Intervento all’8° Simposio del Centro Mondiale di Studi Umanisti “Un nuovo umanesimo per un nuovo mondo – scambi plurali da un mondo in crisi” svoltosi dal 16 al 18 aprile scorsi in forma virtuale con interventi da varieparti del mondo. L’intervento di Vito Correddu è di Venerdì 16.
Siamo umanisti. E lo siamo perché ci sta a cuore l’essere umano. Ci occupiamo e preoccupiamo del e per l’essere umano. In questo nostro prenderci cura dell’essere umano formuliamo un’etica, una morale. Definiamo valori e in base a questi, leggiamo la realtà e formuliamo le nostre analisi, facciamo le nostre proposte e denunciamo il disumano e l’antiumano.
Quando affermo che siamo umanisti, non lo faccio riferendomi a un particolare umanesimo. Ogni umanesimo che è sorto nella storia umana, ogni momento umanista che la storia è riuscita a raccontare aveva come elemento comune l’essere umano come preoccupazione centrale.
In questo senso ci prendiamo la libertà di considerare umanesimi tutti quei momenti della storia umana che nelle diverse civilizzazioni hanno visto l’emergere di un certo interesse per l’essere umano e con l’aiuto degli storici e degli antropologi, oggi possiamo quindi constatare la presenza di momenti umanisti che precedettero l’umanesimo rinascimentale, non solo in Europa ma anche nell’antico Egitto, nell’America precolombiana, nell’Islam dall’VIII al X secolo d.C. o nella Cina confuciana.
È certo però che gli umanisti del Rinascimento europeo non si definivano come tali. Solo nel 1538, per designare un certo tipo di studioso, cominciò ad essere usata la parola umanista e solo nel 1808 si conia per la prima volta la parola umanesimo.
Nel corso del XX secolo sarà tutto un fiorire di umanesimi, per lo più in ambito prettamente filosofico. Agli inizi non ci sono ancora movimenti di opinione che si riconoscano e si autodefiniscano umanisti. Solo a partire dagli anni ‘80, ispirato al pensiero di Mario Rodriguez Cobos, più conosciuto con lo pseudonimo letterario di Silo, nasce il Movimento Umanista e quasi contestualmente troviamo i primi Partiti Umanisti e la nascita della prima Internazionale Umanista nel 1989.
Oggi la parola umanesimo trova declinazioni della più svariata foggia. Si parla di umanesimo non solo in campo filosofico, politico, economico o educativo, ma anche in agricoltura, e addirittura nella gastronomia, il tutto spesso accompagnato dall’aggettivo nuovo. L’umanesimo o quanto meno la parola umanesimo, sembra oggi ottenere un certo consenso che mai ebbe nel passato. Ed è così che di tanto in tanto nei discorsi di diversi leader politici e religiosi si sente parlare della necessità di un nuovo umanesimo.
Lungi da noi giudicare la bontà di quelle affermazioni, perché questo ci ridurrebbe a censori e portatori illegittimi di un presunto vero umanesimo. Ciò che invece ci preme evidenziare, come del resto già esposto, è che ogni umanesimo cerca di porre al centro dell’attenzione il tema dell’essere umano.
Ma se l’essere umano è il centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri valori dovremmo chiederci se ciò che conosciamo dell’essere umano, se la rappresentazione, se il vissuto e la definizione che abbiamo dell’essere umano, sia non solo sufficiente ma sia inoltre esaustivo e completo, avendo quindi esaurito e messo la parola ‘fine’ al nostro bisogno di ricerca. In altre parole, dovremmo chiederci, così come andavano affermando gli Adib, i letterati della Spagna musulmana, l’essere umano è ancora il problema dell’essere umano?
La storia del pensiero occidentale come ci insegna Heidegger sembra esser stata risucchiata dall’ente, dall’oggetto. Nella sua critica Heidegger evidenzia come ogni umanesimo è in ultima istanza una metafisica, che non è riuscito a sottrarre l’essere umano dall’angusta dimensione dell’animale rationale, o da quel zoon logon echon di aristotelica memoria.
