“Dobbiamo concentrarci sulla sicurezza individuale per una pace duratura”
Le mine antiuomo sono tra le armi più insidiose e spietate, perché non fanno distinzione tra soldati armati, civili o bambini. Secondo il Landmine Monitor 2020, solo l’anno scorso gli ordigni esplosivi nascosti sotto terra hanno ucciso o ferito almeno 5.554 persone in tutto il mondo: si tratta di circa 15 morti e feriti gravi al giorno. Con la sua Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo (ICBL), la Professoressa Jody Williams (70) promuove il divieto delle mine antiuomo da quasi trent’anni. Grazie alla sua campagna per il divieto delle mine e al suo impegno ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1997.
Professoressa Williams, la ringraziamo per averci concesso questa intervista con l’iniziativa Face of Peace. Per iniziare, vorremmo chiederle: cosa significa per lei “pace”?
La pace non è semplicemente assenza di conflitti, questa è solo la linea di base su cui si può costruire una pace duratura. Per me, la pace duratura è basata sull’incolumità individuale, non sulla sicurezza nazionale. Non abbiamo bisogno di altre armi nucleari “moderne”, né di armi pienamente autonome in grado di mirare e uccidere esseri umani. Dobbiamo utilizzare le nostre risorse per soddisfare i bisogni delle persone, non dei produttori di armi. Le persone dovrebbero avere la possibilità di vivere una vita dignitosa, con pari accesso all’istruzione, alle cure mediche, a una casa, ecc. Dobbiamo concentrarci sulla sicurezza del singolo se vogliamo una pace duratura, non sulla sicurezza nazionale per proteggere le infrastrutture dello stato. La pace e la sicurezza dovrebbero essere incentrate sulle persone!
Il 3 dicembre 1997, 122 stati hanno firmato il trattato per il divieto delle mine antiuomo. Lei e la sua campagna avete ricevuto il Premio Nobel per la Pace per questo. Com’è arrivata, da americana, al tema delle mine antiuomo?
In realtà, due organizzazioni (la Vietnam Veterans of America Foundation e un’organizzazione tedesca di soccorso umanitario, “Medico International”) mi hanno chiesto se potevo creare una coalizione internazionale di organizzazioni non governative per fare pressione sui governi affinché vietassero le mine antiuomo. È stata una richiesta incredibile che ha suscitato il mio interesse, perciò ho accettato la sfida ed è nata la Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo. Oggi, circa 164 nazioni fanno parte del Trattato di Ottawa per il divieto delle mine.
Parliamo del Mine Monitor del 2020: con 5.554 morti, il bilancio globale delle vittime rimane alto 23 anni dopo il divieto delle mine antiuomo. Non è una cifra sconfortante? Cos’altro può fare la comunità internazionale?
È una questione che fa riflettere e dimostra quanto tempo ci vuole per ripulire il disastro causato dalla guerra e dalla violenza. La comunità internazionale continuerà a lavorare per sostenere i Paesi ancora colpiti dalle mine occupandosi della rimozione delle stesse.
Il pericolo delle mine antiuomo, in particolare degli ordigni esplosivi, esiste ancora, e il mondo vede ancora troppi conflitti. Cosa minaccia di più la pace nel 2021?
A mio avviso, l’ossessione mondiale per le armi e la violenza e il considerare i pacifisti, che non capiscono la dura realtà del mondo, come voci intellettuali di poco conto sono due lati di un’arma a doppio taglio: l’obiettivo è far credere a tutti che solo più armi potranno tenerci al sicuro. Le più grandi minacce sono la “modernizzazione” delle armi nucleari e la “rivoluzione” delle armi: i robot assassini. Le armi sono pienamente autonome e in grado di mirare e uccidere esseri umani. Un terribile matrimonio tra intelligenza artificiale e armi da guerra!
Le bombe non uccidono l’ideologia: appena entrato in carica, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ordinato un attacco aereo in Siria, e un altro è stato annullato all’ultimo minuto. Cosa ne pensa a tal riguardo?
È giusto, le bombe non possono uccidere l’ideologia. In effetti, bombardamenti e altri atti di violenza possono rafforzare le convinzioni ideologiche e facilitare il reclutamento di altre persone. Non ho sostenuto l’uso estensivo della guerra dei droni da parte di Obama.
A proposito di Joe Biden: gli Stati Uniti non hanno ancora firmato il Trattato di Ottawa. Secondo lei, quali sono le possibilità che ciò accada durante la presidenza di Joe Biden? Il mondo ha bisogno della leadership degli Stati Uniti?
Non posso prevedere ciò che farà Joe Biden riguardo al Trattato di Ottawa. Ma è molto probabile che tornerà alla politica di Trump e conformerà la sua amministrazione con quella di Obama, che ha avvicinato molto gli Stati Uniti al trattato, anche se non è stato firmato.
Professoressa Williams, lei è anche presidente della Nobel Women’s Initiative. Di cosa si occupa questa iniziativa e cosa si può fare per supportare il suo importante lavoro?
La Nobel Women’s Initiative è stata avviata nel 2006. Riunisce cinque donne vincitrici del Premio Nobel per la Pace, che usano la propria influenza per puntare i riflettori sulle organizzazioni femminili di base nelle aree di conflitto in tutto il mondo che lavorano con giustizia e uguaglianza per una pace duratura.
Un grazie di cuore alla Professoressa Williams per aver concesso l’intervista.
Informazioni sulle iniziative Faces of Democracy e Faces of Peace:
Con quasi 100 personalità di spicco della politica, degli affari, dei media e della società, – tra cui l’ex Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il Primo Ministro della Norvegia Erna Solberg, il Presidente della Repubblica dell’Estonia Kersti Kaljulaid, il Ministro tedesco degli affari esteri Heiko Maas e il Segretario generale dell’OSCE Thomas Greminger – l’iniziativa Faces of Democracy è ora al suo quinto anno di vita. I primi volti dell’iniziativa Faces of Peace fondata nel 2019 sono il Direttore del SIPRI Dan Smith, il Presidente dell’Atlantic Brücke Sigmar Gabriel, il direttore informatico del 2019 dell’OSCEe Ministro degli affari esteri della Repubblica slovacca Miroslav Lajčák e il capo di stato maggiore della 69° brigata della Flotta del Nord Vasili A. Arkhipov.
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Traduzione dall’inglese di Rossella Crimaldi. Revisione di Flavia Negozio.