Sono più che chiari i risultati delle elezioni politiche anticipate di ieri, 14 febbraio, in Kosovo. Con lo spoglio giunto ormai alle battute finali (99% delle schede scrutinate), Vetëvendosje (Autodeterminazione), guidato da Albin Kurti, conferma tutte le previsioni della vigilia, ottenendo il 48%, seguito, a larghissima distanza, dal PDK (Partito Democratico del Kosovo), il partito del presidente dimissionario Hashim Thaçi e di altri ex leader dell’UÇK incriminati per crimini di guerra e attualmente detenuti all’Aja, che ottiene poco più del 17%, mentre sembra profilarsi una vera e propria debacle per l’altra formazione politica “storica”, vale a dire la LDK (Lega Democratica del Kosovo) del premier uscente Avdullah Hoti che dimezza il proprio consenso e ottiene solo il 13%. Infine, l’Alleanza per il Futuro del Kosovo (AAK) dell’ex premier ed ex leader UÇK Ramush Haradinaj ottiene poco più del 7%, mentre non elegge deputati Nisma, la formazione di Fatmir Limaj, che si attesta intorno al 2,5%.
Per quanto riguarda l’espressione del voto dei Serbi, si conferma l’unità dell’orientamento politico dei Serbi del Kosovo, la cui lista principale, la Lista Serba, che supera il 90% dei voti espressi dai Serbi nel Kosovo del Nord e raggiunge addirittura il 99% a Kosovska Mitrovica, conquista tutti i dieci deputati che, in base alla costituzione dell’autoproclamata repubblica, spettano loro. Successo enfatizzato anche dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, che ha rilevato, in un commento: «Mi congratulo con il nostro popolo. Lo speravo e questo è importante, perché stiamo affrontando un periodo difficile».
Poco confortante, d’altro canto, il dato della partecipazione, che, a fronte di una campagna elettorale comunque assai breve, e segnata indubbiamente dalla stanchezza per una ennesima tornata elettorale a seguito dell’ennesimo scioglimento anticipato del parlamento, nonché dalla difficoltà legata alla diffusione del coronavirus, si ferma intorno al 45%.
Come in altre elezioni in giro per il mondo, il dato non prospetta una “illegittimità” del voto, ma è, non di meno, un dato su cui riflettere, tanto più in una regione nella quale modi e temi agitati dai partiti in campagna elettorale, se da una parte possono avere portato, specie i più giovani, ad esprimere un forte consenso per Vetëvendosje, possono avere, al tempo stesso, disincentivato alla partecipazione, ad un coinvolgimento protagonistico alla vita pubblica che, del resto, il quadro politico in Kosovo fatica a ispirare. Le stesse piattaforme elettorali, a partire dalle quali si aprirà ora la partita della composizione della maggioranza e della agenda di governo, portavano con sé alcuni tratti caratterizzanti.
Per quanto riguarda Vetëvendosje, ad esempio, il profilo programmatico è classicamente “giustizialista”, avanzato sul piano sociale, pur nel quadro di mercato, ma aggressivo sia in relazione ai temi del nazionalismo sia in relazione ai rapporti con Belgrado. «I giovani sono la risorsa più preziosa e allo stesso tempo più calpestata del nostro Paese. Ciò cambierà con il nostro governo. Il nostro governo ha preparato un pacchetto di interventi volti ad affrontare il problema del basso livello di impegno giovanile nella vita economica. Il pacchetto prevede l’aumento delle borse di studio per gli studenti che decidono di orientarsi verso gli studi più richiesti dal mercato del lavoro e il sostegno al sistema educativo per ridurre il divario di competenze, per sostenere migliaia di iniziative innovative dei nostri giovani. […] Per i lavoratori, faremo in modo che siano garantite condizioni di lavoro dignitose. Faremo in modo che ogni lavoro venga contrattualizzato, con contributi pensionistici pagati, e non più di 40 ore di lavoro a settimana. Prevediamo di aumentare anche di cinque volte il numero degli ispettori del lavoro […] e di aumentare il salario minimo a 250 euro. Il salario minimo sarà esente dall’imposta sul reddito delle persone fisiche e sarà rivisto su base annua per riflettere l’aumento del reddito nazionale».
E ancora, scorrendo il programma, «ci impegneremo ad affrontare i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e genocidio, misurando i danni causati durante la guerra alle persone, alla comunità, all’ambiente e all’economia, nonché preparando una piattaforma di riparazione per i crimini commessi. La priorità del governo sarà di preparare un atto d’accusa contro la Serbia per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia. Il governo dovrà, in collaborazione con le persone, i gruppi e le organizzazioni, portare a livello internazionale la ricerca di giustizia per crimini di guerra e di genocidio in Kosovo, mirando all’adesione del Kosovo alle Convenzioni di Ginevra e alla Convenzione contro il genocidio, nonché alla possibilità di presentare causa contro la Serbia presso la Corte Internazionale di Giustizia». Allo stesso modo, «daremo priorità alla prontezza al combattimento della Forza di Sicurezza del Kosovo (KSF). Il nostro governo orienterà le politiche di difesa nello sviluppo delle capacità per adempiere al compito primario del KSF, quello di proteggere la sovranità e l’integrità territoriale. Ci sarà un aumento della cooperazione bilaterale con i partner strategici nella implementazione di piene capacità militari, con particolare riguardo all’Albania e agli USA. E, in stretta collaborazione con la NATO, consolideremo la KSF. Prepareremo un piano di servizio militare combinato per i nostri giovani aumentando le capacità della KSF». Quest’ultimo punto, tra altri, non può mancare di destare preoccupazione. È appena il caso di ricordate come nel dicembre 2018 lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, ha dovuto notare “con preoccupazione” «l’adozione da parte del Kosovo dei progetti di legge per rafforzare la sua forza di sicurezza, ribadendo che solo la KFOR [la missione della NATO] ha la responsabilità di garantire un ambiente sicuro e protetto, e invitando tutte le parti a esercitare moderazione e astenersi da qualsiasi azione che possa aumentare le tensioni».