E’ il lontano 2007 quando nasce l’idea di piantare una zona di ottomila chilometri di alberi, dal Senegal fino ad arrivare a Gibuti, per fermare l’avanzata del deserto. L’area africana del Sahel è quella in cui il 70% della popolazione vive di agricoltura ed è colpita da inondazioni, aumento delle temperature e da conflitti; sarebbe, quindi, necessario sostenere le filiere locali per ridurre la dipendenza dagli aiuti umanitari e dalle importazioni. All’inizio l’iniziativa era stata criticata perché si parlava soltanto di attuare un progetto di rimboscamento, ma col tempo, si è ampliata con la proposta che vede la creazione di orti comunitari, vivai e progetti per preservare la vegetazione.
Da dieci anni, inoltre, sono stati attivati percorsi di sensibilizzazione per le popolazioni del posto sulle cause e i rischi dell’impoverimento dei terreni (ricordiamo che un quarto del pianeta è in cattive condizioni proprio a causa dell’intervento umano, come la deforestazione e l’eccessivo sfruttamento).
I fondi richiesti e promessi servono a continuare il lavoro di sensibilizzazione sulle persone e lo scorso 11 gennaio 2021 al vertice One Planet, governi e banche di sviluppo hanno stanziato 14,3 miliardi di dollari per accelerare la costruzione della Grande muraglia verde, il progetto di inverdimento delle aree suddette per ridurre la fame, i conflitti e le conseguenze del cambiamento climatico.
Secondo un rapporto dell’ONU del 2020 si deve aumentare il ritmo per risanare le terre e arrivare a otto milioni di ettari all’anno perché un abitante su cinque, in Africa, durante i dodici mesi appena trascorsi ha sofferto la fame e si prevede che nel 2050 la popolazione del Sahel raddoppierà con una presenza enorme di giovani che vivranno nelle zone rurali e che dovranno affrontare il crollo dei raccolti se non si interverrà tempestivamente. Si spera che i piani in atto (politici, soprattutto) per migliorare la situazione dopo la pandemia mondiale siano davvero sufficienti; i fondi arrivati a destinazione hanno permesso, finora, di risanare il 4% delle terre affaticate, di catturare 250 milioni di tonnellate di anidride carbonica e di creare dieci milioni di posti di lavoro nel settore della green-economy entro il 2030, ma questo non basta se si vogliono raggiungere tutti gli obiettivi preposti, in tempi ragionevoli.