Non ci sono precedenti che possano servire come riferimento per la situazione economica e sociale dell’Europa in questo momento. Gli indicatori della Commissione Europea per il 2020 mostrano un calo del PIL dell’8,3%, mentre l’OCSE fissa il dato a circa il 9% per l’Eurozona. Le previsioni paese per paese, che mostrano notevoli disuguaglianze all’interno dell’UE, sono disastrose e, con il riemergere della pandemia e delle misure adottate negli ultimi tempi, le prospettive economiche per i prossimi mesi sono ancora più fosche.
I tassi di disoccupazione e di povertà, già molto elevati nel 2019, sono aumentati nel 2020 in modi quasi inimmaginabili solo pochi mesi fa. L’anno scorso, oltre il 21% della popolazione dell’UE era considerato a rischio povertà, con dati che variano molto da paese a paese, alcuni dei quali mostrano percentuali superiori al 25%, tra cui Spagna, Lituania, Italia, Lettonia, Grecia, Romania e Bulgaria (quest’ultima con oltre il 32%). La differenza con gli altri Stati è notevole. Ad esempio, in Repubblica Ceca, Slovenia, Finlandia, Danimarca, Slovacchia, Paesi Bassi e Austria, si va dal 12% al 17%. Per quanto i numeri siano diversi, la costante è che le cose peggiorano ogni settimana. Presto avremo i dati di fine anno. Le notizie saranno probabilmente tutt’altro che buone.
Non c’è da stupirsi quindi che la proposta di un reddito di base, un versamento universale e incondizionato di denaro pubblico a tutti i residenti registrati, sia una delle misure che ha attirato più attenzione da parte della stampa mainstream nelle prime settimane della pandemia. Il 3 aprile, un editoriale del Financial Times intitolato “Il virus mette a nudo la fragilità del contratto sociale” ha anticipato il tema: “La redistribuzione sarà di nuovo una priorità; i privilegi degli anziani e dei ricchi saranno messi in discussione. Le politiche fino a poco tempo fa considerate eccentriche, come il reddito di base e le imposte sul patrimonio, dovranno far parte delle misure”. Un bel po’ di persone sono rimaste sorprese, se non sbalordite. Difficile sapere quali intenzioni politiche si nascondono dietro l’articolo del Financial Times, ma quello che dice sulla politica economica è abbastanza chiaro.
Qualche mese dopo, il 22 settembre, il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ha detto nel suo discorso di apertura della 75° sessione dell’Assemblea Generale: “Inclusività significa investire nella coesione sociale e porre fine a tutte le forme di esclusione, discriminazione e razzismo. Significa istituire una nuova generazione di misure di protezione sociale, compresa la copertura sanitaria per tutti e la possibilità di un reddito di base universale”. Un’altra sorpresa. Quest’anno il Financial Times e il Segretario generale delle Nazioni Unite si sono espressi a favore di una politica così “eccentrica” come il reddito di base universale, e i due temi correlati della redistribuzione e della coesione sociale sono particolarmente interessanti.
Il nostro attuale Paese delle Meraviglie non è proprio meraviglioso, ma le cose si fanno sempre più interessanti, perché ancora più delle voci del Financial Times e di Antonio Guterres, l’interesse per la proposta da parte di molti movimenti sociali e dei cittadini in generale è in rapida crescita, soprattutto grazie all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) dal titolo “Istituire Redditi di Base Incondizionati (RBI) in tutta l’UE”. Secondo la Commissione Europea, “un’Iniziativa dei cittadini europei consente a 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell’UE di invitare la Commissione Europea a proporre un atto giuridico nei settori in cui la Commissione ha il potere di farlo”. Se la Commissione riceve a sostegno un milione di firme entro un anno, da almeno sette diversi Stati membri, deve rispondere entro sei mesi. La Commissione può decidere se seguire o meno la richiesta ma, in ogni caso, è tenuta a spiegare le ragioni della sua decisione.
