Alla fine, si è tramutato in un evento “storico” il vertice dello scorso 18 maggio tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il suo omologo ceco, Miloš Zeman, a Praga. Il primo a dare notizia dell’evento è stato il portavoce del presidente ceco, Jiří Ovčáček, quando ha confermato che «il presidente Miloš Zeman ha presentato pubbliche scuse al presidente Aleksandar Vučić per i bombardamenti [NATO] della Jugoslavia nel 1999» e «ha chiesto perdono al popolo serbo». Miloš Zeman, si ricorderà, era primo ministro in Repubblica Ceca nel 1999, quando il Paese entrò nella NATO e quando fu scatenata l’aggressione alla Jugoslavia.
Successivamente, è stato lo stesso Zeman a dichiarare che «stavamo disperatamente cercando almeno un altro Paese [della NATO] che si unisse a noi e si opponesse [alla guerra contro la Jugoslavia]. Siamo rimasti soli». Ma ha anche dichiarato che il suo governo avrebbe dovuto esercitare maggiore risolutezza nel chiedere, nel più breve tempo possibile, la fine dei bombardamenti. La Repubblica Ceca entrò a far parte della NATO, con Ungheria e Polonia, proprio nel fatidico 1999, anno in cui, tra l’altro, la guerra alla Jugoslavia mise al banco di prova il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica. Come ricordò Živadin Jovanović, già Ministro degli Esteri della Jugoslavia, oggi presidente del Forum di Belgrado per un mondo di eguali, «l’aggressione della NATO segna un cambiamento strategico nell’essenza dell’Alleanza: essa … ha introdotto una politica offensiva aggressiva, autorizzandosi a intervenire in ogni momento in ogni punto del globo» e, in particolare, un segnale nei confronti dei Paesi desiderosi di promuovere e sviluppare una politica estera indipendente.
In una intervista, pubblicata il 25 maggio, per il portale ceco Parlamentary Paper, Vučić ha confermato che Zeman è stato il primo presidente, primo dirigente politico di primo piano in carica, ad esporsi in una tale presa di posizione: pubbliche scuse per la brutale e illegale aggressione alla Jugoslavia. La Serbia «è stata attaccata da 19 Paesi stranieri, che continueranno a ripetere che hanno dato corso all’attacco a causa di una catastrofe umanitaria». «Allora bisognerebbe chiedere se l’uccisione di migliaia di persone, e in particolare di 72 bambini serbi, sia stata solo un danno collaterale». Ha ricordato che Madeleine Albright, segretaria di Stato in carica al tempo dell’aggressione alla Jugoslavia, quando le è stato chiesto della guerra NATO, ha risposto che doveva essere fatta per salvare vite umane. «Trovano sempre motivi per giustificarsi, ma si tratta chiaramente di un approccio unilaterale. Unilaterale e non corrispondente al vero». Tra i 19 Paesi partecipanti all’aggressione, anche l’Italia, in violazione dell’art. 11 della Costituzione, in base al quale «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Se le scuse per la guerra alla Jugoslavia di un capo di Stato risultano dunque un fatto inedito e, a suo modo, storico, non vi è dubbio che la guerra NATO alla Jugoslavia, oltre che una grave violazione internazionale, ha rappresentato anche una catastrofe di dimensioni impressionanti. Secondo il Rapporto sull’Impatto ambientale della guerra in Jugoslavia sull’Europa del sud-est, pubblicato dalla Commissione Ambiente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (2001), «i 1200 aerei militari della NATO hanno svolto oltre 34.000 missioni, compiendo circa 2.300 attacchi. La quantità totale di ordigni utilizzati dalla NATO è stimata tra le 22.000 e le 79.000 tonnellate. Ben 78 siti industriali e 42 impianti energetici sono stati distrutti o danneggiati. I bombardamenti hanno sottoposto gli ecosistemi, le acque superficiali, le falde acquifere, il suolo e l’aria nei Balcani a una contaminazione senza precedenti con la presenza di oltre cento sostanze tossiche. L’impatto ambientale della crisi del Kosovo sui Balcani si può suddividere in: a) danni diretti e indiretti causati dagli ordigni NATO; b) effetti della distruzione di infrastrutture e impianti industriali; c) danni al patrimonio naturale; d) conseguenze dello sfollamento della popolazione». Inoltre, «gli aerei militari della NATO hanno volato per un totale di circa 150.000 ore nello spazio aereo della Jugoslavia e nelle regioni limitrofe.
«Tale concentrazione di aerei da guerra su un’area relativamente piccola ha provocato alti livelli di contaminanti nell’aria e nelle precipitazioni. […] Inoltre, a seguito della distruzione e degli incendi negli impianti industriali, si è verificata una grave contaminazione di aria, acqua e suolo con sostanze pericolose, tra cui diossine e composti tossici. […] Inoltre, è stato confermato l’impiego di ordigni contenenti uranio impoverito (U238), utilizzato soprattutto, a causa della sua alta densità, nei proiettili perforanti, in particolare nei proiettili anticarro sparati dai jet d’assalto A-10 Thunderbolt. In base a informazioni ufficiali, sono state utilizzate circa 31.000 testate, con un carico totale di 10 tonnellate di uranio impoverito. […] Oltre agli effetti radioattivi, l’uranio è un elemento altamente tossico e un potente cancerogeno e mutageno. Le particelle di ossido di uranio, che si formano dopo l’esplosione, vengono disperse dai venti e si depositano sul suolo e sulla vegetazione. […] Concentrazioni di uranio possono causare danni irreversibili alla salute delle persone delle aree colpite»: migliaia i civili esposti alle contaminazioni, mentre solo «in Italia il numero dei militari ammalatisi di cancro ammonta a 7.600, di cui 400 sono deceduti. Si tratta di malattie provocate dall’uso di uranio impoverito».
Come scrisse Stefano Rodotà, «il potere di delineare l’assetto della comunità internazionale è sfuggito ai luoghi della democrazia e si è concentrato in quelli della forza». Il comune impegno contro la guerra e per la pace è anche la comune responsabilità di difendere gli spazi della democrazia e della giustizia, in definitiva, della vita.