Non è finita. Anzi, ricomincia tutto da capo. E può andare a finire anche peggio. La notizia ha colto il Brasile di sorpresa. Dopo cinque anni, dopo decine di petizioni, nessuno si aspettava più una decisione di questo tipo: i processi e le sentenze contro l’ex presidente Lula sono stati annullati. La decisione viene dalla Corte Costituzionale, precisamente dal giudice istituzionalmente responsabile, il garante dello svolgimento processuale. Come se i dodici anni di galera a cui è stato condannato e i 580 giorni di prigione che si è fatto non fossero mai esistiti.
Da anni gli avvocati di difesa insistevano sul punto cruciale per il quale la Corte Costituzionale ha deciso di annullare i processi e le sentenze: l’incompetenza del tribunale. Ossia: i reati attribuiti a Lula andavano giudicati dal tribunale federale di Brasilia e non da quello della città di Curitiba, la capitale dello Stato del Paranà. La Corte Costituzionale, finalmente ha deciso. Perché solo adesso, a cinque anni dall’inizio delle indagini?
Ricapitoliamo: Lula viene accusato di corruzione. Fin da subito l’inchiesta, denominata Lava Jato, dimostra di strutturarsi su punti oscuri e illegalità palesi, contestate non solamente dalla difesa, ma anche da organismi internazionali di tutela dei diritti umani. L’inchiesta però prosegue con le sue irregolarità sempre più visibili, anzi, stimolate sia dal pubblico ministero, sia dallo stesso giudice incaricato, che per l’occasione stravolge ogni regola processuale. Non sono parole mie, ma di Luigi Ferrajoli, uno dei più grandi giuristi italiani, i cui interventi di denuncia sono pubblicati e visibili su tutti i social.
Le udienze si erano trasformate in una pantomima processuale in cui gli avvocati di difesa venivano sottomessi ad un vero e proprio bulling giuridico, sia da parte dei promotori che dello stesso giudice. Lula viene condannato e condotto in prigione; oltre alla libertà, perde anche i suoi diritti politici, venendo così definitivamente tagliato fuori dalle elezioni presidenziali. Il giudice che lo condanna, nel frattempo diventa Ministro degli Interni del governo Bolsonaro.
Nel 2019 il sito The Intercept divulga le conversazioni telefoniche e i messaggi di WhatsApp scambiati durante l’inchiesta e il processo tra il giudice e i promotori. Dialoghi nei quali vengono definite le strategie di accusa, vengono presi accordi sulle modalità per forgiare deposizioni e prove capaci di incriminare definitivamente Lula. Pur essendo confermata la veridicità e l’autenticità di questi messaggi, le condanne contro l’ex presidente non subiscono alcuna alterazione. I responsabili della frode giudiziaria non vengono puniti né indagati, perché le conversazioni divulgate dall’Intercept erano state ottenute illegalmente tramite l’iniziativa di un gruppo di hackers. La legge è chiara: elementi di accusa ottenuti illegalmente non possono essere usate come prova e di conseguenza perdono ogni validità.
Passano i mesi e gli anni. Lula esce di prigione in libertà condizionale dopo 580 giorni, senza però aver recuperato i diritti politici. In seguito alla rivelazione di nuovi dialoghi tra il giudice e i promotori, gli avvocati di difesa presentano nuove petizioni e richieste di annullamento del processo. Anche se ottenuti tramite sotterfugi illegali, le conversazioni, il tono, i vocaboli usati, le espressioni da taverna, gli imbrogli giuridici dimostrano l’esistenza di una vera e propria gang di magistrati che agiva al di sopra di ogni regola e al di sopra della legge. Favoriva amici e capi di partito a loro vicini, con l’intenzione esplicita di utilizzare i fondi della corruzione nascosti in banche estere per strutturarsi come gruppo politico: l’operazione Lava Jato diventava un progetto di potere che indirizzava verso la presidenza della repubblica lo stesso giudice che aveva condannato Lula.
La situazione insostenibile del giudice (nel frattempo diventato ministro di Bolsonaro, ma dimessosi dalla carica dopo solo un anno) provoca una forte reazione nella Corte Costituzionale, che accetta la richiesta degli avvocati di Lula: investigare l’operato del giudice per legittima suspicione.
La decisione di annullare i processi, le sentenze; la decisione di definire la sede di Curitiba “incompetente” per processare e condannare Lula e di trasferire la competenza al tribunale federale di Brasilia, non significa riconoscere l’innocenza dell’ex presidente. Significa un nuovo processo che non solo lo sottometterà a nuove indagini, ma che addirittura potrà usare le “prove” presentate dal pubblico ministero nel processo di Curitiba.
Il nuovo tribunale avrà la facoltà di usare il materiale prodotto dal processo annullato. È la stessa Corte Costituzionale a deciderlo. E non solo: annullando la sentenza di Lula vengono dichiarate estinte le inchieste sulla legittima suspicione del giudice che lo ha condannato. Per salvarlo dai rigori della legge e dalla gogna del giudizio popolare, per mantenere i suoi sogni di diventare presidente della repubblica, la Corte Costituzionale annulla processo e sentenze. È bene ripeterlo: con questa decisione non si è riconosciuta l’innocenza di Lula, ma solo l’incompetenza della sede di Curitiba. Tutto qui.
E i 580 di galera, l’odio popolare, la conseguente elezione di Bolsonaro, lo smantellamento della democrazia, i quindici milioni di disoccupati, i morti della pandemia, il governo militare assassino?
Non è finita. Ricomincia tutto da capo. E può andare anche peggio.