L’8 marzo è uscito un articolo su Prima Brescia, in cui l’ItalSacci, attuale nome del cementificio in loco a Tavernola che in passato è stato il fattore di rischio della frana a causa di attività estrattive, ha fatto delle dichiarazioni del tutto deplorevoli, senza rispetto della situazione che si sta venendo a creare e dei molti cittadini che questa realtà la denunciavano da anni. Segno che ormai serve ogni mezzo per stare a galla.
Da quello che si è potuto leggere dall’articolo, l’ItalSacci non solo vuole oscurare il fatto che la frana sia una conseguenza di quindici anni consecutivi passati a cavare, ma addirittura se ne lava le mani affermando che le attività del cementificio sono sospese causa frana, anche se è “dal 2000 non si cava in quell’area”.
Addirittura, dalle dichiarazioni, sembra che la popolazione dovrebbe essere grata all’ItalSacci perché i suoi sistemi di monitoraggio e controllo installati hanno allertato i tecnici dell’accelerazione del fronte franoso e grazie al quale sono derivati tutti i successivi provvedimenti per mettere in sicurezza lavoratori e residenti.
Dovremmo quindi dire grazie all’ItalSacci per aver fornito con cadenza bimestrale ai vari enti un rapporto sull’andamento della situazione, in modo da poter prendere atto di eventuali situazioni critiche?
Domanda: per quale motivo si è installato questo sistema di monitoraggio? Perché per anni il cementificio, che ha cambiato moltissimi proprietari, ha scavato ai piedi della montagna, come ha dichiarato Nicola Casagli, presidente dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) e professore ordinario di Geologia applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. Lo stesso studioso ha affermato che, sebbene gli scavi nel Monte Saresano siano fermi circa dal 2000, le attività estrattive sono state comunque il fattore determinante per la frana: “Il versante del Monte Saresano interessato dal crollo è fatto di calcari e di calcari marnosi, cioè le pietre da cemento, che sono disposti in strati inclinati verso il lago, ma scavando alla base si innesca uno scivolamento degli strati stessi. (…) La causa qui è sicuramente l’escavazione fatta al piede della montagna, perché senza gli scavi la frana non avrebbe potuto verificarsi. Avere una cava lì sotto ora equivale ad un mazzo di carte inclinato al quale si toglie la base”.
Già dal 1985 i comitati ambientalisti avevano previsto tutto ciò che sarebbe potuto accadere, facendo uno studio geologico che ribaltava la versione dello studio “ufficiale” dell’epoca che diceva che non ci sarebbe stata nessuna frana.
Ci sono stati 15 anni di lotte e di controinformazione sull’estrattivismo marniero a Tavernola e, oggi, fa ridere che si parli del monitoraggio in tono salvifico, per quanto importantissimo nella situazione attuale.
Questa installazione è il minimo che potessero fare e non sicuramente per filantropia, ma per tutelarsi: ItalSacci ha dovuto mettere in campo queste tecnologie perchè sapeva di ritirare una realtà delicatissima in cui era impossibile riaprire una cava. Chiunque, con un potenziale pericolo di frana che potrebbe coinvolgerlo, disporrebbe sensori per monitorare una montagna già fragile a livello geologico con una ex-cava ai piedi, cercando di prevederne la caduta. Da ciò che si evince dagli studi geologici del 2017 si può ben riscontrare che ItalSacci, fin dal 2018, sapeva che stava ritirando un territorio martoriato e deturpato in condizioni precarie. Il monitoraggio è stato un modo per scaricare la responsabilità e per continuare a deturpare l’ambiente. ItalSacci non ha fatto un regalo a nessuno, dal momento che gli abitanti di Tavernola, da più di mezzo secolo, convivono con le emissioni inquinanti del cementificio che intaccano la salute della popolazione e dell’ecosistema lacustre.
Sebbene ItalSacci sia divenuta proprietaria senza riprendere o condurre attività estrattiva, non può farsi portatrice, a distanza di anni, di una narrazione tossica e retorica per la quale il problema non può essere strettamente legato alla vecchia miniera perché ferma dal 2000. Non è sicuramente la presenza di “una concessione mineraria per escavazione di materiale per la produzione di cemento rilasciata e rinnovata negli anni dagli Enti preposti”, come dichiarato dal direttore Rizzo, a giustificare la situazione, ma anzi vuol dire solo una cosa: se queste sono le conseguenze, chi doveva vigilare non ha vigilato e chi ha rilasciato la concessione non doveva concederla.
Come dichiarato a Radio Onda d’Urto da Legambiente Basso Sebino, ItalSacci, del gruppo tedesco Idelberg, non può difendersi dicendo che la frana è ferma al 2000, dal momento che “i continui scavi, fino a provocare in più occasioni movimenti franosi, sono stati eseguiti dall’azienda tedesca, la precisazione conferma le sue responsabilità”.
In più, nessuno dei comitati e gruppi, che si stanno muovendo sulla situazione, ha mai negato il fatto che la cava fosse dismessa dal 2000, ma anzi afferma che il problema si è aggravato anche per il fatto che sul territorio di Tavernola e di Parzanica esistono altre cave attive che con scosse, mine e quant’altro contribuiscono al peggioramento della situazione.
Per questo i comitati ambientalisti sono tornati a chiedere lo stop totale alle attività estrattive nella zona, la chiusura del cementificio di Tavernola Bergamasca (ai piedi della frana del monte Saresano) e la messa in sicurezza dell’area franosa.
Riteniamo vergognose le dichiarazioni di ItalSacci soprattutto perchè il danno è fatto, ma è difficile a distanza di anni ricercare i responsabili materiali in quanto alcune società si sono sciolte o si sono fuse con altre. Il fatto che ItalSacci non parli dei 15 anni che hanno preceduto il 2000 e faccia di tutto per rigenerare la propria immagine, in quanto proprietarie del sistema di monitoraggio, e quella dei proprietari precedenti, in quanto coperti da concessione, la dice lunga sulla presa di responsabilità.
Il suo tono salvifico è smentito da un’altra dichiarazione, ovvero il fatto che “Italcementi sta facendo fronte alle necessità del mercato grazie al suo network industriale che prevede, tra gli altri impianti, due cementerie a ciclo completo non molto distanti da Tavernola (a Calusco D’Adda e Rezzato-Mazzano)”.
Un modo gentile per dire che, se non si può devastare in un luogo, si continuerà a devastare in un altro.
Alla popolazione è stato raccontato che la miniera avrebbe creato ricchezza e sviluppo, quando in realtà negli anni ha ridotto le potenzialità agrituristiche, incrementato speculazione edilizia (soprattutto sulle seconde case) e taglio dei servizi alla popolazione. Sebbene Regione Lombardia abbia stanziato 250 mila euro per la frana, a pagare saranno i cittadini e, ancora una volta, non i responsabili di tutto questo.
Questo non è ciò che vogliamo, né tantomeno la pratica. Vogliamo e pretendiamo la tutela del nostro territorio da chiunque lo consideri merce, rincorrendo il proprio profitto senza pensare alle conseguenze. La violenza economica di questo modello di sviluppo e di produzione non può portare a benefici all’ambiente e ai suoi abitanti, ma solo a chi lo sfrutta.