Egli scrive in Lettera sull’”Umanismo”:
“Per quanto queste forme di umanismo possano essere differenti nel fine e nel fondamento, nel modo e nei mezzi previsti per la rispettiva realizzazione, nella forma della dottrina, nondimeno esse concordano tutte nel fatto che l’humanitas dell’homo humanus è determinata in riferimento a un’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè dell’ente nel suo insieme”
L’humanitas dell’umano è ancora pensata, come direbbe Heidegger, dall’al di là e non dall’al di qua. Nel senso che continua ad essere pensata a partire dal mondo, dal mondo degli enti, delle cose.
Quando si pensa l’essere umano dall’al di là non si dice il falso, piuttosto non si dice tutta la verità o per lo meno si pensa l’essere umano da un particolare sguardo. In definitiva, si resta nella metafisica e si riduce l’essere umano a un ente come gli altri, osservandolo come un qualunque fenomeno naturale. Il problema si pone quando quel particolare sguardo si universalizza o pretende di ergersi a fondamento dell’essenza dell’essere umano.
Se immaginassimo per assurdo la scomparsa dell’essere umano dal pianeta Terra, non come una eventualità o un pericolo incombente, ma come se questo fosse già accaduto, ci troveremmo ad immaginare la Terra, il sistema solare, e l’universo intero continuare ad esistere. Potremmo immaginare il tutto semplicemente senza la presenza dell’essere umano.
In questo esercizio immaginativo, la scomparsa dell’essere umano, dai dati che ci fornisce la scienza, presumibilmente, non produrrebbe nessun cambiamento rilevante sul piano cosmico. Ovviamente sul pianeta Terra la natura ricomincerebbe a riprendersi quegli spazi lasciati vuoti dall’essere umano, ma nulla più di questo. Le leggi che sorreggono e governano l’universo sarebbero ancora valide e continuerebbero ad agire senza nessun sconvolgimento. Se l’essere umano è un ente come gli altri la sua scomparsa non sarebbe quindi per nulla significativa, non cambierebbe di una virgola la realtà delle cose.
In definitiva parleremmo dell’essere umano come di un epifenomeno, la cui estinzione, all’interno della storia della vita su questo pianeta, si aggiungerebbe a quelle di altre specie.
Al termine del gioco immaginativo ne ricaviamo appunto uno sguardo esterno sull’essere umano e come si diceva uno sguardo dall’al di là. Uno sguardo che ci lascia pensare l’estinzione come se non fossimo parte di questa, come se l’estinzione dell’essere umano non implicasse anche la nostra scomparsa. In sostanza in questo esercizio saremmo degli osservatori esterni. Saremmo nella prospettiva del chi guarda.
Questo esperimento dell’immaginazione ci è possibile grazie alla capacità astrattiva del pensiero umano. È un pensiero che ci permette di prendere distanza, di fermare il trascorrere del tempo e di astrarre (o forse in questo caso sarebbe meglio dire “estrarre”) elementi da un contesto e trarne le dovute conseguenze.
Ma cosa succederebbe se si provasse a immaginare la stessa cosa da dentro, dall’al di qua? Come dunque posso immaginare la stessa scena se non c’è più l’osservatore? O più precisamente come posso immaginare quella stessa situazione senza l’essere-nel-mondo?
Nell’esercizio di prima il genere umano era scomparso ma erano rimaste le piante, gli animali, la Terra, i pianeti, le stelle e così via l’universo intero, ma c’era ancora chi quel paesaggio l’osservava, indifferente del fatto che tutto ciò lo riguardasse da vicino. Dato che chi osserva è il nostro pensiero e si presume non appartenga alla categoria del disumano, al non-umano o all’antiumano bensì ancora all’umano, quello che ora chiediamo di fare all’immaginazione è di sottrarre ciò che ancora resta dell’umano. Sottraiamo quindi anche noi stessi dalla scena.
Ma d’un tratto è come se si spegnessero le luci. Si interrompe la corrente e ci troviamo in black-out. L’immaginazione si arresta, incapace di dire qualcosa su ciò che non è.
Il mondo non ha più la nostra presenza. Ma cos’è quel mondo senza la nostra esistenza? È il nulla. Ecco che di fatto l’esperimento dell’immaginazione ci risulta impossibile non perché non siamo capaci di immaginare il nulla ma perché nemmeno il nulla sarebbe un oggetto osservabile, senza un osservatore. Ci risulta impossibile perché devo fare i conti con il fatto che continuo ad esistere o meglio devo fare i conti con quello che Heidegger chiama l’esser-ci.
