Villaggi ma anche interi quartieri delle città più popolose del Myanmar, nell’ex capitale Yangon e a Mandalay, hanno dichiarato di non riconoscere il governo dei militari e hanno deciso di autorganizzarsi seguendo le indicazioni di un parlamento-ombra composto da esponenti della National League for Democracy (Nld) che non sono stati arrestati: a riferirlo all’agenzia Dire sono Hnin e Moe, due ragazze che vivono nel Paese raggiunte tramite Whatsapp.
In Myanmar prosegue da circa 30 giorni una mobilitazione popolare contro l’intervento dell’esercito che l’1 febbraio ha rovesciato il governo eletto guidato dalla Nld e ne ha arrestato i dirigenti più importanti, come il presidente U Win Mynt e la consigliera di Stato nonchè Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. Nel Paese sono in vigore coprifuoco e legge marziale e le manifestazioni sono più volte degenerate in scontri. Domenica almeno 18 persone sono rimaste uccise durante le proteste.
Nelle scorse settimane gruppi di deputati che non sono stati arrestati, principalmente della Nld, hanno costituito comitati di rappresentanza del parlamento, i Cabinet of Committee Representing Pyidaungsu Hluttaw (Crph), sorta di assemblea nazionale-ombra che non riconosce l’esecutivo della giunta militare e guidato dal comandante in capo Min Aung Hlaing. Il 21 febbraio il Crph ha chiesto alla cittadinanza di creare gruppi di amministrazione locale di supporto, composte da almeno dieci persone, con ex-deputati, notabili locali, ma anche, dicono le fonti, “chiunque stia facendo parte del movimento di disobbedienza civile e sia a favore della democrazia”. È stato deciso che i gruppi siano non violenti e che i suoi componenti non portino armi.
Hnin, che ha chiesto di non rendere noto il nome completo per ragioni di sicurezza, è una ventenne, dipendente di un’azienda di Mandalay, quasi un milione di abitanti nel centro del Paese. Alla Dire riferisce che con l’amministrazione “popolare” si sente “più sicura”. “Siamo uniti” dice. “Dove mi trovo tutti riconoscono l’autorità della persona che abbiamo scelto per guidare il gruppo, un ex paramedico che conduceva un’ambulanza”. Hnin descrive una situazione difficile: “Abbiamo costantemente l’ansia che succeda qualcosa, i militari fanno irruzione nelle case in cerca di video delle proteste e sparano, non solo a chi sta prendendo parte attivamente alle manifestazioni ma anche a chi e’ solo di passaggio”. La giovane riferisce di augurarsi che le Nazioni Unite intrevengano in modo deciso e che i vertici della giunta “siano portati davanti alla Corte internazionale di giustizia, all’Aja”.
Un appello rilanciato da Moe, che vive a Yangon, la città più popolosa del Paese. Vent’anni ancora da compiere e studi universitari ancora da cominciare, la giovane chiede che i militari siano giudicati per i loro crimini. E continua: “Quest’amministrazione popolare era assolutamente necessaria; prima quando succedeva qualcosa si andava dai poliziotti, ma adesso sono proprio loro a costituire il pericolo maggiore”. Moe stessa è figlia di un agente e sottolinea che “ci sono anche poliziotti che si stanno comportando in modo corretto”. La ragazza però si dice “spaventata” da quanto sta accadendo: “Molti militari rubano, arrestano e quando sei in loro custodia, soprattutto se sei una ragazza, può capitare che molestino con la scusa di perquisire”.
Nel quartiere i residenti hanno firmato una dichiarazione con la quale si dissociano dalla giunta. “Non vogliamo che si torni all’epoca della dittatura” dice Moe guardando a un passato che in parte non ha neanche conosciuto direttamente, gli oltre 40 anni di potere militare, tra uomini forti e giunte, che ha marcato la storia dell’ex Birmania tra gli anni ’60 e il 2011. Moe vuole però pensare anche al futuro. “Dedico una parte della mia giornata a pensare a notizie e aspetti positivi” dice. “Alla mia età voglio concentrarmi sull’avere un’istruzione”.