Succedono cose importanti al processo di Locri contro Lucano e Riace in questo inizio di 2021, quando ormai, come sappiamo, la presentazione dell’accusa si è praticamente conclusa e la parola sta per passare alle difese. Si avverte la sensazione netta che finalmente le cose si muovano, dopo essere rimaste congelate per tanto tempo nell’illustrazione delle ipotesi accusatorie, in cui irregolarità amministrative erano trattate come gravi reati penali sulla base di frasi estrapolate da intercettazioni.
Comincerei dall’ultima novità: la notizia di ieri, 1° febbraio, che Giuliano Pisapia si è costituito nel collegio di difesa di Lucano. Purtroppo l’occasione è triste, perché arriva dopo l’improvvisa scomparsa un mese fa dell’avvocato Antonio Mazzone, che insieme a Andrea Daqua aveva assicurato gratuitamente la difesa di Lucano sin dall’inizio della sua vicenda giudiziaria. Ma nella situazione che si era venuta a creare, di un vuoto importante proprio all’inizio della fase difensiva, l’ingresso di Pisapia è un’ottima notizia. E non solo perché il suo è un importante studio legale; ma soprattutto perché il suo ingresso allarga il campo in cui si muove il processo che, come sostengo dal suo inizio, non può essere trattato come una storia calabrese né lasciato alla stampa locale, ma deve essere messo sotto i riflettori della pubblica opinione nazionale.
Processare un’idea di solidarietà e di umanità non può essere questione locale, apre piuttosto sul precipizio di un processo politico, come se ne sono tentati vari in questi ultimi anni; basti pensare alle vicende di Carola Rackete e a tutti i tentativi di bloccare per via giudiziaria gli interventi umanitari. Questo contro Riace però si è fatto davvero, purtroppo, complice il momento particolare, in quella fine 2018 che vedeva l’attivismo di Salvini da qualche mese ministro dell’interno; complice, certo, anche la complicazione della materia dell’accoglienza, affidata a linee guida in continuo mutamento; e complice forse anche la collocazione “defilata”, in una terra dove la presenza della ‘ndrangheta la fa da padrone.
L’ingresso di Pisapia nel collegio di difesa dimostra plasticamente che in quel processo si affronta una questione d’interesse nazionale e può anche facilitare l’attenzione da parte di quei giornali nazionali che finora non hanno sentito il bisogno di investire molte energie sul processo. E non possiamo dimenticare che Pisapia oggi è anche un europarlamentare, che potrà riportare in contesti europei quello che accade in un tribunale del profondo sud d’Italia. E in un processo rimasto purtroppo un po’ isolato, sottratto alla dovuta pubblicità, questo allargamento dell’attenzione pubblica è una garanzia in sé.
Ma c’è anche un’altra novità che mi spinge a parlare di una possibile svolta. Si comincia a vedere qualche seria incrinatura nella rappresentazione che la Procura ha presentato per un anno e mezzo praticamente indisturbata. La penultima udienza, l’11 gennaio 2021, resterà nel processo come un’udienza cruciale. Perché c’era attesa per la prova in aula del cosiddetto “super-testimone” dell’accusa, quel Francesco Ruga commerciante di Riace che a fine 2016 aveva denunciato Lucano e Capone per concussione e con la sua denuncia aveva fatto scattare tutta l’indagine della GdF. Era stato però a sua volta querelato per minacce, e quindi secondo la difesa non avrebbe potuto essere considerato un teste. Ma tant’è, è arrivato lo stesso al dibattimento come un super testimone.
Personaggio senza dubbio singolare, che pare uscire da qualche performance di un caratterista. In un primo momento, interrogato dall’accusa, il signor Ruga ha ribadito in aula le sue accuse contro Lucano e Capone. Dal suo racconto escono quadretti di vita locale, il piccolo negozio, i migranti che fanno la spesa, i bonus che vanno cambiati in euro, le fatture per ottenerli; e poi le chiacchiere di paese, il tono fra di loro, brusco, sincopato, dispettoso, fatto di allusioni e ammiccamenti, come in un qualsiasi paese in cui tutti si conoscono, sanno vita morte e miracoli di tutti. Il tutto però, va detto, in una grande confusione. L’oggetto della sua denuncia è una fattura il cui importo sarebbe corretto, ma che Lucano e Capone gli avrebbero imposto di alterare cambiando la natura di quello che aveva venduto: non alimentari, ma detersivi. Altrimenti non gliel’avrebbero pagata, anzi peggio, lo avrebbero escluso dal sistema dei bonus, “così, per farmi un dispetto”.
