Con una decisione di indiscutibile importanza e che può aprire la strada a sviluppi promettenti, la Corte Penale Internazionale (CPI) ha dichiarato la propria competenza a sviluppare la propria azione giudiziaria e quindi a imbastire indagini su casi di gravi violazioni internazionali, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel territorio della Palestina, con specifico riferimento ai Territori Palestinesi Occupati a partire dal 1967. La decisione è stata presa lo scorso 5 febbraio, con determinazione ICC-01/18, dalla Camera per le Questioni Preliminari, a seguito dell’iniziativa assunta nel dicembre 2019 dal procuratore Fatou Bensouda che aveva avanzato richiesta alla medesima Corte di avviare un’indagine sui possibili gravi crimini da parte di Israele, potenza occupante, in Cisgiordania (West Bank), nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est.
Con la decisione assunta, inerente alla propria giurisdizione in merito, trova quindi una significativa conferma il cosiddetto “principio di responsabilità” di fronte a violazioni del diritto internazionale, si apre la strada alla possibilità di indagare su gravi crimini e violazioni commessi dalle forze di occupazione nei Territori Palestinesi Occupati e si contempla la possibilità che funzionari israeliani possano essere indagati per crimini gravi. La decisione è quindi, dal punto di vista giuridico, senza dubbio importante, ed è inoltre, dal punto di vista del diritto internazionale generale, di grande rilievo, dal momento che conferma una serie di punti cruciali.
In primo luogo, come è scritto nel testo della decisione, «nel determinare se la Palestina può accedere ai trattati che hanno adottato la formula “tutti gli Stati”, il Segretario Generale delle Nazioni Unite segue la determinazione dell’Assemblea Generale, che ha adottato la Risoluzione 67/19 il 4 dicembre 2012, riaffermando «il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza nel proprio Stato» e accordando alla Palestina lo «status di Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite». […] Questa risoluzione ha cambiato drasticamente la prassi del Segretario Generale per quanto riguarda l’accettazione dei termini di adesione della Palestina a diversi trattati, incluso lo Statuto di Roma, dal momento che ha concluso che la Palestina sarebbe stata di conseguenza in grado di depositare strumenti di adesione e diventare parte di qualsiasi trattato depositato presso il Segretario Generale che sia aperto a “tutti gli Stati” o “a qualsiasi Stato”».
Inoltre, come è riportato nel testo, «la Camera rileva che la Palestina […] è diventata uno Stato parte della CPI il 1 aprile 2015, a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto nel suo territorio. […] Diventando uno Stato parte, la Palestina ha accettato di sottoporsi ai termini dello Statuto e, come tale, tutte le disposizioni in esso contenute saranno applicate allo stesso modo che a qualsiasi altro Stato parte. […] Come specificato nell’art. 1 dello Statuto, la Corte è stata istituita per «esercitare la propria giurisdizione sulle persone per i crimini più gravi di rilevanza internazionale, come indicato nello Statuto». Il preambolo sottolinea che gli Stati parte sono «determinati a porre fine all’impunità per gli autori di questi crimini e quindi a contribuire alla prevenzione di tali crimini». Il riferimento a «lo Stato sul cui territorio si è verificata la condotta in questione» nell’art. 12, paragrafo 2, lettera a) dello Statuto deve, di conseguenza, essere inteso come definizione dei parametri territoriali della giurisdizione della Corte al solo scopo di stabilire la responsabilità penale individuale».
Per questa via, la Corte conferma le vigenti prescrizioni di diritto internazionale che riconoscono il carattere di Stato della Palestina e i termini della propria configurazione territoriale. «Secondo la Camera, la Palestina ha aderito allo Statuto secondo la procedura definita dallo Statuto stesso […]. In considerazione della sua adesione, la Palestina avrà quindi il diritto di esercitare le sue prerogative ai sensi dello Statuto ed essere trattata come qualsiasi altro Stato parte. […] La Palestina è quindi uno Stato parte dello Statuto e, di conseguenza, uno “Stato” ai fini dell’art. 12 (2) (a) dello Statuto». Inoltre, il Consiglio di Sicurezza «ha invitato gli Stati a non riconoscere atti in violazione del diritto internazionale nei Territori Palestinesi Occupati «condannando tutte le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status dei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est» e: 1. riafferma[to] che la creazione da parte di Israele di insediamenti nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e uno dei principali ostacoli al raggiungimento della soluzione dei due Stati e di una pace giusta, duratura e globale; […] 3. sottolinea[to] che non riconoscerà alcun cambiamento alle linee del 4 giugno 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme, diverso da quelli concordati dalle parti attraverso i negoziati; […] 5. invita[to] tutti gli Stati […] a distinguere […] tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati dal 1967 [Risoluzione del C.d.S. 2334 (2016), 13 dicembre 2016]».
La decisione è dunque, dal punto di vista del diritto internazionale, assai importante e stabilisce una ulteriore conferma dei termini di diritto, della gravissima violazione associata alla occupazione israeliana della Palestina, della rilevanza fondamentale del diritto del popolo palestinese alla propria piena autodeterminazione.