Mio nonno Giannetto Pericoli costituisce un esempio di quella “Resistenza Nonviolenta” ancora oggi poco conosciuta. Insieme a vari colleghi della Banca Commerciale, nella centralissima sede di Piazza della Scala a Milano, preparava documenti d’identità e tessere annonarie falsi per ebrei e altre persone in pericolo. Il giovane cappellano dei pompieri don Armando Lazzaroni si occupava di ritirarli e distribuirli e raggiungeva in montagna i partigiani, che gli affidavano le lettere per le loro famiglie.

Quella che segue è una lettera scritta da mio nonno Giannetto a mia madre, mia zia e mia nonna, sfollate a Rosnigo, in Brianza, insieme alla famiglia del suo amico e collega Silvio Cipriani, in cui descrive la Liberazione di Milano. In questo racconto emozionante i particolari di vita quotidiana e familiare in apparenza banali aiutano ad avvicinare quelle esperienze lontane al vissuto attuale.

Anna Polo

Giovedì 26 aprile 1945 da via Leopardi – ore 10 di sera

Mie carissime,

vi scrivo prima di andare a letto per dirvi innanzi tutto che se stasera non mi avete visto arrivare è stato proprio per un motivo di prudenza che tutti qui hanno insistito perché adottassi. Infatti le notizie sulla situazione delle immediate vicinanze della città erano tali oggi da far ritenere opportuno di non mettersi in viaggio in bicicletta, unico mezzo che avrei potuto adoperare.

D’altra parte la necessità di essere presenti in banca tutta la giornata ha convinto tanto Silvio (Cipriani) che me a rinunciare a quello che era il nostro più grande desiderio: venire a raggiungervi. Ed è stato davvero un grosso sacrificio e una grande ansietà, non essendo riusciti in alcun modo a darvi nostre notizie e ad avere le vostre.

Domani, venerdì, io credo che come sicurezza potremmo venire, però dovremmo ripartire per Milano in serata o sabato mattina presto, perché non possiamo restare assenti da qui per il sabato. Abbiamo quindi concluso col rinunciare a venire da voi anche domani, venerdì e a rimandare la nostra venuta a sabato sera per restare con voi la domenica.

Vi manderemo però queste lettere e i giornali usciti oggi e domattina, a mezzo di un fattorino di Paolo Orlando che verrà da voi domani mattina, venerdì e al quale darete le vostre lettere di risposta.

(conservatemi tutti i giornali che vi mando). E’ per questo che io adesso prima di andare a letto ricomincio a scrivervi, per poi aggiungere ancora altre notizie domattina prima della partenza del nostro messaggero.

Farvi una descrizione di queste due giornate di Milano è impossibile per iscritto perché sarebbe troppo lunga.

Posso dirvi solo che da ieri viviamo un’atmosfera quasi irreale. Ieri, mercoledì, si è incominciato verso mezzogiorno ad avere la sensazione che tutto stesse precipitando. Nelle prime ore del pomeriggio i tram hanno cessato di funzionare e alle 5 la città era in convulsa attesa degli avvenimenti. Ancora fascisti in giro, arroganti coi fucili spianati, tedeschi invece quasi attoniti, ma l’insurrezione ancora non si manifestava.

Alle 7 ero qui a casa e ho cenato con Paolo e Bona.  Serata alla radio, con Londra e l’America che non dicevano niente di interessante e fuori le fucilate che cominciavano a infittire.

Stamane alle 7 un segnale di cessato allarme che è durato cinque interi minuti. Era il segnale della conquista della Prefettura e difatti dopo cinque minuti mi hanno telefonato Silvio e Capretti che, da due diverse fonti, l’avevano saputo.

Sono uscito di casa a piedi non sapendo se era meglio non andare in bicicletta, alle 8 ½. Capannelli, sparatorie vicine e lontane. Arrivati in via Dante hanno ammazzato un povero diavolo pochi metri davanti a me, sparandogli a bruciapelo dall’angolo di via Rovello da parte di un milite della Muti che ho visto benissimo e che non aveva più di quindici anni. Uno di quei ragazzettacci vestiti da Muti che ben conoscete.

