Venerdì 4 giugno è stata indetta una manifestazione per denunciare i problemi nella gestione del CPR di Torino, nel quale Moussa Balde si è tolto la vita domenica 23 maggio.
I temi che verranno portati in piazza Castello alle ore 16, davanti alla Prefettura, sono temi reali, individuano le reali criticità nel sistema del trattenimento ai fini di rimpatrio.
Un documento puntuale e certamente di peso incentrato sulla gestione del CPR di Torino, tuttavia i temi trattati non riguardano solo la struttura torinese, ma anche più in generale le tematiche relative al trattenimento ai fini di rimpatrio e quindi tutti gli altri CPR d’italia.
Riportiamo un breve stralcio del documento:
L’altra grande questione che la tragedia di Moussa Balde solleva riguarda ciò che accade dentro i CPR italiani, e dentro il CPR di Torino in particolare.
Moussa Balde vi è stato rinchiuso senza alcuna valutazione preliminare sulla sua idoneità psichica al trattenimento e ciò nonostante le presumibili conseguenze di un’aggressione tanto violenta.
Appena entrato al C.P.R., è stato privato del telefono cellulare ed è stato collocato nei c.d. “ospedaletti”, vere e proprie celle di isolamento non previste dalla normativa, separate dalle altre aree, lontane dagli uffici e dall’infermeria, dove è impossibile effettuare un controllo o un’osservazione di chi vi è rinchiuso. Luoghi in cui una patologia psichiatrica o una semplice depressione sono destinati ad aggravarsi e dove è purtroppo molto facile, in solitudine, compiere gesti anticonservativi.
Lo stesso CPR, le medesime camere di isolamento, dove, nel luglio del 2019, era morta un’altra persona, Faisal Hussein, affetto probabilmente da problemi psichici e abbandonato per cinque mesi nella segregazione del C.P.R. di Torino.
La vicenda di Moussa Balde ci deve ricordare quali sono le effettive priorità, che i diritti
fondamentali non possono essere sacrificati e che non possono esistere luoghi di detenzione privi di regole, dove la vita delle persone è consegnata all’arbitrio.
La morte di Moussa è una ferita che non può e non deve essere ignorata, ma è semplicemente la punta di un iceberg di un sistema deprivante.
La Garante dei Diritti delle Persone Private delle Libertà di Torino, Monica Cristina Gallo ha dichiarato che nel 2020 hanno fatto ingresso nel CPR di Torino 791 persone, di cui 252 rilasciate e 461 rimpatriate, un sistema certamente costoso – non si riescono a capire gli effettivi costi del sistema, anche qui c’è un problema di trasparenza dello Stato – ma evidentemente inefficiente e non potrebbe essere diversamente.
Arrivano da più parti denunce sul fatto che i fondi europei destinati all’accoglienza e all’inclusione vengano “dirottati” alla “lotta” contro l’immigrazione.
Non possiamo non porre una riflessione: in questa intervista l’avv. Veglio di ASGI dichiara che solo il 5% dei casi di rilascio dal CPR prima della decorrenza dei termini o del rimpatrio avviene per motivi legali, il resto avviene per motivi di salute.
Ecco il motivo di tanti episodi anticonservativi, di autolesionismo, che avvengono nel CPR, messi in atto via via nel tempo con notevole “creatività”, fino a tragici episodi che hanno reso permanentemente disabili le persone: l’unico modo per uscire.
Ci risulta che invece che interrogarsi sull’opportunità del trattenimento a fini di rimpatrio, siano via via stati sottratti tutti gli oggetti che possono essere utilizzati per farsi del male, in pratica nel CPR non circola praticamente più alcun tipo di oggetto.
Ogni atto che noi facciamo implica l’interazione con oggetti, nel momento in cui tu sottrai ogni oggetto, di fatto deprivi la persone della possibilità di agire, una sottrazione di vita.
Ecco che la privazione di libertà per un semplice illecito amministrativo diventa ancor più pervasiva e deprivante, di fatto un apporto di sofferenza che non si può non considerare spropositato.
Sono in molti a denunciare quanto il trattenimento ai fini di rimpatrio sia incomprensibile e disorientante per le persone, non è che una persona di origine extracomunitaria non abbia il senso della giustizia, che non capisca di essere stata privata della libertà pur non avendo commesso alcun reato penale, cosa che destabilizzerebbe ciascuno di noi.
Moussa non ce l’ha fatta.