare e costruire, ma anche una delle città più care d’Italia. E in questo periodo il peso è diventato quasi insopportabile.
Come Coordinamento regionale abbiamo unito una decina di gruppi, sigle che già esistevano, iniziando più di un anno fa. Il 30 maggio scorso c’è stata la nostra prima manifestazione, riuscita molto bene. Eravamo e siamo un bel Coordinamento sfaccettato, dove le sono presenti varie realtà, o categorie. Teatro, spettacolo, musica. In quest’ultimo anno e mezzo crediamo che non più del 20% di lavoratrici e lavoratori che rappresentiamo abbia avuto delle serie garanzie di reddito. Parecchi hanno dovuto inventarsi altro, qualcuno non ce l’ha fatta proprio.
Le nostre rivendicazioni potete intuirle, spiegarle nel dettaglio sarebbe per voi che leggete noiosissimo: come costruire una rete di diritti, di sicurezza, per gente che quasi “cammina sul filo” e neanche tutti i giorni! Un sottobosco di collaborazioni, contratti e contrattini, partite IVA, cooperative vere e finte, giornate, ore di lavoro, autonomi per finta, e poi il nero. C’è di tutto: da chi monta un palco, a chi costruisce costumi o scenografie, da chi strappa i biglietti a chi controlla il suono o monta le luci, da chi canta, balla, recita, a chi dirige, a chi fa la promozione, e avanti così. E qualcuno di noi, udite udite, “tiene pure famiglia”. Siamo coscienti che il nostro lavoro sia sostanzialmente precario, ma proprio per questo sono necessari dei salvagente. Se non si capisce questo, non si capisce nulla. Noi siamo di fatto subordinati, “dipendenti” di “multi-datori”.
Ora parlano di “ripartenza”, come un anno fa, ma è minimale, non è diffusa e non è programmata. Insomma, un falso. Gli stessi poteri locali non sanno quante realtà di questo mondo esistano; va fatta una seria mappatura e sono le piccole realtà che coinvolgono il grosso dei lavoratori e della socialità diffusa. La cultura va vista per il suo valore, che va oltre quello puramente economico e invece ci riducono a questo. In Francia sono molto più avanti!
Non è stato facile, ma questo periodo di condivisione ci ha unito e fatto crescere; abbiamo imparato molto, non siamo quelli di prima, ci conosciamo e ci conoscono. Nel frattempo si sono mescolate fatiche ed entusiasmi, ma anche rabbia e tristezza nell’assistere a chiusure se non sparizioni di piccole realtà che meritavano di vivere. Dopo 38 giorni avevamo esaurito il nostro compito, consegnando alla Settima Commissione Cultura del Senato il nostro testo, molto ben articolato.
Ora vedremo come sostenere la nostra proposta di legge; sappiamo che ve ne sono altre, alcune con cose interessanti, altre veramente calate dall’alto, da chi non è mai stato su o dietro una scena. La strada è lunga, non basta scrivere cose giuste e importanti, bisogna lottare per dare loro gambe. E’ quello su cui siamo ora impegnati-e.
Sappiamo che il governo, in particolare il ministro Franceschini vuole procedere velocemente, ma si rischia di mettere la solita toppa, mentre la cosa importante sarebbe dare una svolta che serva per gli anni a venire, che sia strutturale e non solo di “emergenza”. La cosiddetta normalità, che c’era prima, non ci sta affatto bene.”
Alcuni giorni dopo l’intervista incontro a un presidio per la Palestina Spinash, una colonna degli Ottoni a Scoppio, lavoratore della Scala, anche lui spesso presente all’occupazione del Piccolo. Mi dice: “Andrea, hai sentito? Ieri Franceschini ha “partorito”… una schifezza. Ora bisognerà fare pressione, lottare e lavorare per emendare.”
Siamo alle solite, penso. Una gran fatica, un gran lavoro, nemmeno preso in considerazione. Quanta falsità, retorica, ipocrisia.
Sento anche Helga Bernardini, la quale oltre a mandarmi parecchie belle foto mi scrive questo: “Le ultimissime sulla riforma dello spettacolo: la critica fondamentale è che la risposta di Franceschini, nonostante il modo in cui lui stesso l’ha annunciata (“abbiamo condiviso la piattaforma proposta dai lavoratori dello spettacolo”) non ha in realtà preso in carico le fondamenta delle richieste: una riforma strutturale che si moduli anche sul reddito di discontinuità”.
Qui il link a quanto scritto Rita Pelusio, un’altra delle animatrici del coordinamento e alcune sue foto.
In America Latina dicono: “La lucha sigue…” Si capisce.
Foto di Andrea Mancuso e Helga Bernardini.