Cosa traggo, cosa comprendo, quali conseguenze deduco da questa esperienza?
Comincio a dubitare che il mondo esista al di là dell’essere umano.
Che l’e-sistenza precede il pensare di esistere.
Che coscienza e mondo, dal punto di vista esistenziale, appartengono a una sola struttura: coscienza-mondo.
Che l’essere umano è un essere storico, portatore e creatore di Senso e significati. L’essere umano è un progetto.
Che i valori e un’etica devono sorgere dalla particolarità dell’esistenza umana.
Cerchiamo ora di approfondire queste considerazioni. La prima: Comincio a dubitare che il mondo esista al di là dell’essere umano.
Qui non si dubita sul mondo in una logica metafisica. Qui non si tratta di negare il pensiero scientifico e quindi la realtà ma dubitare che questa sia indipendente dallo sguardo umano. In altre parole non stiamo dicendo, per esempio, che la forza di gravità non esista e che questa operi così come la scienza ci va mostrando. Stiamo dicendo che la forza di gravità è, in quanto c’è un essere un umano che la esperisce, e che se a esperire non fosse l’umano, altro sarebbe l’effetto che produrrebbe (Silo 1981). In questo senso si può avanzare con l’ipotesi, tutta da verificare, che il pensare metafisico occulti più di quanto sveli.
Seconda considerazione: Che l’e-sistenza precede il pensare di esistere.
Qui si sta dicendo che la riflessione sulla propria esistenza è un’astrazione del pensare. Il cogito ergo sum è una deduzione all’interno del pensare metafisico. È un pensiero che segue le regole della logica ma, come a volte accade nella logica, seppur coerente, nasconde l’arbitrarietà della scelta dei termini sui quali si sviluppa.
Già Nietzsche evidenziava come il cogito cartesiano fosse quantomeno superficiale nella sua definizione perché era il risultato di concetti definiti a priori. Per questo motivo egli ribalta l’affermazione di Cartesio formulando una sorta di circolarità: “sum ergo cogito: cogito ergo sum”.
L’e-sistenza non è una deduzione del pensare ma il registro che la coscienza ha di sé, del suo essere-nel-mondo e precede il pensare e il fare nel mondo.
Ecco come Heidegger descrive l’e-sistenza:
“Di e-sistenza si può parlare solo in relazione all’essenza dell’uomo, cioè solo in relazione al modo umano di «essere»; perché solo l’uomo, per quanto ne abbiamo esperienza, è coinvolto nel destino dell’e-sistenza. Perciò l’e-sistenza non può mai essere pensata come una specie particolare tra le altre specie di esseri viventi, dato che l’uomo è destinato a pensare l’essenza del suo essere, e non solo a raccontare storie naturali e storiche sulla sua costituzione e la sua attività.”
Terza considerazione: Che coscienza e mondo, dal punto di vista esistenziale, appartengono a una sola struttura: coscienza-mondo.
Nell’esperimento immaginativo che si è proposto, quando si è sottratto definitivamente l’umano e l’immaginazione non arrivava più a concepire l’esistenza, potremmo aver avvertito qualcosa di interessante. Potremmo aver avvertito l’atto puro della coscienza che cercava l’oggetto, in altre parole l’intenzionalità della coscienza. Ed è così che osserviamo che la coscienza è in continua attività alla ricerca degli oggetti che compensino la sua condizione di finitezza.
“La coscienza, quindi, non è una copia della realtà, ma una trasformazione continua che opera nei due sensi: da fuori verso dentro, attraverso la rappresentazione operata dall’immagine nel paesaggio interno, e da dentro verso fuori, attraverso l’azione sul paesaggio esterno. Concepita in tal modo, cioè nell’azione di coordinare i dati dei sensi, della memoria e dei centri di risposta, la coscienza diventa l’intrecciarsi di questi due paesaggi che definiamo interno ed esterno secondo gli elementi che prendiamo in considerazione, ma che in realtà vanno a configurare una struttura unica, la coscienza-mondo. Il funzionamento della struttura coscienza-mondo si esplica nel corpo.”1
Il mondo è quindi il destino della coscienza umana. Una coscienza che si costituisce e si plasma nel mondo, ma il mondo a sua volta si costituisce e si realizza nella coscienza umana.
