Non sono parole vuote, retoriche o politicizzati, ma delle dichiarazioni aperte che testimoniano l’ennesimo caso in America Latina in cui i militari agiscono contro la democrazia per favorire l’ascesa di governi di estrema destra. A fare queste dichiarazioni è l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito brasiliano Eduardo Villas Boas, in un libro recentemente pubblicato in cui riconosce che durante il suo incarico, tra il 2015 e il 2019, le Forze Armate Brasiliane esercitarono pressioni sul Tribunale Federale Supremo affinché si tenesse in carcere l’ex Presidente socialista Luiz Ignacio Lula da Silva con il fine di evitare che potesse presentarsi alle elezioni, vincerle e tornare alla presidenza del Paese.
Ha rivelato inoltre che la cupola militare brasiliana aveva iniziato a muoversi nel 2018, anno in cui fu eletto presidente Jair Bolsonaro, attraverso una minaccia pubblicata su Twitter affinché il più alto tribunale federale non liberasse Lula, che aveva governato il Brasile tra il 2003 e il 2010 e che, qualora fosse stato candidato, sarebbe stato il favorito.
Boas ha specificato che la minaccia fu sostenuta dall’intero quartier generale dell’Esercito, senza consultare o informare la Forza Aerea e la Marina, affermando che secondo loro il rilascio di Lula avrebbe significato “un rischio per le istituzioni” in Brasile.
Boas ha ammesso che la sua azione non fu solamente contro Lula ma anche volta a pianificare la mozione di impeachment contro la Presidente socialista Dilma Rousself, che in seguito portò Michel Temer al potere attraverso un colpo di Stato parlamentare. È stato proprio Boas ad affermare, durante la presentazione del suo libro, di aver incontrato più volte l’allora vicepresidente Michel Temer per pianificare il tutto.
Villas Boas ammette con scioccante serenità di aver cospirato contro la presidente Dilma per due motivi: le scelte economiche del governo e il progetto di legge di istituire la “Commissione per la Verità” che avrebbe indagato sui crimini commessi dai militari, dagli agenti pubblici, dalla polizia e dallo Stato durante la dittatura fascista che durò 21 anni, dal 1964 al 1985.
L’ex Comandante dell’Esercito ha anche assicurato che sotto il suo mandato i militari sono stati nuovamente coinvolti nella politica, alla ricerca di un candidato che, alle elezioni presidenziali del 2018, potesse sconfiggere il Partito dei Lavoratori (PT) di sinistra, creato da Lula.
Per Boas, l’estremista di destra Jair Bolsonaro, attuale presidente del Brasile, era l’unica opzione “praticabile” per sconfiggere la sinistra e garantire l’ingresso della leadership dell’esercito nella politica del Brasile.
Il controverso libro, intitolato “Generale Villa Boas: Conversazioni con il Comandante”, ha scosso il Brasile con le rivelazioni contenute ed è in vendita da pochi giorni su Amazon.
Insomma, quella che era stata pubblicizzata da Bolsonaro e dai media filo USA brasiliani come “la più grande operazione anti-corruzione del mondo”, come “la lotta contro la sinistra corrotta al governo in Brasile”, dopo 4 anni si scopre che il più grande scandalo giudiziario della storia di quel Paese che ha provocato danni ormai irrecuperabili, come la destituzione del governo della socialista Dilma e un anno di carcere per l’ex presidente Lula impedendogli di candidarsi e di votare oltre ad aver spianato la strada all’ultradestra razzista di Bolsonaro oggi al potere.
In questi giorni infatti, il gruppo di lavoro responsabile di quella che venne chiamata Operazione Lava Jato, è stato sciolto dal procuratore generale brasiliano Gilmas Mendes che ha affermato: “Più vado a fondo e più leggo rivelazioni disorientati. A questo punto, voglio capire come abbiamo permesso che ciò accadesse. (…) Voglio sapere cosa abbiamo fatto di sbagliato per produrre istituzionalmente una cosa come questa: un settore della magistratura che ha operato seguendo una idea personale della giustizia”.
La vicenda in corso potrebbe annullare il famoso processo in cui l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva è stato condannato con l’accusa, mai provata, di aver ricevuto come regalo un appartamento in cambio di favori. Un processo dal marcato accento politico che fu il caposaldo della campagna mediatica mondiale contro Lula.
Negli ultimi giorni infatti è stato tolto il segreto su nuove conversazioni su Telegram (50 pagine) ed ai messaggi che il giudice Moro e altri pubblici ministeri si scambiavano in quelle settimane e che mostrano soddisfazione rispetto alle denunce contro Lula.
Non solo, quando gli avvocati di Lula denunciavano di essere spiati illegalmente, Moro aveva risposto che si era trattato di un “errore”, ma oggi invece, attraverso le prove, è possibile confermare che i pubblici ministeri venivano periodicamente informati dagli agenti della Polizia Federale incaricati di eseguire intercettazioni telefoniche, con l’obiettivo di creare strategie vincenti per ottenere la condanna di Lula.
Sergio Moro, il famoso giudice che diede vita all’Operazione Lava Jato, e che fu premiato da Bolsonaro e nominato Ministro della Giustizia, vede ora evaporare il suo prestigio.
Invece di aiutare a sradicare la corruzione, ottenere una maggiore trasparenza nella politica e rafforzare la democrazia, la famosa operazione ha contribuito al caos che il Brasile sta vivendo oggi in mano all’estrema destra neofascista e neoliberista che ha consegnato il Paese alle oligarchie.