“La storia non si cancella”. Questa la risposta della Comunità ebraica romana alla lettera dell’erede di casa Savoia il quale, dopo “soli” 83 anni dalla firma delle ignobili leggi razziali da parte del suo bisnonno , e in prossimità della Giornata della Memoria, ha pensato di fare la sua bella figura inviando una lettera di scuse agli ebrei italiani. Lettera alla quale la Comunità romana ha risposto affermando che le leggi razziali sono state il “culmine di una lunga collaborazione con la dittatura (e questa) è un’offesa agli italiani, ebrei e non ebrei, che non può essere cancellata e dimenticata.” Il silenzio durato 83 anni è un’ulteriore aggravante, si legge nel comunicato che respinge dignitosamente le tardive scuse e, inoltre, “i discendenti delle vittime non hanno alcuna delega a perdonare, né spetta alle istituzioni ebraiche riabilitare persone e fatti il cui giudizio storico è impresso nella storia del nostro Paese.”
Anche la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, dà una risposta analoga e dichiara, tra l’altro, che “la condanna morale del regime e dei suoi atti è stata per migliaia di ebrei, di partigiani combattenti e di convinti antifascisti, una bandiera e una guida”.
In sostanza, il rampollo dell’ingloriosa casa Savoia pensava di cancellare una incancellabile infamia semplicemente chiedendo scusa agli ebrei italiani senza accorgersi di aver dimenticato almeno due cose non proprio secondarie: la prima, che è semplicemente vergognoso ridurre a un’espressione di cortesia quella che può essere solo una dura condanna e, la seconda, che le leggi razziali del 1938, nonché le precedenti del 1937, sono una delle massime espressioni del fascismo e pertanto riguardano tutti gli italiani, ebrei e non ebrei, come ricordato dalla Comunità ebraica romana.
Chi scrive si trova perfettamente d’accordo con le posizioni espresse dalle Comunità ebraiche e in proposito ricorda una risposta della senatrice Segre, testimononial della Shoah, la quale, a chi le chiedeva se perdonava gli aguzzini dei campi di sterminio rispondeva “io non dimentico e non perdono, ma non odio”. “Non dimentico e non perdono”, un’affermazione schietta e sincera che non lascia adito a fraintendimenti melliflui.
Proprio perché spinta da tale modo di approcciare alle ingiustizie da parte della senatrice Segre, chi scrive le indirizzò una lettera chiedendole di esprimersi circa il dramma che da tanti anni vivono i palestinesi, convinta che una sua parola sarebbe stata importante e, forse, avrebbe echeggiato fino in Israele. Ma non arrivò mai risposta.
Solo una volta, incalzata con puntiglio da alcune persone che le chiedevano di dire una parola circa la giustizia violata in Palestina, la signora Segre riuscì a dire che non rispondeva perché lei non si occupa di politica il che, detto da una senatrice, benché non eletta ma nominata e, comunque, con uno scranno nel tempio della politica, lasciava e lascia parecchie perplessità.
Ma torniamo al pronipote di re Vittorio Emanuele III e vediamo che la sua lettera, inviata dopo 83 anni dalla firma che significò terrore per tutti e morte per circa 7.500 ebrei italiani, suona come un insulto, in particolare per gli ebrei, ma in generale per tutti gli italiani convintamente antifascisti. Perché sappiamo che la giornata indetta dall’ONU nel 2005 per commemorare la memoria della Shoah, non può esser letta come diritto alla memoria delle sole vittime ebree, ma di tutti gli oltre 16 milioni di martiri che finirono nei campi di sterminio non solo per la criminale follia razzista, ma anche per il loro opporsi politico e talvolta semplicemente umano all’ideologia e ai crimini nazi-fascisti.
Per tutti loro si deve, non si può ma si deve avere rispetto, e la letterina del pronipote di casa Savoia più che una tarda espressione di rispetto risulta essere un, seppur involontario, insulto. Così come insulto è suonata l’infelice uscita del sindaco di Milano Sala che alla domanda piuttosto stupidina di un giornalista durante l’anteprima del docu-film “AnneFrank. Vite parallele” che gli chiedeva un accostamento tra Anna Frank e Greta Thunberg rispondeva “Penso che Anna sia stata un’anticipatrice della presenza femminile in così giovane età. Viene naturale pensare a Greta Thunberg perché sono due storie di coraggio enorme in cui si parte dalla cosa più semplice che c’è e si arriva a un risultato simile”.
