Ponti di corpi avevano detto.
Ponti di parole che si sono susseguite oggi in tante piazze d’Italia e non solo, per elencare i mali, le vergogne, le violenze, i soprusi, le ingiustizie che si compiono sulla pelle di migliaia di uomini e donne.
I migranti si muovono, sennò non sarebbero migranti, desiderano raggiungere un luogo dove si presume che ci sia pace, giustizia, democrazia, umanità. Limitata.
Vengono respinti. Se poi i respingimenti li si fa fare ad altri, meglio ancora, così non ci si sporca neanche le mani.
E questi uomini e donne trovano confini, muri, mari, cani, armi, botte.
Dicono che accoglierli vorrebbe dire “incentivare” i loro arrivi, sarebbe un fattore di attrazione.
Così bisogna “disincentivare”. Come? Picchiando, riportando indietro, chiudendo, lasciando al freddo, derubando, spogliando, abbandonando, uccidendo.
Così si ritrovano alle porte di un’Europa che non li vuole, che dice: “Non c’è posto!!”
L’Europa vecchia e spaventata, tiene stretta la sua borsa, arma i confini, arma gruppi armati, butta nei campi, butta a mare, chiude porti, porte e finestre.
L’aria comincia a farsi pesante in questo vecchio salotto, la cenere spazzata sotto i tappeti trabocca, l’odore di chiuso toglie il fiato.
Oggi a Milano più di cento persone attente, composte, ritte in piedi, ascoltando collegamenti da lontano, racconti dall’Est, elenchi di morti, diari di viaggi da Odissea. Ascoltando Silvia Zaru che canta ed emoziona, la Murga che trascina a ritmo di tamburi, le parole di donne e uomini impegnati in quella fetta d’Europa da Trieste ed oltre, lungo quella ferita aperta che sanguina.
Oggi faceva freddo a Milano, le previsioni l’avevano detto: era in arrivo un vento freddo dai Balcani. Almeno lui corre veloce e va da dove vuole. Libero.