Il suo racconto però incespica su molti punti. E’ tutto un vortice di panini, prosciutto cotto, lamette da barba e candeggina, assegni, fatture, una o cinque? Una in realtà sarebbe vera, dunque solo quattro “modificate”, ma lui dice di averne fatta una sola e di essersi andato subito ad autodenunciare… Le somme non coincidono, nemmeno quelle degli assegni depositati corrispondono agli importi delle fatture… Forse ce ne sono altre modificate sotto minaccia, oppure no… I prodotti in questione nemmeno li aveva in negozio, oppure sì li aveva ma in quantità ridotte, e comunque non li aveva venduti ai migranti… Non sa perché insistessero per avere una fattura di detersivi, non gli interessava saperlo.
Ma appena la parola passa alla difesa per il contro-esame, la sua testimonianza non è più solo confusa, ma cade fragorosamente. Una serie di messaggi inviati a Lucano, che legge l’avvocato Daqua, dimostrano che il suo rapporto con Lucano era di stima e fiducia, anzi lo ringrazia di averlo sottratto ad un TSO nel 2008, gli assicura che voterà sempre per lui perché è una persona perbene, altruista, generosa. Gli parla, sì, delle malefatte di Capone e minaccia denunce ecc., ma Lucano non c’entra, non è lui che lo avrebbe minacciato. Dice che solo dopo si è reso conto che Lucano sapeva tutto, ma Lucano non ha commesso nulla di quanto gli ha attribuito nelle sue denunce. Dunque la concussione per Lucano non c’è. Anzi, viene fuori che ha perfino mandato una diffida a Città futura per farsi pagare fatture già pagate con assegni.
Insomma, tornano alla mente le parole del GIP Domenico Di Croce: aveva parlato di Ruga come “una persona tutt’altro che attendibile”, e aveva accusato la Procura di essersi fidata delle sue parole senza approfondire le ipotesi accusatorie che aveva tratto dalla sua denuncia per concussione. Mentre constatiamo che nulla torna nelle carte, che c’è un mare di contraddizioni fra quello che racconta e quello che dicono i documenti depositati, ci chiediamo come mai la Procura non avesse messo a profitto le indicazioni del GIP. Ma la domanda è soprattutto un’altra: cosa rimane del super testimone e della gravissima accusa? E quindi come è stato possibile ammettere le denunce di una persona già definita inattendibile e portarlo a testimoniare a 4 anni dalla sua denuncia, senza evidentemente aver seriamente indagato sulla querela di cui era stato oggetto da parte di Lucano?
Mi sembra che il crollo del super testimone sia la chiara manifestazione del carattere confuso, approssimativo, frammentario e indiziario di questo processo. Dove la confusione non è una qualità aggiuntiva, ma l’essenza stessa del procedimento, costruito su prove in vario modo già invalidate, per sostenere dei reati penali che non reggono. Forse, molto semplicemente, questa confusione è l’effetto di una forzatura originaria. Scrisse a caldo Livio Pepino, dopo l’arresto di Lucano: “E’ il mondo all’incontrario”. Ecco, se si imposta un processo penale all’incontrario, se si accusa di gravi reati chi ha dedicato la propria vita all’accoglienza e alla solidarietà, al punto da vivere una vita di rinunce quasi francescana, allora la confusione è garantita. Serve a coprire la mancanza di prove certe, serve a riempire l’abisso che separa irregolarità amministrative da gravi reati penali, serve a trasformare un’esperienza innovativa, audace di accoglienza, in un progetto criminale. Ma come si vede, non per questo diventa meno confusa.
Potrebbe essere una svolta. E’ entrata un po’ d’aria in quell’aula dove prenderanno finalmente la parola le difese!