Non c’è una sola parola in quest’affermazione che non sia a dir poco assurda a parte gli articoli e i nomi propri. Ma come ha potuto il sindaco Sala, sempre attento, fino all’ossessione dell’antisemitismo colto pure dove non c’è, come ha potuto cadere in un simile vuoto di senso e di intelligenza fino a parlare di “risultato simile” o di uguale “enorme coraggio” o di partire “dalla cosa più semplice” di due storie e due vite assolutamente incomparabili tra loro?
Voleva forse anche lui fare bella figura e mettere insieme l’attenzione all’ambiente (lui che ha fatto distruggere parco Bassini alla Città Studi, nonostante le proteste di studenti, docenti e cittadini) di cui è presa a simbolo una ragazza trattata con tutti gli onori, e la memoria della Shoah rappresentata da una ragazzina diventata, suo malgrado, vittima e simbolo dell’orrore nazista, costretta a vivere in un nascondiglio e poi finita in un campo di sterminio! Cosa pensava Sala mentre rispondeva nel modo più insensato possibile all’idiota domanda del giornalista?
La Comunità ebraica di Milano è stata fin troppo generosa a esprimere solo “sconcerto” per tale assurda similitudine e a chiedere solo una smentita. Smentita che in effetti è arrivata immediatamente sebbene con l’espressione a dir poco presuntuosa “E’ più che evidente che non ci fosse la volontà da parte mia di fare un paragone …” e per dar forza a tanta supposta evidenza ha ricordato l’impegno dell’amministrazione comunale in una serie di iniziative a sostegno della memoria relativamente agli ebrei.
Ma uno scivolone così assurdo è stato un ghiotto boccone per gli sciacalli, quelli che pur avendo curricula affatto raccomandabili in quanto a rispetto per minoranze e diversità e, in qualche caso per saluti romani e omaggi a tombe di sterminatori di ebrei, proprio loro, assieme ad altri rappresentanti della destra, hanno gareggiato nel dimostrare quanto oltraggio alla memoria fosse riscontrabile nelle parole di Sala. E per dimostrarlo si sono lanciati in insulti non troppo velati verso Greta Thunberg e in considerazioni “profondamente scientifiche” come quella di considerare banalità ambientaliste le preoccupazioni per il clima.
Va detto che il sindaco Sala, con la sua sciagurata risposta, ha fatto scoprire un insospettato diffuso antifascismo in tutta la destra milanese che ha avuto voglia di esprimersi. Fantastiche queste metamorfosi, peccato che hanno il difettuccio di sembrare strumentali.
Qualcuno, come l’eterno urlante Sgarbi, è arrivato a scrivere su un giornale che non brilla certo per antifascismo, che “A nessuno deve essere consentito far diventare la sua vita una bandiera per la propria parte”. Forse gli piaceva il suono delle parole o la loro disposizione, ma rispetto al significato ci sarebbe molto da dire visto che chi ha dato la sua vita facendone, appunto, una bandiera per la propria parte, cioè per le proprie idee, normalmente lo omaggiamo come eroe, a volte come padre nobile di una causa o di una nazione ma, evidentemente, la foga di aggredire Sala per la dichiarazione oggettivamente inaccettabile gli ha fatto perdere il senso della misura portandolo a un altro e non meno grave oltraggio, quello della strumentalizzazione della memoria e della stessa giovane vittima del nazismo.
Il 27 gennaio, cioè il giorno in cui l’Armata Rossa aprì il lager di Auschwitz liberando i sopravvissuti all’orrore nazista non può essere strumentalizzato, soprattutto non può esserlo a maggior ragione da chi in più occasioni ha sputato sulla Resistenza. La memoria della Shoah, e la memoria di tutti i martiri del nazi-fascismo va rispettata e il rispetto non è compatibile con la sua strumentalizzazione.
Quindi fate silenzio signori, ritirate le vostre lettere di false scuse e le vostre parole sconvenienti. E’ una questione di rispetto.