L’abbiamo già detto e non ci stancheremo mai di ripeterlo: in Honduras le vere pandemie sono quelle dei femminicidi e dell’impunità.
La notte del 6 febbraio, Keyla Martínez, 26 anni, giovane studentessa del corso di laurea in Infermieristica, è stata arrestata nella città di La Esperanza per aver violato il coprifuoco imposto dal governo Hernández, come misura per combattere la pandemia di Covid-19.
La ragazza è stata fermata intorno alle 23.30, portata in commissariato e rinchiusa in una cella. Alcune ore più tardi, il corpo senza vita di Keyla veniva portato al pronto soccorso dell’ospedale dipartimentale.
Secondo la polizia, la giovane si sarebbe suicidata impiccandosi alle sbarre della cella. Una tesi già scartata dall’autopsia, da cui risulta che la vittima è morta per asfissia meccanica, il che dimostra trattarsi di omicidio.
Acquisito il referto di medicina legale, la procura ha impartito direttive alle autorità di polizia, affinché tutti gli agenti assegnati al commissariato in questione fossero posti a disposizione del Pm.
L’assassinio di Keyla ha commosso la società honduregna e La Esperanza è stata attraversata da forti proteste di piazza, puntualmente represse con l’uso di gas lacrimogeni e pallottole di gomma. Nella capitale, cinque studenti universitari sono stati arrestati durante le proteste e verranno processati per direttissima.
La tragedia della giovane studentessa si aggiunge in queste ore al dolore per la morte violenta di altre sei donne in meno di una settimana. Keylin Hernández Castañeda, Alda Flores, Leonor Cárcamo Cálix, Carol Fuentes, Lidia Majano y Fanny Pacheco sono state assassinate in punti diversi del paese e vanno a ingrossare la già interminabile fila di vittime di femminicidio.
Secondo l’Osservatorio nazionale della violenza, sono 30 le donne assassinate dall’inizio dell’anno, una ogni 33 ore.
Per il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), l’assassinio di Keyla Martínez è senza dubbio un crimine di Stato.
“Dal momento in cui Keyla è stata catturata e imprigionata spettava alla polizia tutelarne la vita ed è quindi responsabile per qualsiasi atto che ne abbia provocato la morte”, sottolinea l’organizzazione indigena.
Secondo il Copinh, il femminicidio di Keyla ha suscitato un’ondata di denunce di donne che sono state catturate dalla polizia di La Esperanza, derubate dei loro effetti personali, abusate sessualmente, nell’ambito della sospensione delle garanzie costituzionali.
“A pochi giorni dal quinto anniversario dell’assassinio di Berta Cáceres (2 marzo ndr) ci troviamo di fronte a un nuovo femminicidio di Stato a La Esperanza (…) Quando parliamo di lotta antipatriarcale ci riferiamo al fatto che donne come Keyla non debbano mai più essere assassinate dallo Stato”.
Il Copinh e una lunga lista di organizzazioni sociali e popolari hanno chiesto giustizia per la giovane studentessa e per le altre vittime di femminicidio, nonché la cattura e un giusto castigo per i responsabili.
Vogliamo restare vive!
Il femminicidio di Keyla Martínez si aggiunge alla lunga storia di abusi di potere e uso eccessivo della forza che, con o senza coprifuoco, hanno praticato funzionari pubblici, soprattutto poliziotti e militari, contro tutta la popolazione”, segnala il Centro dei diritti delle donne (Cdm).
Per l’organizzazione femminista, questi fatti non fanno altro che confermare il coinvolgimento di questa istituzione nelle sparizioni forzate e assassinii di cittadini la cui vita dovrebbero invece tutelare e garantire.
“Per noi che difendiamo la vita, Keyla e tutte le bambine, ragazze e donne a cui il patriarcato e le istituzioni rubano i sogni, sono la forza che ci motiva a continuare nella ricerca di giustizia e costruzione di reali cambiamenti in questo Paese, perché ‘Vogliamo restare vive!”, conclude il comunicato del Cdm.
Anche la rappresentanza in Honduras dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) ha alzato la voce dinanzi a tanta violenza.
“Ogni decesso di persona sotto custodia deve essere indagato come potenzialmente illecito e si dovrà cercare con cura possibili segni di tortura, lesioni e/o violenza sessuale. L’Ohchr esorta le autorità a investigare sulla morte di Keyla Martínez con tempestività e in maniera esaustiva, indipendente, imparziale e trasparente”.
Durante lo scorso anno il Cdm ha registrato 321 morti violente di donne, 229 delle quali avvenute durante la sospensione delle garanzie costituzionali nell’ambito della pandemia.
Sono almeno 6.300 i femminicidi registrati in meno di vent’anni. Più del 90 per cento dei casi sono rimasti impuniti.
Fonte: Rel UITA (spagnolo)
Traduzione: Adelina Bottero