La storia recente di Moussa è, come altre storie di persone migranti che abbiamo documentato, emblematica
Moussa viene aggredito a Ventimiglia da tre persone, crudelmente e barbaramente picchiato.
Come ci è stato riferito telefonicamente dall’avv. Ersilia Ferrante, che sta seguendo il caso dell’aggressione, contattata dall’Associazione Scuola di Pace, i passanti avvisano le Forze dell’Ordine che intervengono – gli aggressori erano già fuggiti – e lo portano al Pronto Soccorso che lo dimette con una prognosi di 10 giorni.
A Radio3 Rai Triantafillos Loukarelis, Direttore dell’UNAR, ha dichiarato che la prognosi è stata largamente sottostimata, cosa che risulta anche a noi da fonti ufficiose.
Purtroppo Moussa ha già un provvedimento di espulsione pendente: le Forze dell’Ordine, una volta dimesso dal Pronto Soccorso, lo portano alla Questura d’Imperia per il secondo provvedimento di espulsione e trasferimento al CPR di Torino per il trattenimento in attesa del rimpatrio.
Già in questa prima parte della storia emerge il primo paradosso: gli autori della brutale aggressione sono a piede libero, Moussa è privato della libertà.
Da questo punto in poi comincia una parte della storia altrettanto surreale oltre che tragica: la Garante per i Diritti delle Persone Private della Libertà di Torino, la Dott.ssa Monica Cristina Gallo – come dichiarato a Radio3 Rai – sulla base di una segnalazione avuta, dal 15 maggio avvia un’interlocuzione col CPR per capire se Moussa sia effettivamente trattenuto lì.
In realtà la Garante non conosce il nome del ragazzo, che peraltro non è comparso sui giornali che hanno documentato il pestaggio: a Moussa non è neanche stata data la dignità di un nome.
Fornisce però i dettagli di provenienza: la Liguria, e delle sue condizioni fisiche, in quanto vittima di un pestaggio recentissimo.
Risulta che in quel periodo siano entrati in CPR a Torino 2, non 50, non 20, ma 2 persone di origine subsahariana, Moussa quando è stato dimesso a Ventimiglia aveva i punti in faccia, che evidentemente sono stati rimossi nel CPR.
E’ inoltre impensabile che all’ufficio stranieri all’interno del CPR non fossero a conoscenza della storia e della provenienza (la Questura di Imperia) del giovane Guineiano, è altrettanto impensabile che, essendo stato dimesso con prognosi, chi l’ha trasferito al CPR di Torino non avesse con sé la lettera di dimissioni dell’Ospedale e che non l’abbia consegnata alla Direzione Sanitaria del CPR.
Nonostante questo alla Dott.ssa Gallo hanno continuato a rispondere che una persona con le caratteristiche da lei segnalate non era presente nel CPR, nonostante ci risulti che il giovane fosse entrato 5 giorni prima: il 10 maggio, il giorno dopo la violenta aggressione.
La segnalazione arriverà giorni dopo, ma dall’avv. Vitale di Legal Team Italia, che venerdì 21 incontra Moussa in CPR, il giovane è prostrato e disorientato. Dopo l’incontro l’avv Vitale invia un dettagliato rapporto alla Garante.
A quel punto la Dott.ssa Gallo decide di informare immediatamente della situazione il Garante Nazionale, ma purtroppo è troppo tardi: due giorni dopo Moussa, 23 anni, si toglie la vita, la Garante non riuscirà mai ad incontrarlo.
Non possiamo non porci delle domande: perché il CPR ha negato che il giovane fosse trattenuto nella struttura?
Chi ha fatto la valutazione medico-legale di idoneità al trattenimento? Pare che nella zona di Imperia queste valutazioni non vengano fatte, appare quindi molto plausibile che sia stata fatta dal CPR di Torino.
Una volta entrato in CPR: è stato visitato e valutato del Dipartimento di Salute Mentale competente? Se no: com’ è possibile che sia stata così trascurata una condizione, che avrebbe destabilizzato chiunque, determinata dalla sua tragica vicenda occorsa appena il giorno prima della perdita della libertà?
Cos’è successo? C’è un problema complessivo di inettitudine o incapacità francamente sconcertante della Direzione, della Direzione Sanitaria, degli uffici del CPR? Oppure c’è dell’altro?
Non solo: è stato fatto tutto il possibile per salvaguardarlo all’interno del CPR?
Se la risposta è no, ci sono persone che hanno Moussa sulla coscienza, che hanno la responsabilità morale della sua morte.