Solo questo modo di intendere la relazione coscienza-mondo che ci permette di superare le dicotomie soggetto-oggetto o personale-sociale e restituisce la possibilità di uscire dal solipsismo e scoprire l’intersoggettività. È nel prendere contatto con l’e-sistenza e quindi con questa dimensione dell’intenzionalità che posso riconoscere l’intenzionalità dell’altro e a qualificarlo come umano.
Quarta considerazione: Che l’essere umano è un essere storico, portatore e creatore di Senso e significati. L’essere umano è un progetto.
Questo essere-nel-mondo, questa coscienza-mondo, questa e-sistenza non è statica, piuttosto è in divenire. Quell’idea di morte che l’esercizio immaginativo ci ha proposto non ha potuto annichilire l’intenzionalità della coscienza che ci appare ora come costitutiva dell’essere umano. L’e-sistenza o è per il futuro o non è. In questo senso l’essere umano si trova immerso in un processo storico, o meglio è esso stesso il processo storico, è egli stesso il Senso che tanto anela. Da questo punto di vista, tanto il paesaggio naturale (il corpo incluso), quanto quello sociale diventano il bersaglio di un progetto di umanizzazione. Da ciò discende la discriminante tra umano, disumano e non-umano. Da questo si traccia il limite tra libertà e malafede.
A tal proposito qual è la patria dell’essere umano? Si può ancora dire che la sua casa sia la Terra? piuttosto non dovremmo già dire che la sua casa, il suo esser-ci, il suo abitare abbia già travalicato questo confine?
Quinta e ultima considerazione: Che i valori e un’etica devono sorgere dalla particolarità dell’esistenza umana.
Se l’essere umano non è un ente qualunque, se l’essere umano è portatore di un progetto, ciò che chiamiamo valori e disvalori e ciò che chiamiamo etica non possono che partire dall’e-sistenza. Perché schierarsi per la libertà e la dignità umana se l’essere umano fosse solo un epifenomeno nella fisica dell’universo? Perché promuovere l’uguaglianza tra gli esseri umani e la diversità personale e culturale se l’essere umano non fosse altro che un animale rationale, un riflesso di condizioni oggettive, una macchina termodinamica, un essere vivente la cui essenza è determinata da una serie di elementi come il codice genetico o i circuiti neurali? Perché mai dovremmo porci contro la guerra e aspirare a relazioni nonviolente tra gli esseri umani se tutto alla fine terminasse nel nonsenso?
Ogni teoria che anteponga all’essere umano entità astratte quali Dio, lo Stato o il denaro, ogni teoria che cercasse di interpretare in senso naturale l’essere umano, o nello sforzo di interpretare l’essere umano, scambiasse le possibili analogie col mondo naturale con dati di realtà, non solo descrive teorie prive di fondamento, ma ci consegna ancora una volta un umano visto dall’al di là, visto da fuori. Queste teorie, che potrebbero appartenere più alla narrazione mitologica, sono paradossalmente quanto di più lontano ci sia dall’esperienza del Mito.
Un Nuovo Umanesimo per un mondo nuovo richiede che si espliciti come si pensa l’essere umano. A quale essere umano ci stiamo riferendo? Chi siamo, dunque?
A tali domande, il linguaggio espositivo, se chiuso nelle regole della logica e della grammatica non riuscirà mai a dare risposte esaustive. Pertanto nemmeno io, credo, finora ci sia riuscito, perché qui stiamo parlando di un’esperienza fenomenologica, di un’esperienza interna ed ogni descrizione della stessa finisce quasi sempre per essere un pensare metafisico, ma per non ridurre ad una mera perdita di tempo questo mio intervento al Simposio, vorrei offrire un passo di un’opera di Silo che, attraverso un linguaggio poetico, a mio avviso, ci propone un’immagine dell’essere umano che sintetizza quanto qui si è tentato di dire.
Egli scrive: “Creatore di mille nomi, costruttore di significati, trasformatore del mondo… i tuoi padri ed i padri dei tuoi padri continuano in te. Non sei una meteora che cade ma una freccia luminosa che vola verso i cieli. Sei il senso del mondo; quando chiarifichi il tuo senso, illumini la terra. Quando perdi il tuo senso, la terra si oscura e l’abisso si apre.”
Grazie.
1 Roberta Consilvio – Psicologia e sviluppo della coscienza: l’evoluzione possibile dell’essere umano