Alla vigilia della pubblicazione, per i tipi della Associazione Editoriale Multimage, del volume Di terra e di pietra. Forme estetiche negli spazi del conflitto, dalla Jugoslavia al presente, Firenze, 2021: qui la scheda.
Quest’anno più che mai, la giornata del 29 maggio si tinge di significati particolarmente importanti e carichi di prospettive, alludendo alle contraddizioni del presente, ma anche segnalando gli impegni per il tempo che verrà. Nella ricorrenza della Giornata Internazionale del Peacekeeping l’occasione è, al tempo stesso, preziosa e inedita, per riflettere sul mondo che la pandemia ha ridisegnato e, inevitabilmente, sulle premesse che hanno portato agli sconvolgimenti e alle limitazioni, ma anche alle violazioni e alle perdite, di questo 2020 – 2021, nonché sulle speranze che si stanno accumulando in vista di un domani lontano e diverso dal passato che ci ha portato sin qui.
Il peacekeeping porta dentro di sé le ansie di queste preoccupazioni ed enuclea una gamma di significati che interrogano, insieme, la difesa della democrazia, della giustizia e della dignità, dei diritti umani, in uno scenario di emergenza e di crisi come quello che si è andato delineando e che ha a che fare, al tempo stesso, con l’equilibrio del mondo, le condizioni di benessere e giustizia sociale, di armonia e di cooperazione internazionale, di solidarietà e di amicizia tra i popoli, necessarie per prevenire violazioni ed abusi e per concorrere alla costruzione di un mondo di pace con giustizia e dignità, pace con giustizia sociale, in una sola espressione, «pace positiva». È questo, ad esempio, uno dei nuclei della lezione di Johan Galtung, tra i massimi esponenti e principali fondatori della moderna ricerca per la pace, quando sintetizza i fattori di costruzione della pace e di prevenzione dell’escalation, nella celebre formula della pace: PACE = [EQUITA’ x ARMONIA] / [TRAUMA x CONFLITTO].
La spiegazione è in un suo recente scritto: «Qualunque vera educazione dovrebbe preparare alla pratica, guidata da una teoria generale. Procedendo dalla destra del denominatore alla sinistra del numeratore, la formula significa: mediare soluzioni ai conflitti accettabili e sostenibili; conciliare le parti del conflitto bloccate in traumi del passato; empatizzare con tutti i contendenti divisi da linee di faglia sociali/mondiali; costruire cooperazione a beneficio reciproco e uguale». Da qui, nel senso appunto della preparazione alla pratica e quindi alla ricerca-azione per la pace, alla pace come pensiero/pratica di costruzione di relazioni e di trasformazione della società, il passo ulteriore dalla «pace» alla «costruzione della pace» (peace-building) e al «mantenimento della pace» (peace-keeping) che si sviluppano nel senso della interazione e della circolarità: «La pace si basa su rapporti equi, relativamente orizzontali. […] La pace si basa sull’empatia, la comprensione profonda di tutte le parti. SunTzu ne faceva un elemento basilare della mentalità militare; la novità sarebbe la ricerca dei punti di forza, del buono, anziché delle debolezze, del cattivo, negli altri – e viceversa per sé, per sé stessi. […] La pace si basa sulla riconciliazione, sullo sgombrare il passato, sul costruire un futuro. L’esperienza recente indica che i veterani su ambo i versanti sono meglio al riguardo che i politici, condividendo come appariva dall’altro lato, mettendo in discussione la saggezza della guerra. […] La pace si basa sull’identificazione del conflitto soggiacente, sulla ricerca di soluzioni anziché l’affrontare, l’aggredire l’altro lato, in una ricerca rabbiosa di vittoria. Orientamento alle soluzioni anziché alla vittoria, che peraltro c’è comunque: della pace sulla guerra», definendo, peraltro, il peace-keeping, «una grande esperienza di apprendimento», oltre che uno strumento di prevenzione della guerra.
La giornata del 29 maggio serve dunque, a ben vedere, proprio ad allertare questo richiamo: «la Giornata … offre l’opportunità di rendere omaggio al contributo inestimabile del personale civile e militare … e di onorare gli oltre 4.000 peace-keeper che hanno perso la vita prestando servizio sotto la bandiera delle Nazioni Unite dal 1948 a oggi, di cui 130 solo lo scorso anno». Settantadue, in totale, le missioni di peacekeeping dal 1948 al 2020; dodici, le missioni attualmente in corso. Si tratta di un impegno, spesso ostacolato dagli interessi dominanti che si muovono contro la prevenzione degli interventi e delle aggressioni militari e quindi contro la costruzione di una pace giusta e duratura tra i popoli della Terra, che si sviluppa attraverso una quantità sorprendente di misure, quali la protezione dei civili, la prevenzione dei conflitti, la promozione dello stato di diritto, la costruzione di istituzioni di sicurezza e la protezione della funzionalità amministrativa, la tutela e la promozione dei diritti umani e il mantenimento delle condizioni di pace, oltre che il rispetto delle linee di tregua e di cessate-il-fuoco, nonché il rafforzamento del ruolo delle donne, la promozione dell’attivazione dei giovani, il supporto sul campo.
«I peace-keeper proteggono i civili, prevengono i conflitti, riducono la violenza, rafforzano la sicurezza e sostengono le autorità nazionali nell’assumersi tali responsabilità. Ciò richiede una coerente strategia di sicurezza e di costruzione della pace in grado di supportare la strategia politica. Il peacekeeping delle Nazioni Unite aiuta i Paesi ospitanti a diventare più resilienti ai conflitti, ponendo le basi per sostenere la pace a lungo termine». Ciò in base ai principi del peacekeeping che non possono essere né trascurati né relativizzati: consenso di tutte le parti; imparzialità; non utilizzo della forza, se non per autodifesa e a tutela del mandato ricevuto». Riprendendo qui la dichiarazione del Segretario Generale, «il peacekeeping aiuta a coltivare la pace in alcuni dei luoghi più pericolosi del pianeta».