In Libia la giustizia per le vittime di crimini di guerra e di gravi violazioni dei diritti umani – come omicidi illegali, sparizioni forzate, torture, sfollamenti forzati e sequestri di persona commessi da milizie e gruppi armati – si fa ancora attendere. È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, a 10 anni dal rovesciamento di Muammar Gheddafi.
Secondo l’organizzazione per i diritti umani, le autorità libiche hanno promosso e legittimato capi delle milizie responsabili di feroci violazioni dei diritti umani invece di accertare le loro responsabilità e risarcire le vittime delle violazioni dei diritti umani commesse sotto il regime di Gheddafi e dopo la sua fine.
Le proteste iniziate nel febbraio 2011 vennero stroncate con violenza e degenerarono presto in un conflitto armato che, dopo una campagna aerea della Nato, portò alla caduta di Gheddafi. Da allora, la Libia è sprofondata in un circolo di assenza di legge e di crimini di guerra commessi da milizie e gruppi armati rivali. Vari governi libici hanno promesso di ripristinare lo stato di diritto e i diritti umani ma nessuno di questi è riuscito a riprendere il controllo della situazione.
“Per dieci anni, l’accertamento delle responsabilità e la giustizia sono stati sacrificati in nome di una pace e di una stabilità mai raggiunte. Gli autori delle violazioni dei diritti umani hanno beneficiato dell’impunità, sono stati integrati nelle istituzioni statali e sono stati trattati con deferenza”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“Se i responsabili delle violazioni dei diritti umani non saranno portati di fronte alla giustizia e continueranno a essere premiati con posizioni di potere, la violenza, la situazione caotica, i sistematici abusi dei diritti umani e l’infinita sofferenza dei civili che hanno caratterizzato l’era post-Gheddafi proseguiranno incontrastate”, ha commentato Eltahawy.
Dal 2014 la Libia si è frammentata in due entità rivali in competizione per ottenere legittimità, governo e controllo del territorio. Lo scorso 6 febbraio i negoziati guidati dalle Nazioni Unite hanno portato all’annuncio di un nuovo governo di unità nazionale, col compito di organizzare le elezioni nazionali nel corso dell’anno.
“Chiediamo a tutte le parti in conflitto e al nuovo governo di unità nazionale di assicurare che alle persone sospettate di aver commesso crimini di diritto internazionale non siano affidati posti di potere dai quali potranno continuare a compiere violenze e a rafforzare l’impunità. Le persone accusate di crimini di guerra dovrebbero essere sospese da posizioni di autorità in attesa dell’esito di indagini indipendenti ed efficaci”, ha sottolineato Eltahawy.
Promozioni di capi delle milizie responsabili di uccisioni illegali e torture
I governi succedutisi alla guida della Libia dopo la caduta di Gheddafi hanno integrato uomini delle milizie nei ministeri della Difesa e dell’Interno, hanno attribuito loro incarichi speciali che riportassero direttamente alla presidenza e li hanno ufficialmente inseriti a libro-paga.
Nel gennaio 2021 il Consiglio di presidenza del Governo di accordo nazionale di Tripoli ha nominato Abdel Ghani al-Kikli (noto come “Gheniwa”), capo della milizia “Forza di sicurezza centrale di Abu Salim”, a capo di un nuovo organismo chiamato “Autorità di sostegno alla stabilità”, che riporta direttamente alla presidenza.
“Gheniwa” è uno dei più potenti capi delle milizie tripoline costituitesi dopo il 2011 in uno dei più popolosi quartieri della capitale, Abu Salim.
Nel suo nuovo incarico, “Gheniwa” e la sua agenzia avranno ampi per quanto vaghi poteri, compresi quelli dell’applicazione della legge, come ad esempio arrestare persone per motivi di “sicurezza nazionale”. Tutto questo nonostante negli ultimi 10 anni Amnesty International abbia documentato crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani ad opera di gruppi sottoposti al suo comando.
Nel 2013 e nel 2014 le ricerche di Amnesty International hanno scoperto che persone detenute dalle forze di sicurezza controllate da “Gheniwa” erano state sottoposte a sequestri e torture e altri maltrattamenti a volte con esiti mortali. La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) è arrivata a simili conclusioni, comprese quelle relative alle morti in custodia sotto tortura, mentre il Panel di esperti sulla Libia ha denunciato attacchi contro i civili da parte delle forze di “Gheniwa”.
Il Governo di accordo nazionale aveva fornito già dal 2016 legittimazione e stipendi alle milizie di “Gheniwa”, integrando suoi uomini nel ministero dell’Interno e così favorendo ulteriormente omicidi illegali, sequestri di persona e torture, tra cui la violenza sessuale contro le detenute.
