La dichiarazione della Procuratrice della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda circa l’esistenza di “una base ragionevole” per aprire un’inchiesta su presunti crimini di guerra e contro l’umanità nei territori palestinesi, aveva fatto sperare ai palestinesi e a chi ha a cuore la loro causa, che questo significasse tout court aprire le indagini e condannare Israele. Questa convinzione si è ulteriormente rinforzata dopo la dichiarazione dello scorso 5 febbraio da parte della Camera preliminare della CPI che autorizzava l’avvio di un’indagine formale.
In realtà le cose stanno in modo abbastanza diverso a causa dei meccanismi che regolano la CPI e per questo ci rivolgiamo all’avv. Ugo Giannangeli che segue da molti anni la questione palestinese affinché possa chiarire, in punta di diritto, cosa è possibile aspettarsi.
Dunque, avvocato Giannangeli, puoi spiegare ai nostri lettori se veramente è arrivato il momento di veder trionfare la giustizia, almeno sul piano giuridico, nella questione israelo-palestinese come sperano tanti attivisti?
In molteplici occasioni ho verificato che gli attivisti per la causa palestinese ripongono molta fiducia nel procedimento in corso avanti alla Corte Oenale Internazionale de L’Aja semplicemente perché ignorano il funzionamento e il ruolo della Corte. Per esempio non sanno che la Corte giudica i singoli individui e non gli Stati.
La Corte non ha accolto il ricorso palestinese, come molti credono, ma semplicemente la Procuratrice Bensouda ha ritenuto sussistano i presupposti per avviare un’attività di indagine. Va ricordato che la Corte e il Procuratore hanno ruoli diversi.
Quali sono i reati su cui ha competenza la CPI e come si svolge la procedura che può portare all’azione penale?
I reati sono: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Alla Corte viene ‘riferita’ una cosiddetta ‘situation’ ma spetta solo al Procuratore decidere se avviare l’indagine e portare dei casi contro determinati individui dinanzi alla Corte.
Rispetto alla Palestina il procedimento attualmente dinanzi alla Corte ha ad oggetto crimini di guerra presuntivamente commessi sia da israeliani che da palestinesi. Nei confronti dei palestinesi l’azione è stata proposta autonomamente dal Procuratore.
Circa le speranze riposte nella CPI, puoi dirci francamente il tuo parere sia come giurista che come uomo impegnato da decenni nella causa palestinese?
Il mio giudizio tiene conto dei fatti: ci sono voluti oltre 10 anni dalla prima denuncia e oltre 5 dalla seconda per risolvere la questione preliminare sulla giurisdizione della Corte. Più di un anno fa la Procuratrice ha fatto la sua dichiarazione “possibilista” verso l’apertura di un’indagine e solo il 5 febbraio abbiamo finalmente saputo che l’indagine potrà essere avviata perché la Corte ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione. Seppure venisse emessa una sentenza di condanna, e certo non prima di 10 anni, questa non avrà mai esecuzione perché Israele non collaborerà, come necessario per perseguire i responsabili, e quindi questi non sconteranno mai la pena.
Quindi i moti di gioia che si sono avuti da parte palestinese dopo l’autorizzazione rilasciata dalla Camera preliminare il 5 febbraio non sono giustificati?
Dunque, dopo oltre un anno di attesa dalla richiesta della Procuratrice Bensouda, è finalmente giunta la decisione della Camera preliminare della CPI sulla questione dirimente: la Palestina è uno Stato ai sensi dello Statuto di Roma e quindi la CPI, sorta con quello Statuto, ha giurisdizione sul suo territorio. Non dobbiamo dimenticare che la prima denuncia avanti alla CPI risale al 2009 e che il Procuratore di allora aveva impiegato tre anni per dire che, prima di dare corso alla denuncia, occorreva decidere lo status della Palestina; la situazione si è poi sbloccata nel 2012 dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore all’ONU, e poi nel 2015 con l’adesione della Palestina al Trattato di Roma, ma abbiamo dovuto attendere il 2021 per avere l’autorizzazione alle indagini.
Quindi i moti di gioia hanno una loro ragion d’essere sul piano psicologico e anche politico per il forte valore simbolico che ha questa decisione, un po’ meno sul piano fattuale visto che, data la tempistica, la previsione di almeno 10 anni prima di poter pervenire ad una sentenza appare addirittura ottimistica. Quanta terra sarà nel frattempo ancora depredata? Quante case abbattute? Quanti palestinesi uccisi, resi invalidi o imprigionati?
Quindi, pur non avendo motivo di rallegrarci, possiamo avere almeno la speranza di arrivare a una sentenza di condanna per crimini di guerra e contro l’umanità?
Ora la Procura può avviare formalmente le indagini, sebbene con tutte le difficoltà date dalla non collaborazione, anzi, dall’ostruzionismo di Israele. La CPI ha individuato nei territori occupati nel 1967 ( Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est) la zona di competenza per l’indagine sui crimini ivi commessi. La CPI ha precisato che questa individuazione non vuole e non può avere alcuna conseguenza di carattere politico, non spettando alla Corte la soluzione di questioni come quella dei confini o della sovranità territoriale. Tuttavia è innegabile il forte significato simbolico che questo riconoscimento ha.
