Il primo maggio si è insediata in El Salvador la nuova Assemblea Legislativa, controllata dal partito filogovernativo Nuove Idee, dopo la schiacciante vittoria elettorale del 28 febbraio.
Dopo l’assunzione del nuovo parlamento, 64 deputati (56 Nuove Idee, 5 Gana, 2 Pcn e 1 Pdc) hanno assestato un’artigliata alle istituzioni salvadoregne, destituendo i magistrati della Sala costituzionale della Corte suprema di giustizia, i loro supplenti e il procuratore generale, rimpiazzandoli con persone di totale fiducia del presidente Nayib Bukele.
La decisione è stata giustificata col pretesto che i magistrati avrebbero violato la Costituzione opponendosi a misure prese da Bukele nell’ambito della pandemia. La destituzione del procuratore Raúl Melara è invece dovuta al fatto di avere presunti legami con un partito politico (Arena).
Nelle ore successive, la Sala stessa ha dichiarato l’incostituzionalità di tale provvedimento, segnalando che viola la “forma di governo repubblicana, democratica e rappresentativa ed il sistema politico pluralistico”. Per il momento, tre dei magistrati rimossi e il procuratore hanno deciso di rinunciare comunque all’incarico adducendo “ragioni personali e familiari”.
Non sono da escludere forti pressioni da parte dell’esecutivo.
A tutti gli effetti, l’articolo 186 della Costituzione salvadoregna afferma che i magistrati possono essere destituitili soltanto “per cause specifiche previamente stabilite dalla legge”. Fissa inoltre la procedura per l’elezione e la nomina dei magistrati della Corte suprema di giustizia.
Dure le reazioni a livello nazionale e internazionale. L’Fmln, prima al governo, ha parlato di “aperta e sfacciata intromissione in altri organi dello Stato” e di una “intenzione manifesta di controllo assoluto dei poteri dello Stato”. Analogamente, considera l’azione come “un colpo di Stato alla nascente democrazia”.
Il senatore statunitense Albio Siles ha qualificato la destituzione come “un abuso di potere, un atto illegale di vendetta, un grande passo verso l’autoritarismo”.
Diego García Sayan, relatore speciale delle Nazioni unite per l’indipendenza dei giudici e avvocati, ha condannato il provvedimento preso dal gruppo filogovernativo e dai suoi alleati e affermato che agirà contro “ogni azione orientata a pregiudicare il lavoro dei giudici costituzionali”.
Allo stesso modo, la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, ed il sottosegretario Antony Blinken hanno espresso preoccupazione per lo stato della democrazia salvadoregna. Blinken afferma di aver conversato col presidente salvadoregno ed avergli fatto presente che la governabilità democratica “richiede il rispetto della separazione dei poteri”.
Tanto l’Organizzazione degli stati americani (Oea), quanto la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), hanno bocciato le destituzioni realizzate ‘senza legittima causa’, considerandole “un affronto all’indipendenza giudiziaria e alla Repubblica”.
Io comando
A dispetto delle critiche e delle pressioni, il presidente Bukele ha nuovamente respinto qualunque intromissione negli affari interni, facendosi forte dell’ampio sostegno accordatogli dalla cittadinanza nelle ultime elezioni, che gli permette ora di controllare i due terzi dell’emiciclo parlamentare.
“Le nostre porte sono più aperte che mai. Ma con tutto il rispetto: stiamo facendo pulizia in casa nostra… non è incombenza vostra”, ha scritto in un tweet domenica all’alba.
Nel frattempo, i nuovi magistrati hanno approfittato della notte e del dispiegamento di polizia per fare il loro ingresso nella Corte suprema di giustizia e prendere possesso dei loro incarichi, scortati dal direttore generale della Polizia in persona, Mauricio Arriaza.
Con la ripresa dei lavori parlamentari tutto indica che l’offensiva del bukelismo sia appena cominciata.
Per Carlos Molina Velásquez, filosofo e docente all’Università Centroamericana ‘José Simeón Cañas’ (Uca), quanto avvenuto nella notte del 1° maggio non è una sorpresa.
