Un exursus storico delle rivendicazioni della parità (sostanziale) delle donne. Le tre ‘ondate’ femministe
La vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Kamala Harris, l’ha detto in partenza: “Non sarò l’ultima”, lasciando così intendere il suo impegno affinché altre donne facendosi avanti possano assumere le leve del comando del paese. Ed è proprio questa la questione delle questioni: l’endorsment femminile.
Lo strumento più potente ed efficace che si possa realizzare per determinare l’onda lunga del “farsi avanti” nei ranghi più alti delle istituzioni di potere. Insomma, per dirla con le parole di Winona LaDuke, “Dobbiamo essere le antenate che le nostre discendenti ringrazieranno”.
La dichiarazione di Kamala Harris è stata tanto più importante se si considera quanto molto poco attente siano state certe leader donne rispetto alla causa femminista, esempio per tutte Margaret Thatcher.
Celebrata annualmente l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna è nata nel 1907 negli Stati Uniti, quando oltre 15.000 operaie tessili marciarono su New York, chiedendo migliori condizioni di lavoro e il diritto di voto. Nel 1909, il Partito Socialista d’America istituì una Giornata della donna, celebrata fino al 1913 l’ultima domenica di febbraio. Fu poi nel 1910 che 100 donne di 17 Paesi parteciparono alla seconda Conferenza internazionale delle donne a Copenaghen (Danimarca), nella quale si propose di istituire una giornata internazionale della questione femminile, e l’anno seguente furono oltre un milione le donne e gli uomini a parteciparvi in tutto il mondo. In Italia fu introdotta nel 1922 e soltanto nel 1977 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite propose ad ogni paese di dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale“.
E così che in estrema sintesi come l’8 marzo diventa la giornata della festa, al netto di quelle che vengono definite dai sociologi le tre storiche grandi ondate femministe. Vale la pena ricordare che la prima ondata si mosse nella direzione della lotta per il riconoscimento dell’uguaglianza di genere, concludendosi verso il 1920 quando la maggior parte dei Paesi occidentali fu sancito il suffragio femminile. Mentre la seconda ondata femminista di manifestò solo dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale e fu alimentata dalla presa d’atto che i diritti legali acquisiti durante la prima ondata non avevano realmente migliorato la loro vita quotidiana, e la direzione si spostò verso la riduzione delle disuguaglianze in ambiti che oscillavano dal posto di lavoro alla famiglia fino alla richiesta di modifica di alcune norme all’interno degli ordinamenti. Con “terza ondata” ci si riferisce a quel movimento del femminismo nero e delle minoranze, anche detto womanism, e dell’intersezionalità, contrassegnato cioè dal riconoscimento delle barriere multiple che una donna di colore deve affrontare.
Ma come si declinano in Italia i tempi del cambiamento? Certamente con più lentezza: infatti, bisognerà attendere il 1945 perché venga riconosciuto il diritto di voto alle donne, prima tappa da cui poi seguiranno tutta una serie di interventi legislativi volti a garantire l’uguaglianza e a riconsiderare la questione di genere e diritti delle donne.
Solo nel 1958 la legge Merlin cancella la scandalosa regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case e introducendo i reati dello sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
La prostituzione in sé, volontaria e compiuta da donne e uomini maggiorenni e non sfruttati, restò però legale, in quanto considerata parte delle scelte individuali garantite dalla Costituzione, come parte della libertà personale inviolabile.
E bisognerà aspettare il 1960 perché vengano eliminate dai contratti collettivi nazionali della Repubblica Italiana le disparità di trattamento remunerativo delle donne rispetto agli uomini.
La tanto attesa legge per il divorzio arriverà solo nel 1970 e bisognerà aspettare il 1978 affinché l’aborto non sia più considerato un reato e sia consentito alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in strutture pubbliche (ospedali o poliambulatori convenzionati) nei primi 90 giorni di gestazione.
Nel 1996 la legge n. 66 afferma il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene coartata nella sua libertà sessuale, e non contro la morale pubblica, introducendo una nuova sensibilità nel contrasto alla violenza.
È il 2013 quando l’Italia finalmente recepisce la Convenzione di Instabul ed inquadra la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani e forma di discriminazione contro le donne.
Ad oggi sul piano del lavoro l’Italia rimane l’ultimo paese in termini di divari nel dominio del lavoro. Lo scorso anno il tasso di occupazione femminile risultava ancora inchiodato al 50,1% con ben 17,9 punti percentuali da quello maschile. Anche territorialmente i divari risultano molto ampi, infatti il tasso delle donne è pari al 60,2% al Nord e al 33% al Sud.
Ma grande affidamento si è riposto negli ultimi tempi nel Recovery Plan, strumento fondamentale per affrontare i divari, a partire dal potenziamento dei servizi di cura, asili nido prima di tutto. Nelle dichiarazioni del Governo si vuole anche prevedere processi di definizione e successiva valutazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza che abbiano le valutazioni degli impatti di genere, accanto a quelli già previsti per la transizione ecologica e la trasformazione digitale.
Certamente è una partita fondamentale per il futuro delle donne e dell’abbattimento delle disuguaglianze realizzare un Recovery Found ‘a misura di donna’, occasione storica per il paese, per l’occupazione e il miglioramento del benessere della comunità femminile, per compiere un vero passo avanti in termini di democrazia sostanziale.