All’inizio si pensava fosse di 5 metri, ma i nuovi studi prevedono un’onda del doppio. Lo tsunami che provocherebbe la frana dal Monte Saresano a Tavernola, paese della sponda bergamasca del lago d’Iseo, potrebbe provocare lo scostamento di 2 milioni di metri cubi e un’onda alta 9 metri.
A dirlo sono gli studi realizzati da Politecnico di Milano e Università di Brescia e di Bologna, su commissione della Comunità Montana del Sebino. Secondo quanto riportato sui social dal sindaco di Iseo, Marco Ghitti, nella giornata di martedì 9 marzo, “la frana si muove a una velocità dieci volte superiore al 2020. Secondo gli studiosi, l’eventuale onda si propagherebbe a 180 chilometri all’ora: arriverebbe a Mont’Isola in 30 secondi e a Iseo in un minuto”.
Una situazione preoccupante sul lago d’Iseo, dove le prove per avvisare la popolazione in caso di emergenza sono andate a vuoto i giorni scorsi.
Inoltre, martedì pomeriggio Sergio Santambrogio, geologo consulente dei Comuni di Tavernola, Vigolo e Parzanica, ha inoltrato alle tre Amministrazioni il poderoso studio redatto dal pool del professor Giovanni Crosta dell’Università Bicocca di Milano con le ipotesi sulle modalità di scivolamento della frana, accompagnato da una sua relazione. Tre scenari si potrebbero verificare: da 600 mila a 30 mila metri cubi potrebbero scendere nel Sebino ma, secondo l’Università Bicocca, non tutta la frana.
Come ha spiegato il geologo Santambrogio all’Eco di Bergamo: «In estrema sintesi, (lo studio) prevede tre scenari caso in cui scivolasse verso il basso per intero, e stiamo parlando di due milioni e 150 mila metri cubi di materiale, ne arriveranno nel lago 600 mila; il secondo scenario, intermedio, ipotizza la caduta di un milione e 500 mila metri cubi, di cui ne arriverebbero nel lago 360 mila; l’ipotesi più ottimistica prefigura la caduta della porzione di frana posta sopra la piazzola ecologica di Tavernola: circa 440 mila metri cubi di materiale, di cui 30 mila destinati a finire nel lago».
Un’accelerazione dei movimenti del fronte franoso era stata anticipata anche dal comunicato degli Enti della sponda bergamasca del 27 febbraio 2021, in cui si leggeva: “Si ritiene che il collasso complessivo della frana sia preceduto da una accelerazione dei movimenti e da segni precursori ben rilevabili con i monitoraggi in essere, tali da consentire un preannuncio con sufficiente preavviso per attuare interventi di Protezione Civile”.
Sta di fatto che il problema c’è, da un lato, a causa delle continue attività estrattive perpetrate nella zona, dall’altro perché sembra che questa situazione di emergenza che coinvolge i cittadini lacustri non interessi solo ad alcuni comuni. Come ha dichiarato Legambiente Bassa Sebino a Radio Onda d’Urto: “Sorprende che i Comuni non abbiano un piano di emergenza e di evacuazione aggiornato e coordinato con le Comunità Montane, visto che l’ultimo piano risale al 2001, aggiornato nel 2013. Il caso del flop della sirena per lanciare l’allarme e il ricorso alle tradizionali campane sono l’esempio di un sistema inadeguato. La macchina della protezione civile, attivata dalle prefetture di Bergamo e Brescia e dalla Regione Lombardia, è risultata scoordinata nella tempistica della valutazione del rischio, sebbene il fenomeno franoso si sia manifestato più volte in passato. È infine sorprendente che l’elaborazione dei dati sul movimento franoso, raccolti da una società esterna, rimangano solo nelle mani di ItalSacci (proprietaria del cementificio)”.
Ancora una volta chi deve pagare per i danni di altri sono ancora i cittadini in termini monetari, di salute e di impossibilità a vivere in un ambiente sano.