Un giacimento minerario, scrigno di terre rare e uranio, è risultato decisivo per l’esito delle elezioni in Groenlandia vinte con ampio margine da un partito indipendentista finora all’opposizione. Inuit Ataqatigiit, questo il nome del partito, fondato nel 1975 e cresciuto anche puntando su un impegno ambientalista, ha ottenuto alle parlamentari di ieri il 37 per cento dei voti. In primo piano, durante la campagna elettorale, l’opposizione al progetto di sfruttamento sostenuto dall’amministrazione uscente.
“Il popolo ha parlato” ha detto il capo di Inuit Ataqatigiit, Mute Bourup Egede, in un’intervista a Dr, emittente della Danimarca, il Paese che mantiene la sovranità sulla Groenlandia. Il dirigente ha aggiunto che il progetto di Kvanefjeld, affidato a un’impresa australiana associata a fondi cinesi, sarà sospeso.
A riconoscere come la questione dei giacimenti sia stata “una delle ragioni principali” della propria sconfitta decisiva è stato anche Erik Jensen, alla guida del partito Siumut, staccato con il 29 per cento dei consensi.
Il voto della Groenlandia, che ha uno status di autonomia su diverse materie, escluse la difesa e gli esteri, era osservato con attenzione a livello internazionale. Nell’isola vivono poco più di 50.000 persone ma le riserve minerarie e la posizione strategica fanno gola a più potenze. Nel 2019 il presidente americano Donald Trump si era anche detto desideroso di acquistarla, suscitando proteste danesi e groenlandesi.