Il 15 aprile 2020 l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per un reddito di base incondizionato ha consegnato alla Commissione Europea la proposta per l’introduzione di un reddito di base incondizionato in tutta l’Unione Europea e l’iniziativa è stata approvata il 15 maggio. Affinché la questione possa essere discussa al Parlamento Europeo, il 25 settembre è stata avviata la campagna per raccogliere un milione di firme entro un anno. Ciò avviene essenzialmente online (si prega di firmare se siete cittadini dell’Unione Europea [2] ). Si chiede che il reddito di base sia universale e incondizionato, individuale e di un importo almeno pari alla soglia di povertà di ogni Stato membro. In altre parole, la povertà sarebbe statisticamente abolita. Per non confondere questa iniziativa con le caricature di destra del reddito di base, l’ICE afferma chiaramente che il reddito di base incondizionato non sostituirà lo Stato sociale, ma lo integrerà.
Se il reddito di base è giunto all’attenzione di ampi settori sociali, è perché la pandemia COVID-19 ha messo a nudo situazioni come quella descritta per la Spagna dal relatore dell’ONU sull’estrema povertà e i diritti umani, Philip Alston, all’inizio del 2020:
“Profonda povertà diffusa ed elevata disoccupazione, una crisi abitativa di proporzioni impressionanti, un sistema di protezione sociale totalmente inadeguato che lascia volutamente un gran numero di persone in condizioni di povertà, un sistema educativo di segregazione sempre più anacronistico, un sistema fiscale che fornisce molti più benefici ai ricchi che ai poveri, e una mentalità burocratica radicata in molte parti del governo che privilegia le procedure formali rispetto al benessere delle persone”.
La povertà, ha sottolineato Alston, è una scelta politica e il peggioramento delle condizioni di vita in Europa per la maggior parte della popolazione non fa che supportare il suo punto di vista. Un’indagine del Consiglio Europeo delle Relazioni Estere, pubblicata nel maggio 2019, ha rilevato che solo un terzo dei tedeschi e un quarto degli italiani e dei francesi aveva ancora del denaro alla fine del mese, dopo aver sostenuto le spese essenziali. Naturalmente, la pandemia ha solo peggiorato le cose. Il precariato, offrendo lavori intermittenti nell’economia sommersa e nessuna sicurezza lavorativa, continua a crescere insieme alla disoccupazione, colpendo soprattutto i giovani. Nel luglio 2020 il tasso di disoccupazione giovanile nella zona Euro era del 17,3%, in Spagna quasi del 40%. Tutto ciò ha effetti negativi a lungo termine, ad esempio sui tassi di fertilità e sull’invecchiamento della popolazione. La situazione era già disastrosa nel 2017 quando, secondo Eurostat, il 22,4% della popolazione dell’UE era a rischio di povertà o di esclusione sociale, definendo “povertà” come povertà monetaria, grave deprivazione materiale o bassissima intensità di lavoro in famiglia. I più colpiti sono le donne, i bambini, i giovani, i disabili, i meno istruiti e i disoccupati, le famiglie monoparentali, le persone che vivono da sole, quelle originarie di un altro paese e, nella maggior parte dell’Europa, gli abitanti delle zone rurali. La pandemia ha aggravato non solo la povertà all’interno dell’UE, ma anche le differenze tra i paesi, dove i paesi con i più bassi aumenti del coefficiente Gini [3] dopo un lockdown di due mesi sono i Paesi Bassi (2,2%), la Norvegia (2,3%) e la Francia (2,3%), mentre Cipro (4,9%), Repubblica Ceca (4,8%), Ungheria (4,7%), Slovenia (4,7%) e Slovacchia (4,6%) mostrano i dati più alti.
Allo stesso tempo, la pandemia ha reso i miliardari molto più ricchi, per un totale di 813 miliardi di dollari per i 500 più ricchi dall’inizio del 2020. (Time li chiama “innovatori e disgregatori, artefici della distruzione creativa dell’economia”). In Germania, che ha il maggior numero di milionari al mondo, il patrimonio netto degli ultra-ricchi è salito a 595,9 miliardi di dollari dai 500,9 di un anno prima, e più del 12% del loro patrimonio è cresciuto nel settore della sanità.
