Lecce, oggi alle 18,30 in diretta dalla pagina FB Noi Restiamo incontro con gli attivisti del Movimento NO TAP. Domani ore 10,00, a porta Rudiae, presidio in solidarietà al Movimento
Il 19 marzo, al Tribunale di Lecce si è concluso il primo grado di giudizio di tre processi a carico degli attivisti NO TAP. La sentenza emessa è molto pesante: 86 dei cento attivisti imputati hanno ricevuto dai 3 mesi ai 3 anni e svariate migliaia di euro di risarcimenti per le proteste condotte dal 2017 al 2019 in occasione dell’avvio dei lavori per la realizzazione del gasdotto TAP (TransAdriatic Pipeline) a Melendugno, San Foca, in Salento.
Il progetto TAP prevede la costruzione di un gasdotto che parte dall’Azerbaijan e arriva in Europa, con punto di approdo in Salento e ricongiungimento a Brindisi alla rete SNAM. Il comitato NO TAP in quasi 10 anni ha lavorato per informare e mobilitare la popolazione locale di fronte alla possibilità di un’opera che avrebbe danneggiato non solo il patrimonio naturalistico e marino delle zone coinvolte, ma anche le attività, principalmente agricole, della zona. La costruzione di un impianto di depressurizzazione inoltre comporterebbe emissioni gassose pericolose per la salute umana – in un territorio, quello pugliese – già mortificato da un inquinamento atmosferico che è il principale responsabile dell’aumento di tumori. Inoltre il progetto non è giustificato affatto da esigenze energetiche del paese ed è stato anche oggetto di indagini che hanno svelato rapporti collusi tra le aziende coinvolte e la criminalità organizzata, oltre ad essere diventato l’ennesimo esperimento di “sospensione della democrazia” quando si tratta di reprimere chi tenta di difendere l’ambiente e la salute della propria comunità.
La giustizia italiana in questa vicenda ha mostrato una straordinaria efficienza: la velocità con cui è stato condotto il processo non solo ha dato difficoltà nell’organizzazione e preparazione della difesa, ma ha dimostrato chiaramente che la sentenza ha assunto un significato e un posizionamento politico a favore di un sistema di sviluppo che favorisce poteri economici ben precisi e schiaccia invece il destino di un’intera popolazione. A rafforzare questo atteggiamento sta anche la decisione del giudice nel raddoppiare le richieste di condanna avanzate dal Pubblico Ministero.
Incontriamo gli attivisti NO TAP che potranno raccontarci la loro esperienza di movimento e di lotta contro l’ennesimo crimine ambientale e contro l’opera di repressione di cui la giustizia italiana e gli interessi economici dei colossi energetici sono la regia.
La solidarietà è un’arma soprattutto quando la repressione si abbatte sui movimenti sociali e ambientalisti!
Noi Restiamo
Pubblichiamo integralmente il Comunicato stampa così come dal Legal team del movimento e, a seguire, il comunicato NoTap del 20 marzo, diramato dopo la sentenza di primo grado per 92 attivisti
Venerdì scorso, come è noto, il Tribunale di Lecce ha definito il primo grado di giudizio di tre procedimenti a carico degli attivisti No Tap, pronunciando sentenza nei confronti di quarantasei, venticinque e cinquantacinque persone.
Abbiamo apprezzato, da difensori degli imputati, una amministrazione della giustizia straordinariamente efficiente, in termini di rapidità delle indagini e in termini di celerità dei dibattimenti, con sedici udienze concentrate nell’arco di sette mesi, spesso a distanza di una settimana l’una dall’altra.
Da parte nostra, abbiamo compiuto ogni sforzo possibile per evitare che le esigenze logistiche legate alla limitata disponibilità dell’aula bunker – ripetutamente dichiarate prioritarie – prevalessero sul diritto di difesa. Sostenendo ritmi massacranti e tempi ridottissimi per lo studio dei verbali, per la preparazione dell’udienza, per il confronto tra le dichiarazioni dei testimoni di polizia giudiziaria e l’enorme mole (oltre 150 gigabyte) di materiale videoregistrato. E tentando di persuadere i nostri assistiti, non senza difficoltà, del fatto che procedimenti gestiti con rapidità così perentoria non fossero semplicemente il preludio di giudizi sommari.
Quello che invece non siamo riusciti a giustificare – e che oggi non possiamo fare a meno di segnalare, per il rispetto dovuto alle persone che difendiamo – è il fatto che la stessa rapidità e la stessa efficienza non si siano finora registrate nei procedimenti avviati su loro iniziativa, per vicende verificatesi nello stesso contesto spazio-temporale: il fatto, per esempio, che il procedimento nato dalla denuncia degli attivisti ammanettati nelle campagne il 9 dicembre 2017 sia ancora a carico di ignoti, dopo oltre tre anni, pur essendo noti i nomi dei responsabili dell’operazione di polizia; o il fatto che siano ancora a carico di ignoti, anche in questo caso trascorsi tre anni, i procedimenti scaturiti dalle querele proposte dagli attivisti per i fatti del 13 novembre 2017, del 9 febbraio e del 9 aprile 2018.