Ai sensi del diritto internazionale, un comandante militare può essere ritenuto responsabile dei crimini commessi dai suoi sottoposti se è a conoscenza di tali crimini, se avrebbe dovuto esserne a conoscenza, se non li ha impediti e se non li ha puniti.
Impunità di massa
“Gheniwa” e le sue forze di Abu Salim non solo gli unici a essere stati ricompensati nonostante le gravi violazioni dei diritti umani a loro carico.
Nel gennaio 2021 Haitham al-Tajouri, capo della milizia “Brigata dei rivoluzionari di Tripoli” è stato nominato vice di “Gheniwa” nonostante fosse stato coinvolto in detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate e torture.
Sempre a Tripoli e sempre su decisione del Governo di accordo nazionale, le “Forze speciali di deterrenza” (note come “al-Radaa”), sotto il comando di Abdel Raouf Kara, sono state integrate nel ministero dell’Interno nel 2018 e trasferite sotto il Consiglio di presidenza nel settembre 2020. Amnesty International e altri organismi tra cui le Nazioni Unite, hanno documentato il coinvolgimento di “al-Radaa” in sequestri di persona, sparizioni forzate, torture, uccisioni illegali, lavoro forzato, attacchi alla libertà d’espressione e persecuzione ai danni di donne e di esponenti della comunità Lgbtq+.
Nel settembre 2020, il Governo di accordo nazionale ha anche promosso Emad al-Trabulsi, capo della milizia “Sicurezza pubblica”, a vicedirettore dell’intelligence nonostante il coinvolgimento di questa milizia in violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati, tra cui sparizioni forzate.
Vari governi non hanno portato di fronte alla giustizia gli appartenenti alle milizie di Misurata responsabili di crimini di guerra tra cui attacchi contro la popolazione civile, come quello contro la città di Tawarga nel 2011 che causò lo sfollamento forzato di circa 40.000 persone. Le milizie di Misurata hanno sottoposto gli abitanti ad arresti arbitrari di massa, uccisioni illegali, torture con esiti a volte mortali e sparizioni forzate.
Le Forze armate arabe libiche, un gruppo armato che controlla buona parte della Libia centrale e orientale, non hanno arrestato il capo miliziano Mahmoud al-Werfalli, ricercato dal Tribunale penale internazionale per l’omicidio di 33 persone, promuovendolo invece a luogotenente della “Brigata Saiqa”.
Varie altre persone contro le quali lo stesso Tribunale aveva spiccato un mandato di cattura per presunti crimini contro l’umanità o sottoposti a sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il loro ruolo nel traffico di esseri umani, rimangono al riparo dalla giustizia e hanno persino preso parte al conflitto armato, dalla parte del Governo di accordo nazionale o delle Forze armate arabe libiche.
Queste ultime continuano a proteggere i capi della “Nona brigata” (nota come “Forze al-Kaniat”), coinvolta in omicidi di massa, nel disfacimento di cadaveri in fosse comuni, in torture e sequestri di persona nella città di Tarhuna.
Contribuiscono ad evitare l’accertamento delle responsabilità anche ulteriori parti. L’Egitto, ad esempio, ha continuato a proteggere Khalid al-Tuhamy, capo della sicurezza ai tempi di Gheddafi e ricercato dal Tribunale penale internazionale, fino alla sua morte avvenuta nel febbraio 2012. Turchia, Russia, Emirati Arabi Uniti e lo stesso Egitto hanno violato l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia.
Nel giugno 2020, con l’assenso del Governo di accordo nazionale, il Consiglio Onu dei diritti umani ha approvato una risoluzione per l’istituzione di una Missione di accertamento dei fatti per indagare sulle violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto libico.
“L’accertamento delle responsabilità dev’essere una componente centrale del processo politico in Libia. Tutte le parti in conflitto devono rimuovere dalle loro fila tutte le persone ragionevolmente sospettate di crimini di guerra e di altre violazioni dei diritti umani e cooperare in pieno con la Missione Onu di accertamento dei fatti. La comunità internazionale deve assicurare che questa Missione abbia le risorse sufficienti, il sostegno amministrativo e il tempo necessario per terminare il suo lavoro”, ha concluso Eltahawy.
L’impunità regna sovrana in Libia da 10 anni. Nel 2012 una legge ha concesso piena immunità ai membri delle milizie per le azioni commesse al fine di “proteggere la Rivoluzione del 17 febbraio”. Il sistema giudiziario libico non funziona ed è inefficace: giudici e procuratori rischiano di essere sequestrati e assassinati per il mero fatto di svolgere il loro lavoro.
L’accertamento delle responsabilità rimane una chimera anche per i crimini commessi durante l’era di Gheddafi, come il massacro del 1996 nella prigione di Abu Salim. I tentativi di portare davanti alla giustizia i funzionari di Gheddafi sono stati caratterizzati da gravi violazioni dell’equità dei processi, da torture e sparizioni forzate.