Le misure introdotte finora non fanno che aggravare i problemi. Ad esempio, i bonus statali ai cittadini poveri e a basso reddito, che si sono dimostrati tristemente insufficienti in condizioni “normali”, sono ingiuriosamente inadeguati nelle condizioni straordinariamente dure della pandemia. Applicare misure ordinarie e inutili in tali circostanze straordinarie serve solo a far sembrare che i governi stiano facendo qualcosa. Le insidie dei sostegni economici statali sono ben note: la trappola della povertà, i costi amministrativi, la stigmatizzazione e l’insufficiente copertura in termini di quantità e diffusione. Se ognuno di questi aspetti viene considerato alla luce di ciò che un reddito di base può offrire, i vantaggi di quest’ultimo sono evidenti.
La trappola della povertà è un vecchio problema. I bonus statali agiscono come un disincentivo a cercare e impegnarsi in un lavoro remunerato, poiché ciò significherebbe la perdita parziale o totale dell’incentivo. Al contrario, un reddito di base è una base, un punto d’appoggio solido, e non un tetto, e trovare un lavoro non significherebbe perdere il reddito, in quanto è incondizionato. Qui non c’è nessun disincentivo.
I bonus statali hanno costi amministrativi enormi ed estremamente elevati, in rapporto alle poche persone che riescono a riceverli. Condizionalità significa far rispettare ai cosiddetti beneficiari tutta una serie di requisiti di legge e di capricci burocratici (come l’insistenza sul fatto che le fotocopie delle carte d’identità siano a colori), ignorando il fatto che la maggior parte dei richiedenti non ha i mezzi per ottenere tutti gli accreditamenti previsti anche quando può capire il gergo delle istruzioni ufficiali. E una volta concesso il pagamento, i fortunati devono essere monitorati per essere sicuri che sono ancora “degni”. In Spagna, dove il 9,1% delle famiglie si trova in una situazione di estrema povertà, solo 12.789 degli 837.333 richiedenti tra giugno e ottobre del 2020 hanno ottenuto il pagamento. Evidentemente, un reddito di base incondizionato non ha tali costi di condizionalità o selettività. Tutta la popolazione lo riceve.
La stigmatizzazione e l’umiliazione dei beneficiari del bonifico condizionato, automaticamente etichettati come poveri, malati, perdenti o colpevoli, include domande invasive sulla loro vita privata e persino l’ispezione delle loro case. Sono trattati come potenziali delinquenti che vogliono truffare lo Stato benevolo, anche quando tutti sanno che i grandi truffatori evitano tasse per centinaia di miliardi grazie ai loro patrimoni offshore non dichiarati. Così, anche l’ingiustizia è integrata nell’equazione: i poveri sono colpevoli. Poiché il reddito di base è universale, la stigmatizzazione non è più un fattore. La colpevolizzazione non funziona quando l’intera popolazione riceve il pagamento. Inoltre, i due problemi della copertura adeguata e della diffusione scompaiono con un reddito di base, poiché garantisce a tutti, per definizione, di vivere al di sopra della soglia di povertà.
Crediamo che l’interesse dei cittadini per il reddito di base continuerà a crescere. L’ICE è una grande pietra miliare in questo processo. Mancano ancora dieci mesi per ottenere il milione di firme necessarie. Nelle prime settimane, la Slovenia ne ha già raccolto l’87%, mentre Grecia, Germania, Ungheria e Spagna hanno più del 25%. È ancora presto per prevedere il risultato. Che il milione di firme venga raggiunto o meno, anche il risultato più modesto sarà positivo, poiché l’iniziativa ha coinvolto attivamente migliaia di cittadini dell’UE nella campagna e ha informato altre migliaia di persone sugli enormi vantaggi economici, sociali e politici offerti da un reddito di base universale. Forse siamo finalmente molto vicini a raggiungerlo. In ogni caso vale la pena provare, data l’entità della sofferenza provocata dalla povertà in Europa.
NOTE DEL TRADUTTORE:
[1] Durante una manifestazione in Svizzera, un camion ha versato 8 milioni di pezzi da cinque centesimi di franchi sulla piazza davanti al parlamento svizzero a Berna, per simboleggiare gli 8 milioni di abitanti del paese. Questa azione ha celebrato la presentazione dell’iniziativa popolare per un reddito di base incondizionato. https://www.facebook.com/generation.grundeinkommen/
[2] https://eci.ec.europa.eu/014/public/#/screen/home
[3] Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è un indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o della ricchezza.
Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid. Revisione di Flavia Negozio