Il 25 gennaio si è svolta la giornata mondiale di azione per la pace in Yemen, Paese afflitto da una non-riconosciuta guerra civile. Da un lato, i ribelli Houthi controllano la capitale e gran parte del territorio grazie all’intervento della popolazione locale. Inoltre, possono godere del supporto di Iran ed Al-Qaeda nella Penisola Arabica. Dall’altro lato, l’Arabia Saudita guida una coalizione internazionale con lo scopo di rinstaurare il ‘legittimo’ Presidente Hadi al potere. Quest’ultimo gruppo include anche Paesi Occidentali quali Stati Uniti e Regno Unito.
Le previsioni delle Nazioni Unite stimano che il conflitto trasformerà lo Yemen nel Paese più povero al mondo nel giro di un anno. La guerra ha già causato oltre 200.000 morti, per la maggior parte causate dalla mancanza di cibo, infrastrutture, e servizi sanitari. La popolazione è arrivata al limite, e non riceve alcun aiuto dalla comunità internazionale. Al contrario, le forze guidate dall’Arabia Saudita arrestano in segreto civili innocenti, per poi farli sparire.
L’interesse degli Emirati Arabi Uniti
Nel 2016, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha invaso e conquistato gran parte del Sud dello Yemen. Quest’area è tutt’ora occupata dalle truppe degli Emirati Arabi Uniti (EAU). Opporsi agli Houthi ha permesso a questo piccolo Paese di affermarsi in Medio Oriente, arginando parzialmente la presenza iraniana nella Regione. Tuttavia, il vero obiettivo degli EAU era un altro; ovvero, instaurare una relazione stabile con Stati Uniti ed Arabia Saudita. I buoni rapporti con l’Arabia Saudita hanno permesso agli Emirati Arabi Uniti un diritto di passaggio, permettendo così alle truppe di raggiungere il non-confinante Yemen. Il supporto degli Stati Uniti ha permesso agli EAU di occupare il Sud del Paese. In cambio, gli EAU sono divenuti un partner essenziale nella lotta contro il terrorismo promossa dagli americani.
Nonostante le forze degli Emirati Arabi Uniti occupino tutt’ora il Sud dello Yemen, la loro presenza sul territorio è diminuita. Nel 2019, gli EAU hanno ritirato parte delle truppe dal conflitto a causa di diversi fattori. In primo luogo, l’amministrazione Trump era divenuta imprevedibile e quindi inaffidabile. Inoltre, sia il Congresso che la stampa americana iniziavano a criticare e contestare il coinvolgimento statunitense nel conflitto in Yemen. Tuttavia, fu l’aumento dei costi d’occupazione la causa principale a determinare il ritiro delle truppe EAU.
La diminuzione delle forze armate non ha però influito sull’influenza che gli Emirati Arabi Uniti possono esercitare sul territorio e la relativa popolazione. Infatti, il continuo supporto da parte di forze separatiste locali permette di mantenere il controllo del Sud dello Yemen.
Diritti umani? Non per i detenuti
Nel 2017, l’avvocatessa Huda Al-Sarari ha portato alla luce una rete di almeno diciotto prigioni segrete. Gli Emirati Arabi Uniti gestiscono questi luoghi disumani in collaborazione con l’Arabia Saudita ed alcuni gruppi locali. I detenuti al loro interno hanno subito violenze sia fisiche che psicologiche quali pestaggio, stupro, elettrocuzione, e annegamento simulato (o waterboarding).
A partire dal 2016, le truppe EAU prelevano migliaia di civili, sia giovani che adulti, dalle proprie abitazioni nel cuore della notte. Successivamente, pongono delle bende sui loro occhi e li portano all’interno di prigioni segrete. Quest’ultime sono solitamente situate in basi militari, aeroporti, seminterrati di privati, ed addirittura nightclubs. In questi luoghi, le guardie ‘schiacciano’ i detenuti in containers affollati, dove poi vi restano per settimane con arti legati ed una benda sugli gli occhi.
Le truppe EAU usano le prigioni segrete per rinchiudervi dissidenti politici, presunti sostenitori di Al-Qaeda. Tuttavia, al loro interno si trovano diverse persone anche solo imparentate con il vero obiettivo delle forze armate. A questi individui è negata qualsiasi tipo di consulenza legale. Inoltre, i detenuti non ricevono alcun tipo di spiegazione riguardo le accuse mosse a loro carico. Un prigioniero ha raccontato di come i suoi carcerieri lo abbiano torturato per giorni senza apparente motivo, prima di cercare di estrargli informazioni. Ha aggiunto: ‘A volte ho desiderato che mi accusassero di qualcosa, in modo da potere confessare e porre fine al dolore.’