Crediamo sia tempo che le autorità giudiziarie competenti avvertano la responsabilità di rispondere – in un modo o nell’altro, purché si risponda – a una domanda di giustizia che non tollera più di essere elusa.
Con richiesta di pubblicazione integrale.
Avv. Francesco Calabro Avv. Alessandro Calò Avv. Giuseppe Milli Avv. Elena Papadia
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Si va avanti NONOSTANTE TUTTO.
Avremmo tanto da dire su quanto accaduto ieri nell’aula bunker del carcere di Lecce, cercheremo di farlo, rimanendo lucidi davanti ad un giudizio che, a nostro avviso, ha avuto un evidente indirizzo politico.
Ci troviamo qui a dover commentare ancora una volta la criminalizzazione messa in atto da un apparato repressivo che coinvolge lo Stato a diversi livelli, con la complicità di una certa stampa che, senza essere presente a nessuna delle udienze, è stata pronta a giudicare, arrivando a definire “esito finale” quello che è solo il primo grado di giudizio.
Tutto questo sembra un accanimento contro il diritto al legittimo dissenso nei confronti di un’opera inutile, dannosa e imposta, presentata come strategica, che invece di strategico ha solo il raschiare il barile dei fondi europei. È un’opera #climalterante che va contro ogni sana logica di cambiamento, lontana anni luce da quella transizione energetica di cui in nostri politici si vantano tanto. Pare sempre più evidente che questo accanimento è rivolto a chi protesta contro quel sistema in cui il #tap è inserito, un sistema di sviluppo che strizza l’occhio al potere economico, abbandonando intere popolazioni alla propria sorte. Un sistema che alletta con le sue sirene ma che lascia intorno a sè distruzione, povertà e un sempre maggiore divario tra classi sociali.
Non sarà questa sentenza a farci indietreggiare, non sarà questo chiaro messaggio intimidatorio a farci desistere dal continuare a credere che siamo la parte migliore di questa brutta storia, che siamo dalla parte giusta.
Ci eravamo meravigliati quando il giudice, Presidente di una sezione penale, aveva avocato i tre processi a sé, decidendo di celebrare tutte le udienze in tempo così rapidi (3 procedimenti penali, di cui uno con 78 capi di imputazione, in appena 7 mesi – udienze pressoché settimanali-, con una mole di materiale videoregistrato immenso da consultare per la difesa). Ci era sembrata del tutto fuori luogo l’esternazione del Giudice quando, nelle prime fasi dell’istruttoria, dichiarò che la testimonianza del pubblico ufficiale doveva considerarsi già di per sé veritiera. Siamo rimasti attoniti, nonostante fossimo preparati all’esito, quando il giudice leggendo i dispositivi delle sentenze ha emesso condanne che, nella maggior parte dei casi raddoppiavano, e talvolta triplicavano, le richieste del PM.
Si tratta di condanne che variano da un minimo di un mese a un massimo di 3 anni e che vedono coinvolti 86 attivisti. Pene severissime, se si pensa che molte delle impostazioni riguardano reati che vanno da oltraggio a p.u., a lancio di ciclamini o uova, a resistenza a p.u..
Ma ciò che fa più pensare, e lo hanno ribadito anche i nostri legali, sono i soli 15 giorni valutati da Giudice come sufficienti per depositare le motivazioni delle sentenze. Il numero elevatissimo di attivisti imputati e la complessità dei contesti e dei fatti, ci aprono ad un interrogativo: ci chiediamo se il Giudice dovrà spendere giorni e nottate per fornire motivazioni soddisfacenti o se, in realtà, il tutto non lo abbia già elaborato. Ai 15 giorni ne seguiranno 30 affinché i nostri legali possano elaborare e depositare gli appelli. Tempi strettissimi che non solo limitano la possibilità di imbastire una difesa serena e priva di pressioni, ma che impongono ancora una volta un tour de force ai nostri legali.
La regia che si cela dietro all’imposizione di questo sistema ha da sempre avuto bisogno di criminalizzare chi lotta per le giustizie sociali ed ambientali, così come ha la necessità di incutere timore nelle popolazioni istituendo zone rosse e limitazioni, mostrando i muscoli e schiacciando la ragione ma, malgrado tutto questo, ci sentiamo di ribadirlo ancora più forte.
Nonostante tutto ci troverete ancora qui:
noi l’effetto
voi la causa del nostro malcontento.
Movimento NoTap