La Corte Costituzionale anni fa aveva affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell‘ergastolo in riferimento all‘articolo 27 della Costituzione, perché c‘è la possibilità che il condannato all‘ergastolo possa usufruire della grazia o della condizionale. Può sembrare paradossale, ma l’aver esteso anche all’ergastolo la possibilità della liberazione condizionale ha ottenuto il risultato di legittimare ulteriormente questo istituto senza modificarne la sostanza. In poche parole l‘ergastolo c‘è… perché non c‘è. Pazzesco!
Neppure l‘azzeccagarbugli del Manzoni poteva dire o scrivere di meglio, o di peggio. La pena perpetua è stata dichiarata legittima nella misura in cui è in realtà non perpetua: dunque l’ergastolo, secondo la Corte, non esisterebbe nella realtà, ma solo nelle norme, non come pena scontata ma come pena minacciata e proprio per questo non sarebbe necessario eliminarla dalle norme. Insomma: proprio il cavillo usato dalla Corte Costituzionale per legittimare l’ergastolo, la sua possibile non perpetuità, rappresenta un fortissimo argomento a sostegno della sua abolizione. Ma come? La pena perpetua, si dice, non è contraria alla funzione rieducativa solo perché potrebbe non essere perpetua. Ma questo vuol dire ammettere l’illegittimità degli ergastoli, pochi o molti che siano, che per una ragione o per un’altra restano tali. E vuol dire anche un’altra cosa: riconoscere che l’esecuzione penale può diventare il terreno dell’arbitrio, dell’incertezza e delle discriminazioni più incontrollate.
Ecco la quarta testimonianza di un ergastolano:
Non voglio entrare nel merito del come e del perché io sia stato condannato, ormai il mio ergastolo è definitivo. Vi racconterò solo di me, del mio cambiamento e di cosa penso. Sono nato ad Acerra, ho tanti bei ricordi della mia infanzia perché quando sei in questi luoghi di sofferenza pensi alle cose belle e alle più significative, legate alla famiglia, ai posti dove giocavi con i tuoi fratelli e a tutte le marachelle che si andavano combinando. Sfortunatamente in carcere sono entrato giovanissimo, avevo 18 anni e sono evaso dopo 10 anni, per ritornarci 2 anni dopo. E fin da allora ho passato, per meglio dire buttato, il mio tempo qui dentro. Quindi 32 anni li ho passati dietro le sbarre, di cui 9 in regime di 41 bis. In tutti questi anni di carcere ne ho viste di cotte e di crude, ho incontrato tantissime persone e ascoltato tantissime storie. Uno, come si dice, si rassegna, fingendo che questa sia una vita a parte, come se fossi nato qui e il mondo libero non esistesse, altrimenti si impazzirebbe. Il carcere è una brutta bestia, soprattutto quando si sa che non si uscirà mai e provoca danni inguaribili che solo chi lo vive può capire. Si è, per farvi un esempio, come una candela che man mano che il tempo passa, si va consumando. E se non ti tieni allenato col cervello e con il fisico il carcere ti distrugge, letteralmente. Chi più chi meno ognuno di noi ha subito forti traumi e ha le sue fissazioni. Poi nelle carceri italiane non ti viene riconosciuto nessun diritto, a partire dagli spazi.
Si può commettere il reato più tremendo, ma questo non significa che non si può cambiare e credere ad altri ideali: a 20 anni non si ragiona come a 50, si pensa diversamente. Anche dal punto di vista scientifico le cellule in 20 o 30 anni chissà quante volte muoiono e rinascono, quindi possiamo dire che non solo nel fisico ma anche nel pensiero il ragionamento è diverso da quello del ragazzo di un tempo.
Mi sono sfogato un poco, mettendo su carta qualche mio pensiero per tenere accesa questa candela, anche se forse sarebbe meglio spengerla.