Belle e brutte notizie arrivano contemporaneamente dal territorio bresciano. Da un lato il sequestro della fabbrica Caffaro, dall’altro l’alto inquinamento da cromo esavalente; da un lato la volontà dei cittadini riuniti in comitati per far luce sulla situazione, dall’altra un notevole quantitativo di materiale pericoloso che, secondo fonti di stampa, sarebbe sparito nel nulla all’interno della Caffaro. Notizie di questi giorni affermano che si sarebbero perse le tracce di due tonnellate di Fenclor o Apirolio, i cancerogeni Pcb (policlorobifenili) che la fabbrica ha prodotto fino al 1984. Tonnellate allo stato liquido e di peci di Fanclor che erano conservate in contenitori d’acciaio.
I Verdi Brescia chiedono che “si faccia chiarezza su cause e responsabilità di questa vicenda. Chi ha sbagliato deve pagare fino in fondo, a cominciare dall’ urgenza di dare via alla bonifica il più in fretta possibile. Chiediamo ancora una volta le dimissioni del commissario straordinario Roberto Moreni: a distanza di cinque anni dalla nomina e di fronte a uno stanziamento da parte dello Stato di più di 14 milioni di euro per la bonifica del sito, nulla ancora è stato fatto, dimostrando la sua inadeguatezza nell’affrontare questa vicenda. (…) Non ci devono essere sconti per nessuno: chi inquina paga. Il nostro obiettivo è quello che si passi dalle parole ai fatti con provvedimenti urgenti a tutela della salute dei cittadini bresciani. Portiamo Brescia fuori da questa grave situazione”.
Ennesimo episodio non del tutto trasparente sul Caso Caffaro. Ma come sono iniziate le lotte ambientaliste sulla questione? Da quanto tempo i cittadini denunciano e segnalano i danni alla salute e l’inquinamento? Ne parliamo con Stefania Baiguera del Comitato per l’Ambiente Brescia Sud e del Tavolo Basta Veleni.
Da quando la Caffaro è un evidente problema per la salute e per l’ambiente del territorio bresciano?
Già dal 2001, quando scoppiò il “caso Caffaro”, si scoprì che la situazione sia nel sito industriale che nella zona sud di Brescia interessata dall’inquinamento da PCB e DIOSSINE era molto grave. La popolazione, probabilmente spinta dal silenzio delle istituzioni, per alcuni anni aveva sottovalutato il disastro ambientale e la conseguente ricaduta sulla salute degli stessi cittadini. Intorno al 2011 alcuni genitori della scuola elementare Deledda si sono resi conto della gravità, in quanto i loro figli non potevano uscire nel giardino scolastico (c’era un’ordinanza sindacale reiterata ogni 6 mesi dal 2003 circa) per gli altissimi valori di inquinanti presenti nel terreno.
Da lì è iniziata una grandissima mobilitazione, che ha portato a scoperchiare il vaso di Pandora “del caso Caffaro” e unitamente a Marino Ruzzenenti, che ha sempre lottato a fianco dei cittadini e dei comitati, sono state intraprese iniziative, proteste, manifestazioni, denunce che hanno portato alla bonifica del giardino scolastico, ma soprattutto sono servite a tenere alta l’attenzione sul grave inquinamento di tutta la zona. In tutti gli anni successivi, fino ad oggi, i comitati hanno intrapreso decine di iniziative sia dal punto di vista delle mobilitazioni che da quello dell’informazione e della denuncia.
Qual è stata la vostra azione come comitati ambientalisti?
Inizialmente abbiamo fatto “informazione”; pare strano, ma per anni non si è parlato di PCB e gli abitanti delle zone altamente inquinate avevano rimosso il problema. Per intenderci “non se parla più, il problema è scomparso”. Chi avrebbe dovuto informare ha pensato bene di non farlo, lavandosene completamente le mani. Abbiamo quindi organizzato molte assemblee pubbliche parlando della fabbrica Caffaro, di quello che era successo, di quello che ancora stava accadendo e dei danni che PCB e DIOSSINE causavano alla nostra salute. Siamo poi passati ad azioni più concrete, come presidi, flash mob, per denunciare quanto accaduto e per tenere sempre alta l’attenzione non solo dei cittadini, ma anche delle istituzioni. Sono state poi organizzate due grandi manifestazioni a Brescia con la partecipazione di migliaia di persone per sollecitare gli organi preposti ad occuparsi seriamente delle gravi criticità che attanagliano non solo la città, ma tutta la provincia. E ovviamente uno dei temi centrali era “la questione Caffaro”.
