I riflettori sono rivolti altrove, ma in Siria si continua a morire e un’intera generazione di bambini non sa ancora cosa significhi vivere in pace. Nel decimo anniversario dall’inizio  del conflitto, le testimonianze di chi vive la catastrofe ogni giorno. 

15 marzo 2011: sui muri di alcuni edifici di Daraa, una città nel sud della Siria, alcuni ragazzi dipingono graffiti contro il regime di Assad. È il tempo della Primavera Araba e in tutto il Medio Oriente si respira una grande voglia di cambiamento e di libertà. Ma quei ragazzi non immaginano che proprio quei graffiti stanno per diventare la scintilla di un conflitto senza precedenti nel paese, con un’escalation che dall’arresto da parte della polizia avrebbe portato a forti scontri, violentissime proteste, fino allo scoppio di una guerra civile in grado di distruggere una nazione intera. Sognavano la libertà, ma oggi, 15 marzo 2021, il conflitto è ancora molto lontano dall’essere risolto.

«Un decennio di bombe, torture, sfollamenti, che hanno causato 400mila morti, più di 6,6 milioni di sfollati interni e 5,5 milioni di persone in fuga all’estero. L’80% della popolazione vive in povertà e oltre 12 milioni di siriani ad oggi non hanno accesso all’acqua potabile.  È impossibile descrivere a parole la devastazione di 10 anni di guerra, passati nel silenzio più assordante», denuncia Giulia Cicoli, Direttrice Advocacy di Still I Rise.

Di guerra in Siria, infatti, si parla sempre meno. Eppure ogni giorno continuano i bombardamenti. Ogni giorno, persone perdono la vita o rimangono ferite. Guardando i dati recenti diramati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanistari, tra gennaio e febbraio nel Nord Ovest della Siria si sono registrati decine di attacchi via terra e di esplosioni, che hanno provocato 29 morti e oltre un centinaio di feriti. Le vittime maggiori sono i bambini. Ogni giorno, un popolo spera che la comunità internazionale si ricordi della Siria e che intervenga per porre fine al conflitto. Ma quel giorno non arriva mai.

«Io sono di Aleppo e dalla mia città sono dovuto scappare nel 2016. Ho resistito lì per cinque anni, dopo l’inizio della guerra, perché volevo far sentire la voce della mia gente che invocava solo libertà. Volevo far conoscere le nostre sofferenze e le nostre pene. E ho visto cose che nessuno può sopportare», racconta Abdulkafi Alhamdo, Program Coordinator di Still I Rise nel Nord Ovest della Siria. «Pensavamo tutti che sarebbe finita in uno, due o tre mesi e che presto il mondo si sarebbe mobilitato per difendere i civili, per proteggere i diritti umani di cui tanto si parla nei giornali e nelle televisioni. Ma la realtà è diversa. Nessuno si è mosso per difendere i diritti umani».

Ci sono bambini che non hanno visto altro che la guerra nella loro vita. Sono nati sotto le bombe e non hanno idea di cosa significhi vivere in un paese in pace. Nel centro educativo Ma’an di Still I Rise, che sorge nella città di Ad Dana, bambini e bambine dai 10 ai 14 anni hanno conosciuto solo pochi mesi fa per la prima volta il significato di andare a scuola. Nonostante il lavoro minorile sia una piaga diffusa, l’organizzazione cerca di portare i bambini tra i banchi, distribuendo alle famiglie pacchi alimentari che possano permettere ai figli di lasciare il lavoro e frequentare le lezioni. Ma questo non sempre è sufficiente e spesso è solo una goccia nell’oceano.

Hasan, ad esempio, ha 14 anni, è il maggiore di quattro fratelli e deve mantenere la sua famiglia, da quando il padre non c’è più. La mattina si sveglia presto, aspetta che il pulmino della scuola lo porti a Ma’an, e qui frequenta le lezioni di inglese, di arabo e di matematica. Poi il pomeriggio torna a casa, si cambia e va a lavorare fino alle 7 di sera. «Mi sento triste quando vedo i bambini della mia età che possono giocare o guardare la televisione. Questa guerra non solo mi fa male, ma mi distrugge, come distrugge tantissime persone. Vorrei dire al mondo: per favore, pensate a noi! Tanti bambini siriani sono costretti a lavorare sin da piccoli. Solo in pochi riescono ad andare a scuola, perché molti sono orfani e devono per forza andare a lavorare presto».

Gli fa eco Marah, 12 anni, che con la sua famiglia è stata costretta a lasciare la sua casa: per lei quello è stato il momento più difficile. «I miei amici e gli altri miei parenti sono lontani, siamo tutti sparsi per il paese». Ora vive da sfollata in una tenda, senza elettricità, esposta al freddo e alle intemperie dell’inverno. Ma sogna un giorno di diplomarsi, di diventare una brava insegnante di inglese e magari tornare nel suo villaggio a insegnare ai bambini.

«Bisogna tornare a puntare i riflettori sulla Siria. Non solo in questa settimana, dove ricordiamo un macabro anniversario di 10 anni di guerra, ma ogni giorno» conclude Giulia Cicoli. «Dov’è la comunità internazionale? Dove sono i diritti umani? Dove sono i diritti dei bambini? Diverse potenze internazionali sono coinvolte in Siria e politicamente è un conflitto difficilissimo da risolvere, ma come sempre nelle guerre chi soffre sono i civili. E questo non è più sopportabile».

GUARDA LA VIDEOTESTIMONIANZA DI ABDULKAFI ALHAMDO

https://www.youtube.com/watch?v=ms3cywWDi30