Sono tornato indietro e sono arrivato in banca per vie traverse.  Di là non mi sono più mosso fino a mezzogiorno.  Mattinata trascorsa da un ufficio all’altro, da una finestra all’altra. Passaggi continui in Piazza della Scala di automobili, camion con partigiani e volontari, scene paradossali. Tedeschi in uniforme con garofani rossi sulla giubba (un ufficiale tedesco perfino con una bandiera tricolore), fascisti scomparsi.

Improvvise fucilate qua e là in tutte le strade del centro. Il Regina (albergo) sempre coi tedeschi dentro, ma nessuno se ne occupava.

Poi hanno innalzato le bandiere. In Municipio, in banca, alla Scala, dappertutto. Molte bandiere rosse dovunque, ma molta compostezza.

Banca chiusa come lavoro, ma brulicante dentro di personale elettrizzato. Non vi sto a raccontare quello che ci siamo detti fra tutti noi, Silvio, Ida Bove, Giulietto, Franzi e gli altri, perché potete immaginarlo. Io ero stordito e lo sono ancora.

Poi i giornali che vi mando e che andavano a ruba. Poi le notizie che si inseguivano una dopo l’altra.

Alle 12.30 sono venuto a casa a colazione da Paolo e sono tornato in banca alle 2. Ma il centro ormai era più calmo.

Solo al Regina c’era ancora un gruppo di tedeschi impassibili (si facevano anche vedere sulla porta e nessuno gli dava noia), che non si risolvevano ad andarsene o ad arrendersi. C’erano ancora stasera alle 18 quando sono ripassato tornando a casa. Dal Municipio grandi discorsi alla folla entusiasta e acclamante.

Anche stasera ho cenato qui con Paolo e adesso, dopo le ultime notizie delle avanzate (le ultimissime sono che gli alleati sono in marcia su Milano) me ne vado a letto perché sono estenuato.

Due giornate indimenticabili e ora una sensazione di commossa serenità d’animo, più che di gioia. Dopo ore e ore di convulsione ieri e stamane, i nervi si stanno stendendo. Iddio sia ringraziato. I milanesi li abbraccerei tutti.

Quello che io mi auguravo e invocavo con tutta l’anima, è avvenuto! Milano si è liberata da sola, con una serietà, una compostezza e una dignità ammirevoli.  Domani forse saranno qui gli alleati e siano i benvenuti!  Ma per far pulizia, grazie a Dio, non c’è stato bisogno di loro! Milan l’è un gran Milan.

Unica ombra per me in queste ore, che non dimenticherò fin che campo, è stata la vostra lontananza e il pensiero continuo e assillante di voi.

Buonanotte, vi abbraccio tutte e tre

Giannetto

Venerdì mattina dalla banca

Carissime,

sono qui in ufficio, all’ora solita. Tutto tranquillo in città, solo grande animazione e grande andirivieni di patrioti isolati e in formazione.

La banca da ieri sera è occupata dai partigiani, ma solo per guardia di sicurezza. Stamani però gli sportelli riaprono e il lavoro riprende. Pensate che ieri avevamo dentro in banca perfino dei tedeschi, una dozzina, fatti prigionieri e portati qui dai patrioti.

L’arrivo delle prime truppe alleate è atteso per il pomeriggio.

State dunque tranquillissime per me e non vi muovete di lì. Rispondetemi tutte e tre perché voglio vedere la calligrafia di tutte e tre. Ditemi come è andata costì. Ditemi se Vismara con la bicicletta Legnano è arrivato bene e se la bici è in ordine.

Noi, intendiamoci bene, abbiamo tutte le intenzioni di venire domani sera, sabato, ma se per un caso, assai improbabile, non ci vedete non c’è da stare in pensiero. Può anche venire dopo l’arrivo delle truppe l’ordine di non circolare fuori città. Non credo, ma se venisse quest’ordine non ci potremmo muovere finché non avremo ottenuto un permesso.

Baci infiniti e arrivederci a domani sera.

Giannetto

Trattenete pure il messaggero finché abbiate potuto rispondere con calma e con dettagli. Non ci sono mance da dare, ho già provveduto io, soltanto fatelo bere e mangiare.

Potete inviare racconti e testimonianze alla mail redazioneitalia@pressenza.com con oggetto “Resistenza”, specificando il nome del protagonista o quello dell’autore dello scritto originale, l’anno (o il periodo) e il luogo in cui si è svolta la vicenda.