Come si sono comportate le istituzioni? Hanno dato ascolto alle vostre istanze?
Per anni le istituzioni si sono impegnate a semplificare il problema Caffaro, a renderlo meno grave di quello che realmente è, a ostinarsi nell’affermare che PCB e DIOSSINE non erano dannose per la salute dei cittadini, che l’aumento esponenziale di gravi malattie nelle zone inquinate derivava dallo stile di vita sregolato dei cittadini (in pratica hanno dato degli “ubriaconi” e dei “fumatori incalliti” a chi si ammalava). Da parte nostra abbiamo continuato a protestare, a chiedere che chi aveva il dovere di tutelare la nostra salute cambiasse rotta e si impegnasse seriamente per la risoluzione di un problema gravissimo. In questi ultimi anni si sono avviate alcune bonifiche di parchi pubblici e scolastici ma per quanto riguarda il sito industriale la situazione è ancora ferma, se non peggiorata.
Quali sono ad oggi i danni dell’inquinamento della Caffaro?
I danni causati dalla Caffaro ad oggi sono immani: l’azienda per anni ha sversato PCB e DIOSSINE nelle rogge, inquinando tutta la zona sud della città e addirittura oltrepassando i confini del capoluogo. Campi agricoli, parchi pubblici, giardini privati sono altamente inquinati, con un rischio per la salute altissimo. Ad alcuni contadini è stato ammazzato il bestiame, impedito di coltivare, di fatto distrutto il sostentamento familiare senza però garantire un risarcimento economico, in quanto l’azienda è fallita. I parchi pubblici, a parte pochi casi di bonifica, sono altamente inquinati, ma per assurdo fruibili dalla cittadinanza e le conseguenze di questa scelta scellerata ricadranno sicuramente sulla salute dei più piccoli. I giardini privati sono completamente esclusi da una qualsiasi ipotesi di bonifica a carico delle istituzioni e quindi un abitante delle zone inquinate oltre ad aver subito un danno senza avere alcun risarcimento, dovrà provvedere economicamente alla bonifica del suo orto o giardino. E nel frattempo rischia seri danni per la sua salute.
Il sequestro della Caffaro è, seppure in ritardo, una buona notizia. Quali fattori hanno spinto la Procura di Brescia a questo atto?
Il 9 febbraio 2021 la Procura di Brescia ha finalmente sequestrato la Caffaro, dopo che Arpa Brescia aveva segnalato la non-efficacia della barriera idraulica e un livello altissimo di cromo esavalente ed altri inquinanti non derivati da fenomeni pregressi, ma da nuove sorgenti di contaminazione. Di fatto la Caffaro continua ad inquinare!!
Come movimenti e comitati ambientalisti, quali azioni avete in programma per tenere alto il livello di attenzione sul tema?
Stiamo continuando a fare informazione con assemblee e incontri in streaming. Il 16 febbraio abbiamo lanciato un presidio statico in presenza per chiedere con urgenza la messa in sicurezza del sito industriale; da anni stiamo denunciando il rischio che un’azienda dismessa, in totale abbandono potesse causare l’ennesimo disastro ambientale; vasche crepate e chilometri di tubature alla quali non veniva e non viene fatta un’adeguata manutenzione erano e sono una bomba che può scoppiare in qualsiasi momento e in parte già lo ha fatto. Continuiamo il nostro lavoro di denuncia, di sollecitazione, di mobilitazione anche se, causa pandemia, non siamo riusciti a realizzare azioni concrete, che sono sempre state il nostro punto di forza.