Penso che il senso di umanità e i diritti civili non si dovrebbero fermare davanti alle porte di un carcere. Un paio di giorni fa, nel programma di Rai 3 “Report”, si è parlato di carcere. La trasmissione, ovviamente, non ha potuto dare risposte, quelle aspettano alla magistratura, però credo abbia stimolato molte domande negli spettatori, anche a quelli che dicono: “Fateli marcire in galera/Sé la sono cercata/Ai morti chi ci pensa? /Ci dovevano pensare prima “ecc.. Speriamo che qualcuno di quelli che hanno visto la trasmissione si chieda come mai i detenuti imbottiti di metadone non siano stati soccorsi e portati all’ospedale, ma, invece, trasferiti in altre carceri e portati nelle celle di punizione.
Non voglio e non posso scrivere dei pestaggi che, per pura sete di vendetta, a distanza di giorni dalle rivolte, hanno subito i detenuti, perché non sta a me parlarne. Certamente però devo dire che quelle vite potevano essere salvate. Penso anche che non sia tutta colpa della Polizia penitenziaria, anzi credo piuttosto che le colpe maggiori siano delle negligenze, delle omissioni e delle rigidità di alcuni politici e funzionari ministeriali, che hanno trasformato le carceri italiane in luoghi dove non solo si muore facilmente come in guerra, ma può accadere di tutto. Nei miei 27 anni di carcere ho girato una quarantina di istituti penitenziari e ne ho viste e sentite di tutti i colori. Per farvele conoscere un po’, come al solito vado a spulciare nel mio diario:
“Continuiamo ad essere arrabbiati e preoccupati per le condizioni del nostro compagno in isolamento. C’è molta tensione fra noi e le guardie, queste ora sono molte più numerose degli altri giorni. Per far loro vedere che non ci impressioniamo, abbiamo formulato questo documento. I detenuti della prima sezione espongono quanto segue: premesso che in data 4/06/04 un nostro compagno, Roberto Nicolosi, è stato provocato ed aggredito da un brigadiere della Polizia penitenziaria; che il nuovo comandante del carcere, con un espediente, ha fatto uscire dalla cella il nostro compagno e con un agguato, vigliaccamente, l’ha fatto picchiare, a questo punto i detenuti attueranno una serie di pacifiche proteste. Si precisa che il documento viene firmato solo dai detenuti forestieri, per tutelare i compagni locali da un’eventuale deportazione in continente.”
“Ho ricevuto una lettera da un amico in sezione: “Mi è difficile scriverti queste parole, lo è perché mi piange il cuore saperti alle celle. Già in noi abbiamo infinite sofferenze, se poi se ne aggiungono altre ci crolla il mondo addosso. Tu sai benissimo la stima, l’affetto il bene che ti voglio e mi dispiace, mi addolora che tu paghi sempre le conseguenze per tanti. Avrei voluto intervenire per difenderti, ma le guardie erano troppe e le avrei buscate anch’io”. Gli ho risposto: “Caro Franco, le tue parole mi hanno fatto particolarmente piacere e mi ha fatto tenerezza che ti preoccupi per me. Per molti e per te la prigione è solo un episodio nella vita, prima o poi uscirete, ma per me è diverso, ho buone provabilità di non uscire più… e quindi mi prendo la libertà di essere libero… Non ti preoccupare per me, sono abituato alle punizioni e a prendere le botte dalle guardie. Nella vita, prima d’imparare a darle, bisogna imparare a ricevere i colpi, ad incassare e a fare in modo che le botte guariscano prima possibile ed io su questo sono un maestro. Grazie della tua amicizia”.
“In sezione continua ad esserci molta tensione fra noi e le guardie, non abbiamo notizie del nostro compagno… Io fra l’altro ho inviato un esposto in Procura… Ho fatto tutto quello che mi era possibile per tutelare il mio compagno e gli ho anche inviato una lettera ed una cartolina per stargli affettuosamente vicino, spero che gliele diano…”.