I sei volontari partiti da Bologna il 19 marzo alla volta di Bihac,Bosnia, sono tornati con l’idea di realizzare una rete di persone, coordinate, che realizzino interventi dove serve
“Quando siamo arrivati abbiamo capito subito che la Bosnia è un paese di transito e quindi gli aiuti che si possono dare ai migranti sono aiuti emergenziali“. E così, tornati a Bologna, i sei volontari che sono partiti alla volta di Bihac per toccare con mano la realtà della cosiddetta ‘Rotta dei Balcani’, hanno deciso di riunire di nuovo le realtà che avevano avviato un ciclo di incontri e una raccolta di aiuti per lanciare nuovi “orientamenti operativi e prospettive future” di aiuto e solidarietà. Il viaggio a Bihac e dintorni nel weekend del 19-21 marzo ha visto partire sei persone (tra cui capi scout e volontari) con alcuni aiuti che sono effettivamente riusciti a consegnare. Ad esempio, con le donazioni in denaro hanno acquistato 850 pasti per chi vive il campo di Lipa (senza poterli però consegnare di persona a causa di 120 casi Covid tra le tende). Soprattutto, il viaggio è servito a stringere contatti e conoscenza che chi opera ‘sul campo’, come Emmaus Bosnia e Ipsia Acli. E ora, al rientro a Bologna, i sei volontari hanno rilanciato. “Abbiamo visto quello che raccontano i media e i fotografi documentano: una delle più grandi crisi umanitarie, una crisi gigantesca che qui da noi non è avvertita. In tre giorni abbiamo incontrato tantissimi migranti, un numero da quattro cifre”. E constatato, raccontano Alberto, Francesco, Maria, Sara, Nico e una seconda Maria, “che i problemi sono tanti, ma di fronte a tanti bisogni altrettante sono le opportunità di aiutare“. Di qui il ‘lancio’, avvenuto in un incontro due sere fa, del progetto per costituire “una piattaforma di persone, coordinate, in cui ciascuno può fare una parte concreta, che realizzano interventi dove serve rispetto a mancanze evidenti” dei migranti che tentano il ‘Game’ per superare il confine.
La piattaforma si chiamerà “Bologna sulla rotta dei Balcani”, l’obiettivo è “fare poco, ma fare la nostra parte”, spiegano gli ideatori, e “dare l’idea di una città che non sta ferma dalla parte buona del confine”. I passi operativi sono stati definiti in più direzioni. Ci sarà un “lavoro di formazione per far conoscere” cos’è la Rotta, come funzionano i campi, “e per poter intervenire al meglio sulle cause del problema”; ci saranno incontri di sensibilizzazione che si vorrebbero portare anche nelle scuole, nelle aziende, nelle amministrazioni, nei gruppi scout; ci sarà una raccolta di aiuti, ma “mirata per rispondere a poche necessità” come lo è stata la prima già avviata tra Percorsi di Pace, Portico della pace, parrocchia della Beverara, associazione Papa Giovanni XXIII: e dunque generi alimentari e materiali tecnici e semmai abiti, “ma niente svuota-cantine”. In particolare l’idea è di non farne una una tantum, “ma una buona abitudine continuativa”. Ogni mese, dunque, rilanciare la raccolta di aiuti su più punti di consegna da identificare. I volontari e gli attivisti in Bosnia “si sono raccomandati: quello che raccogliete, non mandatecelo con il corriere. Venite a vedere a chi vanno gli aiuti, a conoscere le persone che stanno dalla parte sbagliata del confine”. Il furgone per le prossime spedizioni c’è già. Non mancherà una raccolta fondi (“Gli aiuti finanziari sono utili nelle emergenze che cambiano continuamente” come quelle in Bosnia), ma si pensa anche a iniziative di volontariato ideate a Bologna ma da realizzare dalle parti dei campi profughi. Tra le prossime esigenze a cui rispondere ci potrebbero essere un ambulatorio e una cucina mobile. Ma presto tutto dovrà essere elencato su un sito ad hoc.
“Bologna sulla rotta dei Balcani”, però, non vuole avere solo “una visione umanitaria e caritatevole, ma anche politica”, dice Alberto sottolineando come occorra agire anche sul piano del diritto internazionale dato che in Bosnia la richiesta di asilo è pressoché un miraggio, e come occorra anche pensare a istituire un servizio di “deterrenza e osservazione” sui confini per documentare i problemi e le violenze. In Bosnia si contano 10.000 migranti, di cui 3.000 sistemati fuori dai campi ‘ufficiali’. I viaggio dei volontari bolognesi ha così visto varie realtà da cui passano per tentare di superare il confine: dopo Pasqua, ad esempio, aprirà a Bihac un centro diurno con docce e possibilità di ricaricare i cellulari. Poi ci sono i campi stabili, ma abusivi, gli squat e qui sono stati distribuiti sacchi a pelo e coperte. Poi c’è il campo di Lipa, “lontano” da un po’ tutto, “così nessuno vede e il problema non esiste”, raccontano gli attivisti delle ong. Ma ci sono anche strutture abbandonate e riconvertite, come vecchi ospizi o fabbriche, pieni di migranti che sostano lì perché sono sistemazioni più vicine al confine che si vuol provare a superare. “La sera di sabato 20 abbiamo incontrato una quindicina di migranti con lo zainetto: sotto la neve stavano per partire…”. Gli squat peraltro vengono spesso sgomberati e anche a fare volontariato si deve stare in guardia: si rischia l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non mancano i minori soli: anche per loro ci sono strutture dove ripararsi, “strutture che si riempiono e svuotano velocemente”, racconta chi le ha viste.
Questa sera,sul web, un incontro del gruppo con i sostenitori dell’iniziativa.
(fonte Agenzia DiRE www.dire.it)