Avvenire pubblica un articolo sui CPR, articolo che, francamente, ci rende un po’ più ottimisti sugli anticorpi che l’Italia ha contro la discriminazione
Certamente Avvenire sta pubblicando articoli su situazioni sconosciute ai più, come la rotta balcanica o, appunto, i CPR, aiutando a fare luce su fenomeni francamente inaccettabili.
Certo ora ci sentiamo meno soli, sebbene sbalordisca l’assordante (e colpevole?) silenzio di organizzazioni come Amnesty sugli aspetti gravemente discriminatori della detenzione amministrativa. Chissà che dopo questo articolo di Avvenire il CPR non diventi un fatto mediatico e allora Amnesty se ne occupi.
Il CPR è una struttura in cui operano contemporaneamente Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza ed Esercito, di fatto una struttura di massima sicurezza, con reparti detentivi separati da grate alte 3/4 metri, che davvero rendono il CPR simile ad uno zoo degli anni ’60.
L’aspetto discriminatorio è tanto arrogantemente palese, quanto letteralmente sbalorditivo: è come se un cittadino italiano finisse in una struttura di massima sicurezza perché non paga una multa.
Un cittadino straniero che compia un reato, lo sconta anzi, lo deve necessariamente scontare in un carcere, viene giudicato da un Tribunale penale: il percorso giurisprudenziale del CPR è assolutamente diverso, non si finisce, non si può finire in un CPR per aver compiuto un reato penale, si è condannati alla detenzione nel CPR perché si è compiuto un illecito amministrativo.
Ma non solo, esiste un aspetto discriminatorio altrettanto odioso: un cittadino comunitario può rimanere “trattenuto” o “ospite” (i termini orribilmente ipocriti con cui la gelida e disumana burocrazia chiama i detenuti nel CPR), non più di 96 ore, mentre un cittadino extracomunitario ad oggi può rimanere in CPR 90 giorni prorogabili di altri 30 in base agli accordi di rimpatrio con lo stato di origine.
Il libro di Maurizio Veglio, “La Malapena”, apre uno squarcio utile anche a noi giornalisti, ai quali l’accesso al CPR è di fatto interdetto, è un libro che consigliamo: un bagno di verità sullo stato di “civiltà” della nostra legislazione in merito, la conseguente giurisprudenza, e sulla “capacità” dell’Italia di rispettare la dignità della persona.
Uno squarcio doloroso su un girone infernale, su una giurisprudenza, quella relativa alla detenzione di coloro che sono in attesa di rimpatrio, che sbalordisce per le proprie contraddizioni.
Sul sistema dei CPR non ci sono statistiche, non si riesce a capire quanto costi, c’è una coltre di opacità che non può non alimentare il sospetto della debolezza di uno Stato che stia cercando di coprire le proprie nefandezze.
La lotta etica contro i CPR è una lotta di civiltà, di equità, di dignità, una lotta che dev’essere estesa e condivisa.