Non poteva esserci inizio più promettente per “LuneDiLibri”, rassegna quindicinale di riflessioni letterarie e proposte culturali, che, su iniziativa di un collettivo di autori e di autrici della Associazione Editoriale Multimage, prova a condividere immagini e idee su alcuni dei grandi temi del presente, con l’ambizione di farlo non alla stregua di una riflessione astratta, bensì sulla base dell’ancoraggio ad un solido “oggetto culturale”: un contenuto culturale, di qualunque linguaggio artistico, capace di “istruire” la riflessione e animare una condivisione di idee. Per stare nel concreto: un tema, accompagnato da una o più domande-guida, rispetto alle quali gli autori e le autrici propongono spunti di riflessione a partire da un’opera d’arte, un quadro o una scultura, un monumento o memoriale, una costruzione architettonica o un complesso monumentale, un film o un’opera, una composizione musicale o coreutica, un saggio o un romanzo, un testo filosofico oppure, ovviamente, una poesia. O magari, perché no, una combinazione di queste, in modo da veicolare, prima ancora di entrare nel merito del contenuto che si intende esprimere, l’idea che l’arte può tornare ad essere, come si diceva una volta, «al servizio della collettività» o, fuor di metafora, trasferire un contenuto, comunicare senso e idee, orientare il pensiero e stimolare l’azione.
Spesso torna, nella vulgata, il riferimento alla “bellezza”: ora, se questa espressione non fosse ormai super-abusata, la si potrebbe serenamente adottare come immagine di questi lunedì culturali, che, nel panorama del nostro tempo, sconvolto dalla pandemia e avvilito dalle mille crisi che lo accompagnano, economica, sociale, perfino morale, vogliono provare a indicare un contenuto attivo, una speranza di trasformazione. Non a caso, il primo appuntamento di “LuneDiLibri”, lunedì 15 febbraio, ha avuto come parola-guida proprio quella che più e meglio sembrerebbe alludere ad una delle speranze della nostra attualità: la rivoluzione. Il tema è stato, infatti, «Nutrire il corpo o la mente. La rivoluzione è per il pane?» con due domande – guida, «Quali sono i bisogni reali dell’essere umano? Per cosa vale la pena lottare?».
Ho provato a cimentarmi in questa riflessione, tenendo sempre, sullo sfondo, uno dei nuclei più forti e vitali del concetto di rivoluzione, vale a dire, nella sua prospettiva più generale, «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». E, tenendo sullo sfondo questo presupposto, volgere lo sguardo alla realtà concreta del soggetto concreto, alla sua integrità e alla sua dignità. Quando si parla della «dimensione umana dell’umano» si allude, al tempo stesso, all’integrità e alla dignità degli uomini e delle donne, ed a questi si arriva percorrendo la strada dell’emancipazione e dell’autodeterminazione, ed esplorando la complessità della questione dei bisogni e della questione dei diritti. Tutti i bisogni, quelli materiali, fondamentali per l’esistenza, e quelli spirituali, necessari alla vita, devono essere soddisfatti, e tutti i diritti, materiali (economici e sociali) e politici (civili e politici), devono essere assicurati, perché la dignità e l’integrità della vita, nella sua poliedricità e complessità, possano essere rispettate e garantite.
È quello che si dice quando si ripete il motto: «tutti i diritti umani per tutti e tutte». Non solo tutti i diritti (di libertà, civili e politici; del lavoro, economici e sociali; dell’ecosistema, dei popoli e dell’ambiente) devono essere garantiti nella loro universalità; ma in particolare vanno preservati nella loro indivisibilità, non è possibile aggredirne uno senza che anche gli altri non ne siano intaccati. È proprio questa, in fondo, la vicenda che l’opera d’arte che può fare da ancoraggio a questa riflessione ci narra: “Pride”, il film del 2014 diretto da Matthew Warchus, è proprio la storia della convergenza tra la mobilitazione del collettivo “Lesbians and Gays Support the Miners” e la lotta dei minatori britannici al tempo del grande sciopero contro le politiche, aberranti ed antisindacali, del governo Thatcher della metà degli anni Ottanta. Indimenticabile la scena del canto di “Bread and Roses”: «Mentre avanziamo marciando, marciando, innumerevoli donne morte / gridano, nel nostro canto, la loro antica richiesta di pane. / I loro spiriti, sfiniti dal lavoro, conobbero poco l’arte, l’amore la bellezza; / sì, è per il pane che lottiamo, ma anche per le rose! […] Mentre avanziamo marciando, marciando, lottiamo anche per gli uomini / perché sono figli delle donne, e grazie a noi nascono di nuovo. / Nella nuova vita ci sarà dolcezza dalla nascita alla fine; / le anime, come i corpi, possono morire di fame; dateci pane, ma dateci anche rose!».
Detto diversamente, la «reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno … dell’uomo come essere sociale, umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi». Un’opera nell’opera: la poesia “Bread and Roses” fu composta nel 1911 dal poeta James Oppenheim (1882 – 1932), poeta pacifista, ed è diventata iconica ai tempi dello sciopero (1912) delle operaie tessili di Lawrence, Massachusetts. Ora, alla vigilia della Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, nella sua ricorrenza del 20 febbraio, è davvero un messaggio di speranza, ma anche di iniziativa, nel tempo duro del del nostro presente.