La complicità statunitense
Non occorre ricordare che pratiche disumane di questo genere sono considerate forme di tortura, e come tali sono vietate dal diritto internazionale. Ad oggi, 171 Stati hanno ratificato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Tutti i principali Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen sono firmatari.
Il dipartimento della difesa americana ha confermato la presenza di ufficiali statunitensi all’interno di queste strutture segrete. Tuttavia, ha negato qualsiasi tipo di complicità in atti che violano i diritti umani. Apparentemente, gli ufficiali avevano ricevuto il semplice ordine di interrogare i prigionieri secondo le norme previste dal diritto internazionale. Anche se così fosse, ‘torchiare’ individui prossimi ad essere torturati è un chiaro atto di complicità. Tale situazione è regolamentata dall’articolo 4(1) della Convenzione. Quest’ultimo proibisce agli Stati Membri la partecipazione e complicità in atti che coinvolgono la tortura.
Madri in pensiero
A soffrire non sono solo i detenuti, ma anche le loro famiglie. Nessuno viene informato riguardo la destinazione dei detenuti. Le autorità impediscono ai familiari di localizzare l’ubicazione dei propri cari. Inoltre, le ‘forze dell’ordine’ tendono addirittura a negare l’esistenza di irruzioni volte al prelievo di individui.
Nel 2016, un gruppo di madri, sorelle, mogli e figlie dei ‘dispersi’ ha istituito a Sana’a l’Abductees’ Mothers Association (associazione delle madri dei rapiti). Lo scopo iniziale del gruppo era la liberazione dei loro cari. Nel tempo, l’obiettivo del gruppo è divenuto la liberazione di tutti gli individui detenuti illegalmente e vittime di gravi violazioni dei diritti umani. L’associazione opera in tutto il Paese, ed i suoi membri fanno parte di entrambe le fazioni coinvolte nel conflitto.
Lo scorso ottobre, sia le forze Houthi che quelle EAU hanno liberato 1065 prigionieri grazie all’intervento dell’associazione. Il supporto fornito dal Comitato Internazionale della Croce Rossa è stato fondamentale. Le due fazioni sono tutt’ora coinvolte in un dialogo riguardante un secondo scambio. Quest’ultimo, se portato a buon fine, risulterà nella liberazione di 300 detenuti per parte.
Una giusta causa
Diversi gruppi di attivisti e giornalisti supportano direttamente la missione dell’associazione delle madri dei rapiti, offrendo sia supporto materiale che psicologico. Dopo la morte del figlio nel 2019 per mano di forze EAU, anche Huda Al-Sarari ha iniziato a collaborare con il gruppo. Nel corso della sua carriera, l’avvocatessa ha raccolto prove a sufficienza per dimostrare la presenza di oltre 250 casi di abusi sui detenuti. Il suo contributo si è rivelato essenziale per attirare importanti organizzazioni internazionali quali Human Rights Watch.
Lo scorso febbraio, Huda Al-Sarari ha ricevuto a Ginevra il Premio Martin Ennals. Tale onorificenza è destinata ad individui che si sono distinti per coraggio ed impegno nella lotta a favore dei diritti umani. Dovremmo tenere conto ora più che mai delle parole pronunciate dall’avvocatessa durante la cerimonia di premiazione. ‘i governi occidentali dovrebbero sapere che questa collaborazione con gli Emirati Arabi Uniti ha un costo elevato – e non ci protegge dal terrorismo. Sono fiduciosa che il pubblico in Europa e negli Stati Uniti vorrebbe sapere che i loro leaders promuovono e proteggono i diritti umani all’estero e non sono complici di torture, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie.’
A quasi un anno di distanza dal discorso di Huda Al-Sarari, sempre più Paesi stanno lentamente iniziando a distanziarsi dal conflitto in Yemen. L’amministrazione Biden ha recentemente deciso di sospendere temporaneamente la vendita di armi ad Arabia Saudita ed EAU. Nonostante l’incontro tra Matteo Renzi ed il principe Mohammed bin Salman, il governo italiano ha seguito l’esempio statunitense. Di fatto, l’Italia ha arrestato la vendita di migliaia di missili destinati ad Arabia Saudita ed EAU.
Diminuire il coinvolgimento estero nel conflitto è positivo. Tuttavia, non è sufficiente. Tortura e prigioni segrete continueranno ad esistere finché Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti potranno contare sull’appoggio dell’Occidente.
Kevin Carrara