Sotto indagine sono le azioni di Israele contro Gaza nel 2014 ( operazione Margine protettivo), le colonie in Cisgiordania, le azioni a Gaza contro la Grande marcia del ritorno e, sull’altro fronte, le azioni di Hamas e di gruppi armati palestinesi.
A parte i tempi lunghissimi e gli ostacoli che Israele, sostenuto dagli USA, frapporrà alle indagini, vedi altri ostacoli?
Purtroppo sì. Ho letto in questi giorni vari commenti alla decisione. A mio modesto avviso non sono stati messi nella dovuta evidenza due aspetti negativi. Il primo riguarda la scadenza del mandato della Procuratrice Bensouda a giugno di quest’anno. La Procuratrice e il suo staff siano stati oggetto di pesanti attacchi da parte israeliana e statunitense. Chi subentrerà alla Bensouda avrà la stessa capacità di resistere a pressioni, minacce e vere e proprie sanzioni, come quelle stabilite da Trump e non ancora rimosse da Biden? Ricordiamo il caso del giudice ebreo Goldstone che fu costretto da una violenta campagna diffamatoria a una parziale ritrattazione delle sue conclusioni per l’eccidio denominato Piombo fuso.
Il secondo aspetto riguarda il Presidente della Camera preliminare della CPI, l’ungherese Kovacs che ha manifestato dissenso su due delle tre questioni sottoposte a giudizio, concordando solo sulla giurisdizione della CPI ma non sulla questione territoriale così come individuata. In estrema sintesi Kovacs non è d’accordo sul fatto che la Palestina si qualifichi come Stato sul territorio in cui si sono verificate le condotte sotto indagine. La decisione, infatti, è stata presa a maggioranza e non all’unanimità. Non dimentichiamo, poi, che l’Ungheria di Orban è tra gli “amici curiae” pro Israele. Quindi dobbiamo solo sperare nella capacità di autonomia del giudice per le future importanti decisioni.
Posto che Israele come Stato non verrà mai condannato direttamente, perché la Corte non persegue gli Stati ma i singoli individui, secondo te chi può essere indagato ed eventualmente condannato per crimini di guerra e contro l’umanità?
L’attività di indagine deve individuare, a mio avviso, responsabilità ai vertici della catena di comando, a livello politico e militare. Ritengo che le indagini su apartheid e settlements siano di particolare semplicità perché attengono alla situazione sul terreno che è sotto gli occhi di tutti. Diversa invece è la situazione dei crimini commessi durante le azioni militari. In questi casi sarà impossibile individuare, ad esempio, la responsabilità del singolo cecchino che ha sparato contro la folla sul border di Gaza, ma non dovrebbe essere impossibile conoscere le regole di ingaggio e chi le ha redatte. Se, come è verosimile, era autorizzato il fuoco contro persone inermi, sarà difficile per Israele invocare, come sempre fa, il solito diritto di difesa.
E per quanto riguarda l’aggressione militare del 2014 denominata Margine protettivo che ha dato motivo a uno dei vertici militari e politici di vantarsi di quel massacro che ha sterminato 531 bambini oltre a circa 1500 adulti prevalentemente civili, non ci sono nomi “di peso” su cui indagare?
Certo che ci sono, o meglio ci sarebbero, a partire dal primo ministro Netanyahu, all’allora capo di stato maggiore Benny Gantz che, appunto, delle sue azioni si è fatto pubblicamente vanto, a Naftali Bennett e Avidgor Lieberman solo per fare i nomi più conosciuti.
Sapendo che il portavoce del dipartimento di Stato Usa ha dichiarato che i palestinesi non sono “uno Stato sovrano e di conseguenza non sono legittimati a partecipare ad organismi internazionali, compresa la CPI” – affermazione dettata solo dall’arroganza del potere visto che gli USA, non aderendo alla CPI, al pari di Israele, non avrebbero voce in capitolo – quali conclusioni trai?
Non resta che augurare buon lavoro e rapido alla CPI e sperare che la dignità dei giudici non soccomba alle minacce e all’arroganza di Israele e dei suoi protettori d’oltre oceano, ma comunque vada e qualunque cosa affermino Israele e i suoi supporters la decisione da parte della CPI di indagare e quindi di riconoscere i territori palestinesi compresa Gerusalemme est come Palestina ha una sua grande forza simbolica ed è un’oggettiva, sebbene tacita, condanna di ogni progetto israeliano di annessione.
———-
Ugo Giannangeli, Avvocato penalista dal 1974, all’impegno nella professione ha sempre affiancato un impegno sociale e politico nella sinistra militante, prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a sostegno del popolo palestinese. Come giurista ha contribuito alla nascita della Camera penale di Milano, ha fatto parte del Comitato Avvocati contro la guerra. Ha partecipato come osservatore internazionale ai processi contro Marwan Barghouti a Tel Aviv e contro Ocalan ad Ankara, e alle elezioni in Nicaragua nel 1989 e in Palestina nel 2006. Ha preso parte a convegni politici a Cuba, in Libia, in Libano. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana “Crimini contro l’umanità”, ed. Zambon e, con lo stesso editore, alla riedizione del libro “Coi miei occhi” della avvocatessa Felicia Langer. Ha contribuito alla nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di Venegono. Collabora come docente con la Scuola dei diritti umani di Como.