I sopravvissuti e i parenti delle vittime – tra cui almeno 60.000 scomparsi – del trentennale conflitto interno terminato nel 2009 hanno accolto con un barlume di speranza la risoluzione adottata il 23 marzo dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite sullo Sri Lanka.
La risoluzione non solo chiede di rafforzare il monitoraggio internazionale sulla situazione attuale dei diritti umani nel paese, ma sollecita anche un’azione per raccogliere, archiviare e conservare le prove necessarie ai fini di futuri procedimenti giudiziari per crimini di guerra e contro l’umanità.
Nel testo della risoluzione si prende finalmente atto che “le vittime stanno incontrando ostacoli insormontabili nell’accesso alla giustizia” a causa della “incapacità e mancanza di volontà del governo di svolgere processi per crimini di diritto internazionale”.
Si tratta di una vera e propria inversione di tendenza, dopo anni in cui la comunità interazionale ha ipocritamente incoraggiato le autorità dello Sri Lanka a perseguire la giustizia attraverso i tribunali nazionali, pienamente consapevole che così avrebbe trionfato l’impunità.