“Non mi ha stupito, nemmeno che l’abbiano fatto lo stesso giorno dell’insediamento (dei nuovi deputati). È una strategia consolidata di Bukele il presentarsi agli occhi della popolazione come un presidente forte e molto efficiente.
È il modo in cui ha proceduto da quando assunse l’incarico nel 2019. Ha costruito un nemico e ha iniziato una guerra. Questo è il termine esatto: guerra. E continuerà a farlo”, ha dichiarato Molina.
Per l’analista, con questa nuova esibizione di controllo e potere, il presidente salvadoregno vuole inviare un messaggio molto chiaro.
“Bukele vuole riaffermare un concetto molto semplice e, nel contempo, molto pericoloso: l’autorità è il potere ed il potere è la forza bruta. L’abbiamo visto a febbraio dell’anno scorso quando militarizzò il parlamento, e lo abbiamo rivisto sabato quando il direttore della Polizia ha scortato i nuovi magistrati.
Ciò che stanno facendo – ha continuato Molina – è ciò che hanno detto che avrebbero fatto ed è solo l’inizio. La cosa più probabile è che, nei prossimi giorni, agiscano in ugual modo con altri magistrati e col procuratore dei diritti umani”.
“L’essenza stessa del fascismo”
Un atteggiamento che s’inquadra in una strategia del presidente, allo scopo di presentarsi come qualcosa di diverso, positivo, moderno che permetta al paese di lasciarsi dietro il passato.
“Per questo motivo ha voluto sminuirne l’importanza, minimizzare e perfino negare la rilevanza di tappe fondamentali della storia recente di El Salvador, penso agli accordi di pace, che possano oscurarlo. È molto pericoloso e incarna l’essenza stessa del fascismo.
Il vero obiettivo – ha assicurato il professore universitario – non è solo impadronirsi delle istituzioni, bensì disputare il potere economico alle élite tradizionali, e disputare il capitale simbolico ai costruttori di conoscenza e coscienza nel paese, come sono le università. Bukele e la sua gente puntano al tutto per tutto”.
Per Molina Velásquez, difficilmente le misure prese in questi giorni potranno essere revocate. Ciò dipende da quattro fattori che corrispondono a quattro settori.
“Bisognerà vedere in che modo reagirà il sistema giudiziario. Se avessimo un sistema istituzionale molto solido, con una polizia e un esercito non totalmente sottomessi al presidente, forse sarebbe sufficiente, ma temo che non sia così”.
Il secondo fattore è la mobilitazione dei cittadini.
“Per il momento è stata praticamente nulla. Purtroppo bisogna riconoscere che la maggior parte della popolazione è d’accordo, pensa che sia cosa buona. È preoccupante vedere come moltissime persone siano state indotte a non dare importanza a questioni come le istituzioni e la separazione dei poteri, fondamentali per la vita e lo sviluppo di un paese.
In questo senso – ha aggiunto l’analista – è importante chiedersi come si è giunti a questa situazione, sfruttata poi da Bukele per intensificare l’abuso di potere e avviare le sue campagne di discredito e di odio”.
Una strategia che gli è pure servita per occultare la realtà del paese: povertà, crisi economica, indebitamento, corruzione nella gestione della pandemia e lotta alla criminalità.
“Bukele dovrà affrontare il problema di come mantenere alti livelli di popolarità ed egemonia, man mano che la situazione per la gente diventerà sempre più insostenibile”, ha dichiarato.
Infine Molina ha sottolineato un terzo e quarto elemento che avranno influenza sulla possibilità o meno di ribaltare il ‘golpe istituzionale’: le corporazioni imprenditoriali, che detengono il potere reale dell’economia salvadoregna, e gli Stati Uniti.
“Entrambi hanno già fatto dichiarazioni in merito, sebbene sia molto triste per la sinistra pensare che le maggiori speranze risiedano nell’oligarchia e nell’imperialismo”.
Traduzione dallo spagnolo: Adelina Bottero