Per chi ha passato anni ad ascoltare questioni umane e d’impresa, sociali e di cittadinanza, culturali e politiche – mentre il mondo diveniva sempre più complesso e sempre meno ancorato a delle certezze – sa molto bene che la forza del buon navigante sta solo nell’approccio umanistico. Che si tratti di imprese umane o d’affari, le capacità collegate alla cultura umanistica restano le uniche vere risorse dalle quali poter attingere. In buona parte lo spiegava bene Martha Nussbaum in “Non per profitto” che, in ragione dell’analisi sulle politiche che ne discendono, ha come sottotitolo il “Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”. L’approccio umanistico però non può essere ridotto ad una dominante classica sulla cultura scientifica, ma deve consistere in un approccio integrato che metta al centro il collegamento con la persona, che promuova la conoscenza e libertà di pensiero, di parola e lo sviluppo sostenibile, sostenga la diffusione delle conoscenze e della bellezza, inserisca al suo interno il cosiddetto elemento ‘tecnico’ della solidarietà, elemento fondamentale per creare ricchezza senza squilibri umani ed ambientali. In tale prospettiva, l’etica diventa il cardine delle ‘imprese umane’ intese sia come gesta (del singolo o del gruppo) che come aziende. Ma è proprio delle aziende che vogliamo occuparci in questo contributo. E dell’importanza che hanno per le aziende politiche e management d’impronta umanistica, ché aumentino la vision e la capacità di influire sulle dinamiche sociali e culturali. Quanto vale nell’ambito di un’organizzazione tesa alla produzione e al profitto poter inserire politiche e capacità di ascolto, resilienti e tendenze culturali in armonia con l’approccio umanistico? Valgono la durata e la vita stesse delle imprese, valgono in misura direttamente proporzionale al cuore e all’essenza di chi le ha create e di chi le vuole tenere vita. Perché così come ogni vita ha un suo peso e si misura nella capacità di generare vita, di moltiplicazione dei pani e dei pesci, così anche l’impresa si connota per la sua capacità generativa e di alimentare la buona cittadinanza. Lo sviluppo economico integrato dalla cultura umanistica porta l’impresa a trovare soluzione secondo chiavi di lettura e soluzioni capaci di andare oltre l’economicismo attingendo dalla filosofia, dall’antropologia, dalla psicologia del lavoro, dall’ecologia, dalla sociologia o dalla teologia.
Massino Folador nel suo libro ‘Il lavoro e la Regola’ ci ricorda come, secondo la Regola dei monaci benedettini, il concetto di ‘valore’ debba essere rapportato alla cura che i monaci hanno sempre riservato prima alle persone e al territorio che li accoglieva e poi al Creato. Non si può dimenticare – dicono Massimo Folador e Giuseppe Buffon nel loro libro ‘Verso un’economia integrale’ – che “i monaci hanno costruito strade, borghi, hanno bonificato interi territori insalubri, creato ospedali, dato vita a farmaci e cure; hanno portato all’eccellenza prodotti come il vino e la birra, introdotto tecniche idrauliche, modernizzato l’organizzazione della produzione. E tutto ciò si è trasformato in opere e in una ricchezza economica così ampia che per ben due volte, prima Napoleone e poi il nascente Stato sabaudo, hanno espropriato i beni presenti nei monasteri, certi di trovare lì, piuttosto che altrove, quello che cercavano (…) Nei cosiddetti secoli bui, mentre il mondo intero andava verso un’altra direzione, hanno creato economia, ma paradossalmente lo hanno fatto partendo da altri presupposti e nutrendo altri obiettivi”. Dimostrando, quindi, che la fecondità non ha come criteri guida la ricerca del vantaggio economico ma l’amore per la conservazione dei beni culturali e per la diffusione della conoscenza, la gioia e il benessere, riportandosi alla concezione di ‘valore’ e non di ‘profitto’. Vale la pena ricordare che fu proprio grazie ai monaci che si ebbe, a cavallo dell’anno Mille, quella ripresa commerciale ed economica che costituì – nella storia – una responsabilità sociale ante litteram.
Le encicliche sociali a partire dalla Rerum novarum hanno ulteriormente rafforzato l’umanesimo economico che troverà nella ‘Laudato sì’ la sua massima espressione.
Il percorso culturale dell’impresa porta inevitabilmente a considerare centrale la persona, alla valorizzazione della diversità, alla solidarietà economica, alla tutela dei beni comuni e, infine, ad uno sviluppo basato su un nuovo umanesimo economico.
In questa ottica anche i meccanismi del mercato vengono ad essere automaticamente e virtuosamente coinvolti perché l’orientamento sempre più nella direzione del ‘valore’ portano ad una tassazione progressiva ed introduce un buon grado di solidarietà e ridistribuzione.
Ma proprio nell’ambito delle politiche di tassazione è necessario operare una delle riforme più coraggiose e tendente a concretizzare quella ‘uguaglianza’ – obiettivo imprescindibile in chiave umanistica – di cui parla il Trattato di Lisbona in merito allo stile di vita europeo. In definitiva, come ha sottolineato Ursula von der Leyen, bisogna costruire un’Unione di uguaglianza, in cui tutte le persone abbiano le stesse possibilità di accesso alle opportunità, alle conoscenze, all’istruzione e alle competenze, necessarie per vivere e lavorare dignitosamente.
In quest’ottica, il ripensamento delle connessioni tra impresa, cultura e natura è fondamentale: oggi più che mai legato alla complessità che ci insegna che tutto è connesso e che, pertanto, la salute delle imprese dipende dallo stato sociale, dalle politiche culturali, di solidarietà e di cittadinanza.